La Mishnàh nel trattato di Avot (1,14) afferma “im en anì lì mi lì – se non sono io per me chi sarà per me”. Il Rashbaz interpreta così questo assunto: ciascuno deve guadagnare i propri meriti da sé, senza fare troppo affidamento sugli altri. Sappiamo che in determinate situazioni, ad esempio per effettuare la ricerca del chametz prima di Pesach, o accendere i lumi dello Shabbat, è possibile affidarsi ad un inviato per compiere una mitzwàh, ma se incaricheremo qualcuno di mettere i tefillin, o qualsiasi altra mitzwàh che si compie con il corpo, al posto nostro certamente la ricompensa non sarà nostra (Tosfot Ri”d a Qiddushin 42b).
I poseqim pongono una domanda sulla mitzwàh dello studio della Toràh, che riguarda indistintamente ciascun ebreo, indipendentemente dallo status sociale, dall’età, dall’intelligenza, ecc. E’ possibile studiare Toràh tramite interposta persona, in cambio di denaro? Tutti siamo certamente d’accordo che il sostegno economico alle istituzioni che diffondono la Toràh è fondamentale, “ez chayim hì… wetomekhea meushar – è un albero di vita, beato chi lo sostiene”, ma la domanda è se attraverso questo sostegno possiamo considerare acquisito il merito di avere studiato la Toràh. Se, come è apparentemente, si tratta di una mitzwàh che si pratica con il corpo, la risposta sembrerebbe ovvia. E’ famosa l’affermazione di R. Aqivà, che, parlando della moglie Rachel, dice che “il mio (merito) ed il vostro è il suo” (Ketubot 63a) , perché Rachel era colei che aveva spinto R. Aqivà a studiare Toràh e conseguentemente ad insegnare. La ghemarà in massekhet Sotàh (21a) narra la storia di Hillel e suo fratello Shevnà, che era un uomo d’affari.
Shevnà propose al fratello di mettere su una società: lui avrebbe proseguito nei suoi affari, ed Hillel avrebbe studiato Toràh, ed avrebbero diviso il guadagno. Uscì una voce celeste che disse (Shir ha-shirim 8,7): “anche se un uomo desse tutti i propri beni in cambio dell’amore, verrebbe disprezzato”. Come non è possibile acquistare l’amore con il denaro, così non è possibile acquistare il merito acquisito attraverso lo studio della Toràh. Ma se la proposta di Shevnà fosse arrivata prima che Hillel avesse iniziato a studiare, come avevano fatto Azariàh con il fratello Shim’on e Rabbì Yochanan devè nesiàh, la società avrebbe avuto pienamente valore, ed anzi la cosa sarebbe stata apprezzabile. Tant’è che Shim’on all’inizio del trattato di Zevachim viene ricordato assieme al nome del fratello che lo manteneva negli studi. Queste storie hanno anche un riflesso nella halakhàh: il Ramà (Yorèh de’àh 246,1) infatti scrive che è permesso stipulare un contratto del genere, a patto che ciò avvenga prima dell’inizio del “lavoro”. Allo stesso modo chiesero al Maharam Alshaker (domanda 101) cosa pensasse degli accordi volti a vendere i propri meriti agli altri.
Questo, citando un responsum di Rav Hay Gaon, scrisse che era assurdo. Anche il Rambam nel Mishnèh Toràh (Hilkhot talmud Toràh 3,10) usa parole di fuoco nei confronti di chi studia Toràh, e per farlo si mantiene attraverso la tzedaqàh, perché è vietato avere un giovamento dalle parole di Toràh in questo mondo. La Toràh deve essere accompagnata da un lavoro. Altrettanto illogico il comportamento degli affaristi che entrano in queste società: come si può pensare di essere ricompensati per le azioni di un altro? Sicuramente si verrà ricompensati per aver permesso ad altri di studiare o di fare delle mitzwot. Ma le mitzwot stesse e la loro ricompensa non si comprano al mercato! Altri, ad esempio il Netziv e R. Chayim di Volozin, non solo pensano che l’accordo sia valido, ma che uno studioso, per dedicarsi con maggiore costanza allo studio, debba sacrificare parte della ricompensa per santificare il Nome divino. R. Yosef Caro nelle sue teshuvot (Avkat Rokhel 2) delinea i contorni di questi accordi legittimi, che devono essere stipulati solo prima di intraprendere lo studio, e solamente qualora lo studioso non possieda il denaro per mantenersi, perché altrimenti si dovrebbe rinunciare allo studio per andare a lavorare. Se si hanno i mezzi è vietato fare un accordo del genere, perché vorrebbe dire disprezzare la parola di H. Quando l’accordo viene stipulato invece i soci divengono lavoratori e studiosi part-time.
Quando Ya’aqov nella nostra parashàh ha benedetto Yssachar (Bereshit 49,15), lo ha fatto dicendo “waì lemas ‘oved – e divenne un lavoratore tassato”. Il Meshekh Chokhmàh spiega che questa è la tassa che Yssachar, studioso di Toràh, deve versare al fratello Zevulun, che lo mantiene negli studi, in base a quanto hanno affermato i chakhamim sul verso, nella parashàh di Wezot ha-berakhàh (Devarim 33,18) “gioisci Zevulun quando esci (in mare per commerciare) ed Yssachar nella tua tenda”. Si noti come nel verso la berakhàh di Zevulun sia premessa a quella di Yssachar. Il Sefer haflaàh (Ketubot 43) ritiene però che quella fra Yssachar e Zevulun non fosse una vera e propria società. Il sostegno di Zevulun non inficiava la ricompensa di Yssachar per lo studio. Nessuno studioso di Toràh potrà perdere i propri meriti per via di un accordo del genere. Se qualcuno pensa di poter acquisire dei meriti attraverso il denaro si sbaglia di grosso. Tuttalpiù Zevulun potrà essere ricompensato per aver favorito lo studio della Toràh, ma questo non intaccherà la ricompensa di Yssachar. Allo stesso modo in cui una fiamma può accendere altre fiamme, senza diminuire di intensità, così il premio per lo studio può beneficiare più persone, senza per questo diminuire la ricompensa di chi si impegna nello studio della Toràh.