Shorshè ha-Mitzwah:
Maimonide, Moreh Nevukhim, III, 26 sgg.: Il divieto di indossare lana e lino si motiva con il fatto che questo tipo di abiti era indossato in antico dai sacerdoti dei culti pagani durante i loro riti.
Nachmanide (a Wayqrà): Non è esatto, come dice Rashì, che queste mitzwòt non hanno spiegazione del tutto. E’ vero piuttosto che la loro motivazione non è stata rivelata, ma esiste. H. ha fatto ogni creatura animale o vegetale sulla terra con caratteristiche specifiche sue proprie che vanno preservate. Se si accoppiano animali o piante di specie differente, il prodotto finale costituisce una nuova entità che non rispetta più il piano originario della Creazione. E’ come se si dubitasse sul valore e la completezza del creato come è stato voluto da H (mevattel chuqqot Shamayim; cfr. Iyov 38,33: ha-yada’ta chuqqot Shamayim). Il diritto di produrre nuove creature spetta solo a D. e non all’uomo. Anche il divieto di aggiogare insieme il bovino e l’equino è finalizzato a evitare che si giunga ad accoppiarli.
Ibn Ezrà (a Devarim): Il divieto di aggiogare insieme il bue e l’asino è un atto di clemenza di H. verso creature che non hanno la stessa forza fisica: dal momento che il bue è più forte dell’asino, si finirebbe per costringere il bue a reggere tutto il peso o l’asino a stargli dietro.
Sefer ha-Chinnukh (a Devarim): Il divieto di aggiogare insieme il bue e l’asino vuole prevenire la sofferenza degli animali (tza’ar ba’alè chayim) che è proibita dalla Torah: è infatti evidente che ogni specie animale tende naturalmente a stare con i propri simili. Da qui si impara per quanto riguarda gli esseri umani: non si devono mai associare due persone diverse per estrazione e temperamento con la pretesa che lavorino assieme: se la Torah lo vieta a carico di creature sprovviste di intelletto, come gli animali, tanto più la regola varrà nel consesso degli uomini che sono creature raziocinanti.
Da’at Zeqenim (a Devarim): il divieto di indossare lana e lino è stato voluto da H. per evitare che gli uomini riproducessero per se stessi ciò che invece era prescritto negli arredi del Mishkan: la Parokhet era infatti confezionata di lana e lino. Il divieto sarebbe dunque parallelo a quello relativo all’incenso aromatico (qetòret), la cui riproduzione a fini profani è infatti proibita dalla Torah (Shemot 30, 37-38).
Recanati: Colui che indossa mescolanze come lo sha’atnez (< satan ‘az) unisce insieme due forze del male che H. ha voluto separare affinché non portassero a livello di coscienza le trasgressioni di Israel. Il divieto di sha’atnez è connesso con il Midrash sull’episodio in cui Qayin e Hevel hanno voluto recare un’offerta a H. Qayin recò “del frutto della terra” e il Midrash commenta che si trattò di lino; Hevel recò “dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso” e il Midrash afferma che si trattò di lana. L’accettazione da parte di H. del dono di Hevel e il Suo rifiuto del dono di Qayin portò al primo fratricidio nella storia dell’umanità. Da qui si evince che lana e lino simboleggiano due elementi inconciliabili.
Bereshit 4,2-8: …Hevel era pastore di greggi e Qayin lavorava la terra. Dopo un certo tempo avvenne che Qayin recò a H. un’offerta dai prodotti del terreno. Hevel portò anch’egli dai primogeniti del suo gregge e dal loro grasso. H. mostrò di gradire Hevel e la sua offerta, mentre non mostrò gradimento per Qayin e la sua offerta. Qayin si irritò molto e il suo volto era abbattuto… Qayin si levò contro suo fratello Hevel e lo uccise.
Midrash Tanchumà, Bereshit, 9: “Qayin recò… dai frutti della terra”, dall’avanzo del suo cibo. I nostri Maestri dicono che erano semi di lino. Hevel “recò anche lui dai primogeniti del suo gregge e dal loro grasso”, perciò è stato proibito di indossare lana e lino.
‘Etz Yossef ad loc. a nome del Maharshal: Dal momento che a proposito di Qayin non è scritto “dalle primizie dei frutti della terra”, se ne evince che recò qualcosa di non commestibile: un frutto che ha lo stesso sapore della terra, ovvero il lino.
