All’interno delle comunità ebraiche in Italia, vista la loro dimensione contenuta, la figura del rabbino ha avuto sempre un certo rilievo. Infatti in molte comunità, in passato come oggi, opera un solo rabbino, al massimo coadiuvato da un vicerabbino o da un officiante, mentre nelle comunità più grandi, che tuttavia non hanno mai superato le 15.000 unità, vi sono vari rabbini, coordinati da un rabbino capo. Per questo, a partire dall’Ottocento, il rabbino dovette acquisire numerosissime competenze, ed essere all’occorrenza, oltre che guida spirituale e fonte di sapere, anche maestro, responsabile dell’istruzione nella comunità, pastore, storico, ebraista, giureconsulto, cantore, giornalista, archivista.
A differenza della leadership politica, con la quale i rapporti non sono sempre stati idilliaci, il rabbino spesso protrae il proprio operato per numerosi anni, a volte decenni, permettendogli di conoscere tutti i membri della comunità che guida, e rappresentandola anche verso l’esterno. Il rabbino inoltre partecipa attivamente a molti dei momenti salienti nella vita degli individui, dalla nascita alla morte, rendendo maggiormente intimo il suo rapporto con gli appartenenti alla sua comunità.
Nei primi decenni del secolo gli ebrei italiani vennero investiti da una serie di eventi drammatici, che resero il periodo particolarmente difficile: le guerre coloniali in Libia ed Etiopia, le guerre mondiali, il fascismo, le leggi razziali, la Shoàh e la nascita dello stato d’Israele. Decisivo fu in questi frangenti il comportamento della leadership, che oltre ai compiti tradizionali, assunse quello di relazionarsi alle autorità, in un rapporto chiaramente difficile.
La situazione agli inizi del secolo Il ventesimo secolo significativamente si aprì con la scomparsa di uno dei grandi protagonisti del XIX secolo, Rav Elia Benamozegh di Livorno, che morì nel febbraio del 1900. Benamozegh, strenuo difensore della qabalàh, era stato il principale antagonista di Shemuel David Luzzatto di Padova, fondatore del Collegio Rabbinico Italiano assieme a Ytzchaq Shemuel Reggio, che ha favorito la diffusione in Italia delle idee di Moshèh Mendelsshon e della Haskalàh, depurate dagli eccessi riformistici. Il Collegio di Padova proponeva un modello formativo molto più razionale rispetto a quello livornese.
Con l’emancipazione, concretizzatasi nella seconda parte del XIX secolo, molti ebrei, ed in particolare l’intellighenzia ebraica, si integrarono nella società circostante, affievolendo il loro legame con le comunità ebraiche, impoverendole significativamente, partecipando alla vita comunitaria solo in rarissime occasioni. All’inizio del secolo pertanto vi era una situazione di grave decadenza e assimilazione. In particolare risultava uno scollamento fra la classe rabbinica, che fra mille difficoltà cercava di mantenere incontaminata la millenaria tradizione, ed il resto del popolo, che gradualmente diveniva sempre più povero di cultura ebraica. Il rabbino David Prato notava poi come l’ebraismo italiano si fosse totalmente scollato dall’ebraismo europeo e mondiale, ed in particolare come avesse perso il legame con l’Europa centrale e orientale, dove stava nascendo il movimento di rinascita spirituale del sionismo. All’inizio del secolo, tuttavia, una serie di giovani si rese conto di quanto stavano perdendo, e cercò di frenare, o almeno di rallentare, questo pericoloso processo. Questi giovani erano però sprovvisti degli strumenti necessari per affrontare questa sfida, in particolare la conoscenza della lingua ebraica, indispensabile per padroneggiare i testi tradizionali. Ma trovarono nel Rabbino di Firenze, Shemuel Zvì Margulies, nato in Galizia nel 1858 e insediatosi nel 1890, dopo aver studiato in Polonia e in Germania, il personaggio che avrebbe potuto assumere la guida di questo movimento, per via della sua vasta cultura rabbinica e generale. Il Collegio Rabbinico fu trasferito da Roma, dove era frequentato da pochi allievi e gli insegnanti non erano di livello, a Firenze, dove Margulies volle assieme a lui Elbogen e Chayes, i quali contribuirono a creare un Collegio di altissima levatura. A Livorno, tradizionalmente sede di un Collegio Rabbinico in competizione con quello di Padova, attorno al Rabbino Samuele Colombo, successore di Rav Benamozegh, si riunirono una serie di allievi, che diedero nuova linfa alla scuola.
