Rav ‘Ovadiàh Yosef, nello Shu”t Yechawwè da’at (3,65), esamina la seguente domanda: una persona di riguardo che riceve dal re una medaglia d’oro onorifica a forma di croce, può indossarla, o tenerla in casa, o goderne? I rishonim ashkenaziti (Terumat ha-deshen, il Mordekhai a nome del Raaviàh) si mostrano facilitanti, in quanto scrivono che le croci che i religiosi cristiani indossano non servono se non per ricordo, e pertanto non le si devono considerare come idolatria, tanto da vietarne il godimento.
Il Terumat ha-deshen (responsum 196) ritiene tuttavia che non ci si debba inchinare, in segno di rispetto, di fronte a chi indossa questo simbolo. Il Ramà (Yorèh de’àh 141,1), il testo del quale è stato rimaneggiato dalla censura, come possiamo ricavare dai suoi commentari, che riportano un testo differente, lega la questione alla prostrazione di fronte alla croce, e visto che non ci si inchina di fronte alle croci che si portano al collo, perché sono solamente un ricordo, ne è permesso il godimento. Lo Sha”kh però puntualizza che se ci si trova di fronte ad un dubbio, ed esiste pertanto la possibilità che tale croce venga adorata, si deve essere rigorosi, come per qualsiasi dubbio relativo a divieti della Toràh. Il Ritvà, commentando la Mishnàh in massechet Avodàh Zaràh, permette l’utilizzo di monete che abbiano impresso il segno della croce, in quanto non viene adorato. Rav Ovadiàh, fra le numerose fonti riporta anche due responsa italiani: lo Shut Zera’ emet (2,45), che scrive che, anche se il loro uso era di essere rigorosi, secondo l’opinione dello Sha”kh, per le croci di oro e pietre preziose, che costituiscono unicamente un abbellimento, si usa permettere anche a priori, e si ha su chi appoggiarsi. Per questo è permesso per i mercanti ebrei commerciare questi articoli.
Una seconda Teshuvàh è quella di Rav Tedeschi di Ancona (p. 166), che appoggiandosi sullo Zera’ emet facilita. Il caso su cui si esprime è quello delle insegne cavalleresche, che hanno delle analogie con la croce, ma non sono fatte per essere adorate, e sono solo degli abbellimenti. Tuttavia Rav Tedeschi scrive che è giusto toglierle durante la tefillàh e quando si va a sefer. E’ interessante che secondo il rav questa indicazione verrà seguita solo dai più timorati. In merito è opportuno ricordare un psaq del Rosh, alla fine del trattato di Berakhot, che scrive che se una persona sta pregando ed arriva un non ebreo che tiene un’immagine di avodàh zaràh, non si inchini durante il modim, anche se il suo cuore è rivolto al Cielo. Il Rosh tuttavia non indica di quale immagini si tratti. Lo Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 113,8) riferisce l’affermazione del Rosh alla croce. Il Prì Chadash (Orach Chayim 113) spiega però che se la croce è cucita nella parte posteriore del vestito del non ebreo, è permesso pregare di fronte a lui. Se invece il non ebreo è voltato di schiena, è vietato. Il responsum del Zera’ emet viene citato anche da Chayim Palagi nello Shut Lev Chayim, che interrogato su un caso simile, ritiene che il non indossare la medaglia, che viene conferita solo a coloro che sono nelle grazie del re, potrebbe creare degli odi. Chashukè Chemed (‘Avodàh Zaràh 40 b) narra di un medico ebreo che si trovava a Roma durante la guerra, che, pur continuando a rispettare le mitzwot di nascosto, si finse non ebreo, e si distinse molto nel suo lavoro, tanto da ricevere come riconoscimento una medaglia con una croce. Il non indossarla avrebbe portato al rischio di far saltare la sua copertura, e pertanto gli era consentito indossarla.
C’è da segnalare tuttavia che c’è un poseq che dissente, il Meorè or, che scrive che, qualora un ebreo voglia acquistare un oggetto con queste forme, deve chiedere al non ebreo che glielo vende di romperlo, di modo tale non considerarlo più un oggetto idolatrato. Difatti i cristiani usano baciare e pregare tramite questi oggetti quando mangiano e prima di andare a letto, ed è possibile che ai tempi del Ramà non avessero tale abitudine. Gli acharonim in ogni caso non tengono in considerazione questa opinione. Rav Ovadiàh Yosef, al termine del responsum, riporta un episodio che ebbe come protagonista un Rav, il Rishon leTzion R. Ya’aqov Meir (1856-1939), nominato rabbino capo sefardita d’Israele assieme a Rav Quq nel 1921, che ricevette una medaglia del genere, che indossava regolarmente quando visitava chi gliela aveva conferita, appoggiandosi evidentemente sui poseqim che permettono, e si fece persino fotografare con tale medaglia.