Pirqè de-Rabbì Eli’ezer, 21: R. Yehoshua’ ben Qorchah diceva: Il S.B. ha proclamato: non mescolate mai le offerte di Qayin e Hevel nel confezionare il vostro abbigliamento, come è detto: “non indosserai sha’atnez, tessuto di lana e lino insieme” (Devarim 22,11). E se anche fosse già stato confezionato, che l’abito non venga su di te, come è scritto: “e non ti metterai addosso un indumento contenente sha’atnez” (Wayqrà 19,19).
R. Bachyè (a Wayqrà): Queste mitzwòt sono chiamate chuqqim, perché il loro scopo non è legato alla sfera fisica soltanto, ma a forze di origine celeste (chuqqot shamayim). I nostri Maestri dicono che afillu ha-‘elyonim tzerikhim shalom (“anche le sfere superiori necessitano di pace”: Midrash Tanchumà yashan, Bereshit 13), in base al versetto: ‘osseh shalom bi-mromaw (“Colui che fa la pace in Alto”: Iyov 25,2). Le costellazioni devono eseguire il proprio compito così come sono state ordinate e colui che fa la pace in basso determina anche la pace in alto: nel senso che le forze celesti si comporteranno secondo le esigenze del mondo terreno (cfr. Bereshit Rabbà 10,7: “non c’è semente sulla terra che non abbia una forza in cielo che le comandi come deve crescere e svilupparsi”). Colui che invece mescola le forze terrene senza rispettare le differenti specie si oppone alla pace, perché mescola anche le forze celesti scompaginandone l’ordine. Questo è il senso della parola kil’ayim dalla radice k.l.’. che significa “imprigionare, impedire, contenere, trattenere”.
Non è il caso di unire insieme forze antagoniste, come quelle rappresentate dai due primi nati nella storia (Qayin e Hevel), perché la loro unione non può dare buoni risultati. E’ bensì necessario separarle e solo così facendo si preserva la pace nel mondo. Essi hanno portato in offerta rispettivamente lana e lino e il risultato è stato che entrambi sono morti di morte violenta (Hevel è stato ucciso e Qayin è stato inghiottito dal diluvio: Qohelet Rabbà 6,3). Per questo il lino è anche chiamato bad (lett. “tessuto”), dalla radice b.d.d. che indica solitudine, perché è proibito unirlo alla lana. Indossare tale mescolanza porterebbe a scompigliare le forze celesti. E’ invece permesso il kila’yim nello tzitzit (purché ci sia anche il tekhelet) e negli abiti indossati dai Kohanim durante la ‘avodah nel Bet ha-Miqdash, perché queste particolari situazioni di qedushah hanno la forza di unire positivamente tutte le forze.
Sh.R. Hirsch, Comm. a Bereshit 4,2: …Da un lato l’agricoltura ha stimolato tutti i grandi progressi culturali dell’umanità, è alla base di molte invenzioni e ha dato origine all’istituzione stessa dello Stato con la sua amministrazione. D’altro lato essa ha sempre avuto la tendenza a piegare la testa del contadino allo stesso livello della terra da questi lavorata. L’agricoltura ha l’effetto di soggiogare. Inoltre l’agricoltore è portato a venerare le stesse forze della Natura da cui dipende il suo sostentamento. I popoli agricoli furono i primi a perdere la pura consapevolezza di D. e dell’uomo: politeismo e schiavitù ne furono gli effetti. La vita pastorale, al contrario, ha i suoi vantaggi. Anzitutto si interessa di creature viventi e ciò porta a sviluppare i buoni sentimenti. L’instabilità della proprietà fa sì che il pastore non attribuisca a essa soverchio valore. Questo tipo di attività, inoltre, non assorbe tutte le forze della persona al servizio della materia e le lascia tempo e disponibilità per riflessioni più elevate. Troviamo così che i Patriarchi e le grandi figure del nostro popolo, da Moshe a David, erano pastori: questi ultimi, d’altronde, erano detestati in Egitto, terra agricola per eccellenza.
La Torah cerca di prevenire l’asservimento dell’uomo alla propria occupazione e il culto della proprietà. Il precetto dell’anno sabbatico ci insegna che il suolo e il potere di lavorarlo appartengono a D. e non all’uomo. Le leggi agricole come il kil’ayim ci rimandano costantemente a Lui e ci richiamano ai sentimenti di umanità e fratellanza. In questo modo la Torah risolve il problema di uno stato agricolo al servizio di D., unito nella libertà e nell’uguaglianza fraterna.