Tradizionalmente la scuola livornese coltivava gli studi cabalistici, opponendosi al tipo di formazione razionalistica delle scuole di Padova prima, e di Firenze successivamente. Si prospettò l’ipotesi di fondere le due scuole, ma Alfredo Sabato Toaff, insegnante al Collegio di Livorno e successivamente direttore della scuola e presidente per trent’anni dell’Assemblea dei rabbini d’Italia, considerati anche i caratteri dei due direttori, Margulies e Colombo, con il primo che avrebbe preso il sopravvento, e volendo salvaguardare le peculiarità della scuola livornese, si oppose fermamente. David Prato, livornese trapiantato a Firenze, svolse tuttavia da collante fra i gruppi di allievi delle scuole. Successivamente Prato, forte anche dell’esperienza rabbinica ad Alessandria d’Egitto e del periodo passato in Israele, affrontò con successo dopo la guerra enormi difficoltà nella ricostruzione della comunità romana. Impulso importante per la rinascita dell’ebraismo italiano derivò anche dalla dichiarazione Balfour del 1917, e molti di questi giovani abbracciarono le idee del sionismo. Questa scelta fu incoraggiata da Margulies e Chajes, che coniugando cultura e partecipazione politica ravvivarono significativamente il quadro dell’epoca. In questo processo fu fondamentale la figura di Alfonso Pacifici. L’obiettivo polemico di questi giovani era la pseudo cultura ed il distacco dalla tradizione che aveva traviato la generazione precedente, profondamente assimilata, e la soluzione di questa difficoltà era il ritorno alla tradizione. In questo progetto istruzione e nazionalizzazione andavano di pari passo. Tra il 1911 e il 1924 si tennero quattro congressi, per tirare le somme e vedere quali difficoltà dovevano essere ancora risolte. In queste riunioni venne data un fortissima spinta ad organizzare in tutte le comunità corsi di ebraico parlato e ad istituire organizzazioni giovanili. Anche l’editoria ebraica, con personaggi come Dante Lattes e Alfonso Pacifici, iniziò un’intensa produzione, tramite le pubblicazioni Israel e la Rassegna Mensile di Israel, che viene pubblicata ancora oggi.
Il dopoguerra La seconda guerra mondiale colpì pesantemente l’ebraismo italiano, sia per via delle deportazioni, sia per le emigrazioni di ebrei nelle Americhe e in Palestina, dove nacque una vivace comunità. Nella guerra si assistette alla perdita di un quarto del corpo rabbinico italiano. La situazione materiale non fu certo migliore, sia a livello individuale che collettivo. Le gloriose sinagoghe di Padova e Livorno, due simboli della rinascita della cultura ebraica in Italia, vennero distrutte. Anche in questo caso un importante strumento fu quello dell’editoria ebraica. Il settimanale Israel difatti si rivelò il principale strumento di informazione delle famiglie in campo ebraico, e rappresentava l’espressione di un nuovo orgoglio, che in seguito alle delusioni dei decenni precedenti, riconosceva nel neonato stato d’Israele la risposta al tramonto degli ideali che avevano caratterizzato il secolo precedente. Paradossalmente le leggi razziali, con l’istituzione di scuole ebraiche separate, avevano rafforzato l’istruzione ebraica, per via della presenza dei professori cacciati dalle università, che contribuirono ad avere una scuola di altissimo livello. Inoltre i campi profughi degli alleati permisero il contatto con la cultura ashkenazita tanto agognato dai pensatori del secolo precedente.
Un evento che accrebbe incredibilmente l’interesse intorno agli studi ebraici, i cui effetti si protraggono sino ad oggi, è il Concilio Vaticano II, con il quale lo sguardo della Chiesa nei confronti dell’ebraismo mutò significativamente, influenzando la società civile, che pose sempre maggiore attenzione alla vita e alla cultura ebraica. Nei decenni successivi per tre volte, nel 1986, nel 2010 e nel 2016 i Pontefici solcarono la porta del Tempio Maggiore di Roma, instaurando un rapporto, anche se caratterizzato da naturali avanzamenti e regressi, sino a pochi decenni prima impensabile.
