Wayiqrà 19,28: Non farete incisioni nella vostra carne per un defunto e non scriverete su di voi delle scritture incise (tatuaggi), Io sono H.
Rashì ad loc.: nella vostra carne per un defunto: questa era l’abitudine degli Emorei di procurarsi incisioni al corpo quando moriva un loro caro. Scritture incise in profondità che non si cancellano mai; li si incide con l’ago e annerisce per sempre. In ebraico קעקע da una radice che significa infilzare, come in Bemidbar 25,4 e 2Shem. 21,6 dove è descritta un’impiccagione: si infilzava un palo di legno nel terreno e su di esso si appendeva il corpo.
Ibn ‘Ezrà ad loc.: C’è chi ricollega anche il tatuaggio ai riti di lutto, mentre ci sono ancora oggi giovani che si segnano il volto per essere riconoscibili (opp. straniati). Secondo il Targum la parola potrebbe essere non ebraica, e mi sembra l’ipotesi corretta.
Nel Talmud il verbo קעקע è impiegato con altri due significati diversi: “fare il verso delle galline” (Qiddushin 31a), “demolire completamente” (Ta’anit 16a);
Sefer ha-Chinnukh, prec. 253: Come fanno ai nostri tempi gli Ismaeliti, che si imprimono nel corpo uno scritto indelebile. Lo scopo del divieto è allontanare le pratiche idolatriche dal nostro corpo e dai nostri occhi. Era infatti prassi comune fra i Gentili indicare in tal modo il proprio asservimento ai culti pagani. Qualsiasi parte del corpo è compresa nel divieto, sia quelle scoperte, sia quelle che abitualmente si coprono con gli abiti. Il divieto è valido in ogni luogo e ogni tempo, e colui che lo trasgredisce scrivendo anche un solo segno in qualsiasi parte del corpo mediante incisione è passibile di fustigazione.
Sforno ad loc.: L’unico “taglio” consentito nel corpo è il Berit Milah.
Or ha-Chayyim ad loc.: La Torah parlando delle incisioni per il morto parla esplicitamente della carne del vivente che se le procura, a significare che in questo caso è problematico solo il dolore fisico dell’operazione, mentre sul piano psicologico essa resta comprensibile. Nel caso dei tatuaggi il testo dice invece “non scriverete su di voi” senza più specificare solo la carne, perché trattandosi di un gesto del tutto ingiustificabile procura un danno non solo al corpo, ma anche all’anima. Il riferimento finale al Nome Divino ci insegna che H. vigila in difesa della dignità del Suo Nome e della Sua Shekhinah affinché l’essere umano non compia questi due atti nocivi rispettivamente per il suo corpo e per la sua anima.
Sh. R. Hirsch, Chorev, par. 430: Non farete incisioni nella vostra carne per un defunto: Io sono H. Tu appartieni a Me sia in vita che in morte. Se Io richiamo a Me un anima umana da questo mondo tu perdi certamente un fratello spirituale, ma non un padrone, né tanto meno un idolo. Pertanto non ti induca la morte altrui a distruggere il tuo stesso corpo sulla terra, come se il morto fosse l’unica ragion d’essere della tua esistenza. E non scriverete su di voi delle scritture incise (tatuaggi): Io sono H. Io ho rivestito la tua anima con una cornice corporea, affinché il corpo ti consentisse di eseguire la Mia volontà sulla terra. Il corpo appartiene all’anima ed entrambi appartengono a Me. Non mettere il tuo corpo al servizio di alcun altro compito. Ogni uomo ha l’imprinting di H., è stato creato a Sua immagine. Ogni Ebreo porta sul suo corpo il segno del Patto: non tatuare il corpo umano con nessun altro segno. Incidere la pelle è consentito solo per curare una ferita. Neppure un pelo può essere torto come segno di lutto.
Mishnah Makkot 3,6 e R. ‘Ovadyah da Bertinoro: Colui che fa un tatuaggio (cioè: procura al corpo proprio o altrui tagli a forma di segni mediante un coltello e poi riempie i tagli con colore o inchiostro è passibile di fustigazione): se ha scritto (con l’inchiostro) senza però incidere o ha inciso senza scrivere (riempiendo i tagli di inchiostro o colore) non è passibile di fustigazione finché non scriva e incida con inchiostro o altro colore o con qualsiasi cosa che lascia un segno durevole. R. Shim’on ben Yehudah a nome di R. Shim’on dice invece: non è passibile di fustigazione finché non scriva mediante il tatuaggio il nome (di una divinità pagana), come è detto: non scriverete su di voi delle scritture incise (tatuaggi), Io sono H. (Non mettete su di voi il nome di un idolo, perché Io sono H. e non dovrete associare a me nessun altro. La Halakhah è codificata secondo la prima opinione).
Shulchan ‘Arukh, Yoreh De’ah 180 e comm.:
- Si intende per “scrittura incisa” colui che incide il corpo e poi riempie l’incisione con sabbia, inchiostro o altro colore che lasci il segno (o l’inverso. I commentatori discutono sulla procedura del tatuaggio: secondo Maimonide prima si incide la cute e poi si inserisce l’inchiostro, mentre secondo Rashì è il contrario).
- Se procura il tatuaggio ad altra persona, quest’ultimo è esente da punizione (sebbene trasgredisca anche lui, ma non riceve la fustigazione perché si tratta nel suo caso della trasgressione di un divieto senza azione, che non comporta castigo – Sefer ha-Chinnukh), a meno che non collabori.
- E’ lecito mettere della cenere (o un unguento che colora) sulla ferita (perché in questo caso la ferita stessa costituisce prova della terapia).
- Invece chi si limita a incidere la pelle è passibile di fustigazione solo se lo fa per il proprio morto o per l’idolatria. La differenza è che per il morto c’è punizione se lo fa sia con la mano che con uno strumento, mentre per l’idolatria solo mediante uno strumento.
- L’incisione per il morto è proibita anche in assenza del morto.
- C’è chi dice che solo l’incisione è proibita, ma battersi fino a provocare fuoruscita di sangue non rientra nel divieto, ma c’è chi invece dissente (La Halakhah segue l’ultima opinione).
Pitché Teshuvah ad loc.: Nei Resp. Me’il Tzedaqah n. 31 si domanda se la fustigazione è comminata solo per chi traccia un segno di significato convenzionale e risponde che è così. D’altronde basta anche aver tracciato un solo segno significativo per incorrere nella fustigazione.E. Munk ad v.: Le religioni politeiste che negano l’immortalità dell’anima esaltano le manifestazioni violente del dolore che portano quasi alla soglia del suicidio in onore della morte. Il tatuaggio, si pensa, faceva egualmente parte delle cerimonie pagane del lutto. All’opposto alcune popolazioni musulmane condannano qualsiasi segno di lutto, perché considerano la morte come un semplice passaggio a un’altra forma di esistenza. La dottrina ebraica insegna certo l’immortalità dell’anima ma, tenendosi lontana dalle posizioni estreme, limita le manifestazioni di lutto in modo preciso. Si può a questo punto sostenere che la conclusione “Io sono H.” viene a ricordarci che la morte è un decreto del D. d’amore. Non deve provocare manifestazioni di dolore ad oltranza.