Nel trattato di ‘Euvin (43b) è scritto che è stato assicurato ad Israele che il profeta Elia, che preannuncerà la venuta del Mashiach, non verrà né la vigilia di Shabbat, né la vigilia di Yom tov “per via della fatica”, di lasciare i preparativi dello Shabbat per accoglierlo (Rashì). Per questo la figura del profeta Eliahu è stata posta al centro del pasto dell’uscita di Shabbat (melawwèh malkà), nel primo momento utile per annunciare la redenzione.
Alla fine del libro di Malakhì (3,23-24) infatti il profeta è destinato ad annunciare la venuta del giorno del Signore, grande e terribile. Allo stesso modo il piut Elihau ha-navì è entrato a far parte dei canti che accompagnano l’uscita di Shabbat, ma non l’uscita di Yom Tov, o perché in Diaspora facciamo due giorni di Yom Tov (Avudraham), o perché è sufficiente ricordarlo una volta alla settimana (R. Avraham Azulai nelle glosse al Levush). Un motivo ulteriore per cui il piut viene recitato alla fine dello Shabbat è che la havdalàh separa fra il sacro ed il profano ed Elihau porrà una distinzione fra i kesherim d’Israele e quelli che non lo sono. L’Avudraham ed il Sefer ha-manihig aggiungono che il rispetto dello Shabbat appena terminato porta alla venuta del Mashiach.
La fonte di questo insegnamento è il Talmud Yerushalmì (Massekhet Ta’anit, cap. 1, halakhàh 1): “se Israele rispettasse uno Shabbat come stabilito, il figlio di David arriverebbe immediatamente”. Tosafot ha-shalem nota che le lettere che compongono il termine Waishbot alla fine della creazione del mondo sono le stesse di Wetishbì, che come vedremo è un appellativo di Elihau. Il Maharil e il Kaf ha-Chayim scrivono che all’uscita di Shabbat Elihau ha-navì si mette sotto l’albero della vita a scrivere i meriti di coloro che hanno rispettato Shabbat. Il Kaf ha-chayim riporta una tefillàh da recitare dopo aver bevuto il vino della havdalàh, dove si invoca l’ausilio di Elihau ha-navì per avere successo nello studio della Toràh. I poseqim, proprio per avere successo nello studio, scrivono di ripetere il nome di Elihau un numero minime di volte: 52, ghematrià di Elihau, 120, 130, come la ghematrià di Elihau ha-navì.
Il piut, molto antico, di cui non conosciamo l’autore, è costruito in ordine alfabetico. Sono stati scritti numerosi piutim del genere, ma nessuno ha avuto lo straordinario successo e la diffusione di questo. Ripercorre la vita di Elihau, identificato dai chakhamim con Pinechas, ricordato nei primi versi del componimento, la cui vita si protrasse pertanto per dodici generazioni. Il termine che ritorna all’inizio di ogni parte dei versi è Ish, proprio per sottolineare che Eliahu, nonostante la sua vita e la sua scomparsa eccezionali, era pur sempre un uomo. Il nome di Eliahu viene ricordato in apertura per tre volte. Avudraham (seder motzaè Shabbat), che ha commentato il piut, ritiene che la ripetizione per tre volte persegua l’intento di sottolineare un concetto, secondo il verso (Qohelet 4,12) “il filo triplo non si spezzerà presto”. Gli epiteti Tishbì e Ghil’adì sono tratti dal primo verso del capitolo 17 del primo libro dei Re.
Nella prima strofa ci si riferisce a Pinechas, al suo zelo, alla pace che ha portato, e all’espiazione derivante dal suo comportamento. Moshèh viene definito come Yequtiel, che era uno dei suoi sette nomi (Megillàh 13a). Nella seconda strofa troviamo i tratti inconfondibili dell’Elihau storico, la sua chioma ( o pelosità, o pelliccia) e la cinta di pelle che indossava. Abravanel spiega che la cinta di pelle corrisponde alla tunica di pelle che H. fece ad Adam e Chawwà. Difatti Elihau ha-navì ottiene tutto ciò che è stato negato ad Adam, In questo modo si spiega perché siede sotto l’albero della vita e perché non è rimasto mortale, mentre Adam, che era nato immortale, fu condannato a morire. L’albero della vita è la ricompensa per non aver peccato. Il Gherà, nel suo commento ai Tiqqunè ha-Zohar, scrive che le prime tavole erano state fatte con l’albero della vita.
A Roma si recita una versione breve del piut, che comprende le prime due strofe e l’ultima. L’ultima strofa approfondisce il ruolo di Elihau alla fine dei giorni, quando Elihau scioglierà i dubbi ingeneratisi nell’interpretazione della Torà, restituendo pertanto il successo agli studiosi, e condurrà il popolo ebraico dall’oscurità alla luce, ponendo fine all’esilio di Israele. In un’ulteriore strofa, che non segue l’ordine alfabetico, vengono riportati due motivi talmudici, secondo i quali sono beati coloro che lo vedono in sogno e coloro che lo hanno incontrato scambiandosi il saluto. Il piut, prima di riportare il verso di Malakhì dove Elihau preannuncia la redenzione, si chiude con il verso dei Salmi (29,11) in cui H. benedice il popolo d’Israele con la pace.