La formazione dei rabbini La gran parte dei rabbini italiani della seconda parte del ‘900 si è formata in due istituti superiori di formazione rabbinica, il Collegio Rabbinico italiano e la scuola Margulies (poi Margulies-Disegni). Il Collegio Rabbinico, fondato a Padova nel 1829, che ebbe fra i suoi docenti più illustri Shemuel David Luzzatto, e successivamente trasferito a Roma, poi a Firenze, e nuovamente, nel 1933 nella capitale, diretto dal Rabbino Angelo Sacerdoti, che scomparve due anni dopo, a cui successe il Rabbino David Prato. Tra il 1951 e il 1955 l’unico polo di formazione fu la scuola Margulies, fondata dal rabbino Disegni, sino a quando, nel 1955, il Collegio Rabbinico tornò a Roma. Nella seconda metà del ‘900 fu diretto da Dante Lattes, da Rav Alfredo Sabato Toaff, da Rav Elio Toaff, e da Rav Giuseppe Laras. Dal 1999 è Direttore l’attuale Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni. All’interno del Collegio Rabbinico ci sono vari rami di formazione, quello strettamente rabbinico, che conduce al titolo di maskil, al termine di otto anni di corsi, e successivamente, al termine del corso superiore, della durata di quattro anni, a quello di Chakham (Rabbino Maggiore), e il seminario Almagià, che si occupa della preparazione degli insegnanti di materie ebraiche per le scuole elementari. Le prime fasi dello studio sono destinate all’acquisizione della conoscenza della Toràh e del resto della Bibbia con i suoi commenti principali (Rashì, Ramban, Radaq), della Mishnàh con il commento del grande maestro italiano Ovadiàh Yarèh da Bertinoro, della liturgia, e dei rudimenti dello studio del Talmud, della storia ebraica e del Midrash. E’ di fondamentale importanza l’acquisizione della padronanza dell’ebraico, indispensabile per affrontare gli studi più avanzati, incentrata sullo studio del Talmud e della ritualistica. Con una certa continuità il Collegio Rabbinico si è potuto avvalere di insegnanti provenienti dall’estero, per lo più da Israele.
Alcune figure rabbiniche del ‘900
Isacco R. Tedeschi (1826-1908) Pur vivendo per lo più nell’Ottocento iniziamo la nostra breve rassegna, che non includerà i rabbini viventi, e che affronterà solo alcune figure paradigmatiche, con il rabbino Tedeschi di Ancona, considerato l’ultimo decisore di halakhàh italiano, nonché l’ultimo testimone della gloriosa scuola anconetana. Rav Tedeschi si inserisce nel filone della tradizione sefardita, che all’accuratezza negli studi univa il confronto con il mondo circostante, e si opponeva al movimento di riforma tedesco, che minacciava di prendere piede in Italia. Fu autore di numerose opere, di cui molte inedite, fra cui un commento alla Toràh, in ebraico, basato sui commentari medievali e sui contemporanei, fra cui Reggio, Benamozegh, Munk e Shemuel David Luzzatto, con cui spesso era in disaccordo, una piccola enciclopedia, con 665 lemmi ad integrazione dell’imponente Pachad Ytzchaq di Ytzchaq Lampronti di Ferrara, una raccolta delle sue omelie in italiano, oltre alla sua opera più famosa, i responsa Waya’an Ytzchaq. In generale si nota nelle sue opere la tendenza a respingere le proposte di innovazione dei colleghi più facilitanti, come quella di abolire la dodicesima benedizione dalla ‘amidàh, o di abolire il secondo giorno di festa solenne proprio della diaspora.
