Il piut Qorèh Meghillàh viene letto dopo la lettura della meghillàh nella maggior parte delle comunità sefardite e italiane. L’autore è R. Avraham Ibn Ezrà, uno dei principali poeti spagnoli, che operò XII sec. Nacque, come Yehudàh ha-Levì, suo contemporaneo, a Tudela. Altro concittadino illustre fu il viaggiatore Binyiamin da Tudela. Ibn Ezrà in qualche modo seppe sintetizzare le due figure, essendo un grande poeta e filosofo, ma anche un grande viaggiatore. Ebbe anche legami familiari con Yehudàh ha-Levì, poiché suo figlio Ytzchaq ibn Ezrà, anch’egli poeta, sposò l’unica figlia di Yehudàh ha-Levì. Il suo nome, Avraham, compare nelle iniziali delle cinque strofe del componimento.
Il piut è ricordato nei libri sui minhaghim e nei machazorim del XII e del XIII sec. in Francia, come nel Sefer ha-manhig ed in alcune versioni del Machazor Vitrì. Come in molti dei componimenti di Purim, nel piut viene ricordata la storia di Ester, con la particolarità che Avraham ibn Ezrà cerca di inquadrarle cronologicamente in un periodo ben preciso, al ritorno dall’esilio babilonese, ai tempi del profeta Chaggay e di Zerubavel. In realtà questa datazione è oggetto di disputa fra i commentatori, e lo stesso Avraham ibn Ezrà, commentando i profeti minori, scrive che gli avvenimenti narrati nel libro di Chaggay sono posteriori rispetto alla storia di Ester, visto che considera il re Dariawesh figlio di Ester. Aprendo il libro di Ester invece Ibn Ezrà sostiene che Achashwerosh visse dopo Koresh e Zerubavel, ma prima della ricostruzione del Tempio. Il poeta attraverso l’espressione acharè belotì (dopo che mi ero consumato) richiama la reazione di Saràh all’annuncio della nascita di Ytzhaq, e quindi alla conseguente rassicurazione divina, che è attribuibile anche alla storia di Ester. Nella prima strofa è scritto che ai tempi di Zerubavel la comunità si separò dai malvagi e dai sozzi, ed il riferimento è all’opera moralizzatrice descritta nel cap. 9 del libro di Nechemiàh, quando vennero allontanati gli appartenenti ad altri popoli che si erano mischiati con Israele.
La sorte di Aman, che nel mese di Adar voleva distruggere il popolo ebraico, ed invece fu il mese in cui morì, anticipa la sorte di Adbeel e Magdiel, considerati padri dell’Islam e della cristianità. Evidentemente ibn Ezrà si riferisce alla penosa situazione degli ebrei spagnoli perseguitati. Haman credeva di avere successo contro Israele come Khushan Rishataim, che nel cap. 3 dei Giudici, per via dell’ira divina, asservì Israele per otto anni, ma invece la sua sorte sarà quella di ‘Og che fu sconfitto da Moshè. Mordekhay viene assimilato al mor deror (mirra vergine), fra gli ingredienti dell’incenso, come scritto nella parashàh di Ki Tissà. Questa espressione è resa nel Targum Onqelos come “mora dakhia” che ha una assonanza con il nome Mordekhay, e così spiegano i Chakhamim in Massekhet meghillàh (10b). Ma la salvezza ai tempi di Mordechay preannuncia solamente la salvezza finale che si avrà in futuro, con il ritorno a Yerushalaim e al Bet ha-miqdash, chiamato Bet Tefillàh, con un chiaro riferimento a Isaia 56,7 “…perché la Mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli”. Nell’ultima strofa troviamo riferimento al pasto di Purim, che comprende carne e vino, oltre ad un accenno, secondo Rav Artom, alle orecchie di Aman (…ed anche poniti in bocca nettare di miele in ricordo dell’episodio di Haman).
Secondo altri invece la caduta di Haman deve essere gradita come la caduta della manna nel deserto. Viene invocato l’angelo Mikhael che tradizionalmente si occupa di Israele, che opererà il riscatto del popolo ebraico che condurrà alla venuta del Mashiach. Al termine della lettura del piut si recita uvà leTzion, introdotto dalle ultime parole “uwà goel”.