Vittorio Castiglioni (1840-1911) Triestino,Rav Castiglioni fu rabbino capo di Roma fra il 1903 e il 1911. Discendeva da una famiglia molto legata alla tradizione, della quale vari membri ricoprivano degli incarichi nella Sinagoga triestina. La sua opera principale fu la traduzione in italiano della Mishnàh, corredata da un ricco apparato di note. Inoltre Castiglioni può essere considerato l’ultimo poeta italiano in lingua ebraica, per via del suo libro di sonetti, Nizmè ha-zahav stampato in Polonia nel 1906. Dedicò gran parte della sua vita all’insegnamento presso l’istituto magistrale di Trieste, che lo assorbì per 32 anni, sino a quando non fu chiamato, oramai in tarda età, a guidare la comunità più popolosa d’Italia, che, tre anni dopo la scomparsa del rabbino Ehrenreich, indisse un concorso, vinto da Castiglioni, al quale parteciparono ventuno candidati, di cui solo sei italiani. Il Rabbino Castiglioni si dedicò in modo particolare sul fronte interno, riorganizzando la kasherut della capitale e partecipando a tutti i momenti della vita religiosa della città, venendo apprezzato per i suoi sermoni ,che richiamavano molte persone ad ascoltarlo. Nel 1904 accolse il re Vittorio Emanuele III, in visita al Tempio maggiore appena edificato. La morte di Castiglioni, nel 1911, fu seguita da notevoli polemiche, che ne influenzarono negativamente il ricordo, poiché Castiglioni aveva lasciato scritto, contrariamente a quanto prescrive la normativa ebraica, di voler essere cremato. Su questo punto nei decenni precedenti era sorta una accesa discussione fra i rabbini italiani, e Castiglioni era fra i favorevoli alla cremazione, sebbene esprimesse una posizione intermedia, che non considerava questo comportamento obbligatorio, ma solamente lecito. Dopo la sua morte Margulies, con il quale i rapporti non erano mai stati idilliaci, scrisse un testo molto critico verso la scelta di Rav Castiglioni. Significativamente fu Margulies, considerato il leader dei rabbini italiani, e non Castiglioni, a gestire in prima persona le visite a Roma di Theodor Herzl, del re e del Papa.
Angelo Sacerdoti (1886-1935) Alla morte di Castiglioni, la comunità assunse una decisione di indirizzo opposto alla precedente, scegliendo un rabbino giovanissimo e proveniente dalla scuola fiorentina. Infatti venne scelto un allievo di Margulies, da pochissimo diplomato nella sua scuola, giovanissimo e non sposato, Angelo Sacerdoti, che all’epoca aveva tenuto solamente per un brevissimo periodo la cattedra rabbinica di Reggio. Guidò la comunità romana per un ventennio, e poco dopo la sua nomina l’Italia entrò in guerra. Rav Sacerdoti istituì e organizzò il rabbinato militare italiano, molto attivo per via della massiccia adesione degli ebrei italiani al primo conflitto mondiali. In questo modo Sacerdoti divenne il principale rappresentante dell’ebraismo italiano all’esterno, e fu l’interlocutore privilegiato della monarchia e del governo fascista, che sfociò nella legge sulle Comunità del 1930, che regolava la vita delle comunità ebraiche italiane ed il loro rapporto con le istituzioni. Sacerdoti, per via della sua prematura scomparsa, non poté assistere al voltafaccia di Mussolini nei confronti degli ebrei italiani, ed alcuni ritengono che per via della sua influenza avrebbe potuto limitarlo.
David Prato (1882-1951) Rav Prato, prima di affacciarsi sulla scena romana, fu un educatore, un cantore sinagogale ed un sionista, che intrattenne rapporti con Mussolini in modo particolare dopo la scomparsa di Sacerdoti, con cui i rapporti, nonostante la comune origine toscana, non furono buoni. Il suo sionismo non è più tollerabile per via della situazione politica e la dirigenza comunitaria entra in contrasto con lui, portandolo ad emigrare a Tel Aviv, salvandolo dagli orrori della guerra, che tuttavia lo colpì pesantemente, per via della deportazione del genero, fascista e antisionista, e della figlia. Dopo il conflitto venne chiamato a ricostruire la comunità romana, sino alla sua morte.
Dante Lattes (1876-1965) Nacque nel 1876 a Pitigliano, da una famiglia molto modesta. Fu allievo di Rav Benamozegh presso il Collegio Rabbinico di Livorno. Inviato a Trieste, sposò Emma Curiel, figlia del segretario della comunità, e dal suocero ereditò la direzione del Corriere Israelitico. Vivere a Trieste, allora parte dell’impero asburgico, favorì Lattes, che entrò in contatto con personalità di primissimo livello del mondo ebraico europeo. All’inizio della prima guerra mondiale, per via della sua cittadinanza italiana, fu costretto ad abbandonare Trieste. Si trasferì prima a Padova, poi a Firenze, dove divenne amico di Alfonso Pacifici, direttore della Settimana israelitica. Dalla fusione delle due testate nacque Israel, e successivamente la Rassegna Mensile di Israel. Lattes, stabilitosi a Roma, divenne un esponente di primo piano del sionismo e si dedicò alla diffusione della cultura ebraica. Ha insegnato lingua e letteratura ebraica presso l’Istituto di Lingue Orientali a Roma. Nel 1933 entrò nel consiglio dell’Unione delle comunità italiane e nel 1936 fu fra i fondatori del World Jewish Congress. Per via di ciò durante la seconda guerra mondiale fu costretto ad emigrare prima a Tel Aviv, poi a Gerusalemme. In questi anni coltivò il rapporto con Martin Buber. Dopo la guerra tornò in Italia, assumendo incarichi di primo piano nell’organizzazione dell’ebraismo italiano, come la direzione del Centro di cultura ebraica dell’Unione delle Comunità e del Collegio Rabbinico Italiano. Nel 1952 fu eletto vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. In tarda età si trasferì a Venezia, e successivamente a Padova, per essere vicino al suo unico nipote, Amos Luzzatto. E’ sepolto a Padova, vicino a Shemuel David Luzzatto, autore che studiò a fondo, pur non rinnegando mai il ricordo del suo maestro Benamozegh, suo rivale. Lattes, in modo particolare nel secondo dopoguerra, fu un autore estremamente prolifico. Fra le sue opere principali ricordiamo Apologia dell’ebraismo (1923), Nel solco della Bibbia (1938), Aspetti e problemi dell’ebraismo (1954), I profeti d’Israele (1960), oltre ai commenti alla Toràh (1948-49), alle Haftarot e ai Salmi, che uscirono come dispense settimanali, e furono poi raccolte in alcuni volumi.
Dario Disegni (1878-1967) Rav Disegni nacque a Firenze nel 1878, e la sua formazione rabbinica avvenne sotto il Rabbino Margulies, che fu circondato da numerosi allievi fra cui personaggi come Dante Lattes e Alfonso Pacifici, e futuri rabbini come Elia S. Artom, Umberto Cassuto, Gustavo Castelbolognesi e Angelo Sacerdoti. Rav Disegni certamente può essere considerato uno dei rabbini che maggiormente hanno influenzato l’ebraismo italiano del ‘900, e vari rabbini attualmente in carica sono stati formati da lui o da suoi discepoli. Dopo varie esperienze in varie comunità, nel 1931 si stabilì a Torino, divenendone rabbino capo nel 1935, succedendo al rabbino Bolaffio. Si dedicò alla divulgazione della cultura ebraica, principalmente attraverso la traduzione della Bibbia ebraica, curata dall’Assemblea dei Rabbini Italiani, che si proponeva di “contribuire a una migliore conoscenza degli eterni valori della tradizione ebraica”, e dei formulari liturgici, ancora in uso a Torino. Ogni suo sforzo era “per la diffusione della Torà e per l’avvicinamento alle fonti dell’ebraismo dei fratelli più lontani”. Nel periodo della traduzione della Bibbia il rabbino era ultraottantenne, ma ciò non gli impedì di affrontare questa impresa, occupandosi anche di questioni organizzative ed economiche. Fra i rabbini che contribuirono all’impresa ci furono Alfredo Sabato Toaff, Menachem Emanuele Artom, Ermanno Friedenthal, Elio Toaff, Elia Samuele Artom e Alfredo Ravenna. Altro ambito che vide Rav Disegni protagonista fu, in piena guerra, la fondazione della scuola Margulies, che poi prese il suo nome. Rav Disegni coinvolse nell’insegnamento numerosi validi rabbini e cercò studenti nelle comunità italiane ed estere, dalla Grecia all’Etiopia. Fra gli studenti della scuola ricordiamo Aldo Luzzatto, rabbino capo di Genova e poi vicerabbino di Milano, Emanuele Weiss Levi, per 35 anni rabbino di Verona, scomparso di recente a Torino, Isidoro Kahn, rabbino a Napoli e Livorno, Achille Viterbo, per oltre 40 anni rabbino a Padova, Umberto Sciunnach, Rabbino di Firenze, lo storico Roberto Bonfil di Atene, che si laureò poi al Collegio Rabbinico di Roma nel 1959, che era compagno dei futuri rabbini Giuseppe Laras, per molto tempo Rabbino Capo di Milano e Luciano Caro, tuttora rabbino di Ferrara. Quando era in vita, la sua attività non fu pienamente compresa ed apprezzata, in particolare perché i suoi viaggi in cerca di fondi per la scuola e per le traduzioni furono considerati tempo sottratto ai compiti istituzionali del rabbino.
Ermanno Friedenthal (1881-1970) Rav Ermanno Friedenthal nacque in Ungheria nel 1881, dove iniziò gli studi, per poi trasferirsi a Vienna. Nel 1902 fu inviato al Collegio Rabbinico di Firenze, dove studiò con Margulies e Chayes, frequentando contemporaneamente la Facoltà di scienze. Fu cantore della Sinagoga di Firenze. Sposatosi, fu rabbino a Cuneo, e successivamente a Gorizia. Nel 1912 ottenne il titolo di Chakham presso il Collegio Rabbinico di Firenze. Con l’entrata in guerra tornò in Ungheria. Nel 1919, sentendosi in pericolo, per via dei tumulti che seguirono allo sgretolamento dell’impero austro-ungarico, tornò a Gorizia, nel frattempo divenuta italiana. Nel 1924 divenne rabbino di Verona, dove rimase sino al 1943, anno in cui si rifugiò a Milano, dove offrì il suo aiuto per risollevare la comunità, che prestò lo nominò rabbino capo, carica che mantenne sino alla morte nel 1970, pur essendosi ritirato a vita privata nel 1965 per via di una grave malattia.
Elio Toaff (1915-2015) Rav Elio Toaff è stato uno dei grandi protagonisti dell’ebraismo italiano del ‘900 e Rabbino Capo di Roma, la comunità italiana maggiormente popolosa, per mezzo secolo. Dopo la formazione a Livorno, maggiore centro dell’ebraismo sefardita in Italia, dove divenne amico di Carlo Azeglio Ciampi, e la laurea in giurisprudenza a Pisa, che conseguì nel 1938, prima della emanazione delle leggi razziali, iniziò a svolgere l’attività rabbinica ad Ancona, proprio quando stavano iniziando le persecuzioni fasciste. Rav Toaff guidò la protesta rabbinica contro la preghiera per la salute del re e della casa regnante, che si recitava ogni sabato nelle sinagoghe. Nel ’43, con la chiusura della comunità, tornò in Toscana, dove partecipò attivamente alla Resistenza, salvandosi miracolosamente di fronte ad un plotone di esecuzione tedesco. Probabilmente queste drammatiche esperienze rafforzarono ulteriormente la sua proverbiale ironia, favorita anche dalla sua origine toscana. Toaff, profondamente vicino alle idee del sionismo, non emigrò in Israele solo perché il padre Alfredo Sabato Toaff, rabbino di Livorno, gli disse che un rabbino non abbandona mai la sua comunità. La guerra comportò la perdita di varie giovani guide spirituali, come i martiri Riccardo Pacifici e Nathan Cassuto, e Rav Toaff fu fra i pochi sopravvissuti della nuova generazione. Si impegnò nella ricostruzione della comunità di Ancona, e poi quella di Venezia. Arrivò a Roma nel 1951, dedicandosi anche in questo caso a risollevare la comunità, profondamente segnata dalla guerra e intimamente toccata dalla conversione al cristianesimo dell’ex rabbino, investendo nell’istruzione ebraica e restituendo dignità alla funzione rabbinica, resistendo in varie occasioni agli impulsi laicizzatori della direzione comunitaria. In particolare si dedicò alla crescita delle scuole ebraiche e del Collegio Rabbinico, che dirigeva. Rav Toaff fu uno strenuo difensore della normativa ebraica. Non si può non ricordare la visita di Giovanni Paolo II, prima nella storia, alla Sinagoga di Roma nel 1986. Nel 1987 fu pubblicata la sua autobiografia, Perfidi giudei fratelli maggiori. Toaff fu una delle tre persone citate esplicitamente nel testamento spirituale di Giovanni Paolo II. Nel 2005 venne proposto come senatore a vita. Lasciata nel 2001 la cattedra rabbinica di Roma fu nominato rabbino emerito, sino alla sua scomparsa nel 2015, appena dieci giorni prima di compiere 100 anni. Nella sua ultima intervista, rilasciata in occasione del suo novantacinquesimo compleanno, dichiarò: “ho commesso un solo peccato nella mia vita, ho rubato un carro armato tedesco e l’ho inviato in Palestina”. E’ sepolto nella sua Livorno.
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