Convegno “Ecumenica” – Sala Valdese – 26/11/2015
Giovedì 26 novembre 2015 si è tenuto presso la Sala Valdese di Torino il convegno interreligioso annuale di “Ecumenica”. Questa edizione ha avuto per titolo: “La scelta. Percorsi di fede fra nuove identità e minoranza”. Spiegavano i promotori che “ormai da diversi anni noi assistiamo, in Italia, ad un numero sempre maggiore di persone che decidono di cambiare religione, accogliendo non solo un nuovo credo, ma anche nuovi atteggiamenti, abitudini, culture. Vivere la propria fede, infatti, presume un coinvolgimento totale ed è importante in ogni momento della vita. E’ una scelta che richiede un percorso meditato e finalizzato all’essere accolti in una nuova dimensione di vita, anche all’entrare a far parte di un’altra cultura, aderendo a una religione di minoranza, acquisendo una nuova identità, diversa da usi e abitudini delle maggioranze. Tutto ciò impone anche un’accurata analisi e profonde riflessioni sullo stato attuale della libertà religiosa in Italia e sui conseguenti aspetti legislativi in quanto, se è vero che alcune hanno firmato le intese con lo Stato, altre religioni e chiese attendono che vengano riconosciuti i loro diritti”. Rav Somekh è stato invitato a tenere un breve intervento al pari degli altri membri del Comitato Interfedi della Città di Torino.
“Desidero per prima cosa ringraziare il Pastore Ribet, padrone di casa, e Beppe Valperga con il quale ci incontriamo da circa vent’anni ormai nell’ambito del Convegno “Ecumenica” da lui organizzato. Richiamandomi alle parole introduttive del Prof. Valentino Castellani, Presidente del Comitato Interfedi, proporrei anzitutto di dedicare questa sessione di studio (perché tale di fatto è) alla memoria di Valeria Solesinas e di tutte le altre vittime del fanatismo e del terrorismo. Mi presento brevemente. La nostra è una Comunità religiosa piccola rispetto ad altre. Siamo 25.000 in tutta Italia, di cui circa 800 a Torino. Ma abbiamo una particolarità. Esistiamo da circa quattromila anni nel mondo e da duemila anni ininterrotti, cioè la metà di tutto questo tempo, siamo rappresentati nel nostro paese. I primi Ebrei giunsero a Roma prima ancora che iniziasse l’età imperiale. Ciò significa che siamo il più antico culto acattolico presente sul suolo italiano. I nostri rapporti con lo Stato sono felicemente regolati dall’Intesa entrata in vigore già nel marzo 1989. Per quanto riguarda le conversioni non pratichiamo alcuna forma di proselitismo. Riconosciamo che ogni religione costituisce la naturale via di salvezza per i propri fedeli e dunque non sollecitiamo per forza un’adesione alla nostra. D’altro lato, per chi lo desidera, convertirsi all’Ebraismo è pur sempre possibile, una volta che il candidato abbia studiato ciò che c’è da studiare (e non è poco)…
“Vedo con piacere che sono presenti in sala tanti giovani. Nei pochi minuti che mi sono concessi vorrei rivolgere loro un appello, partendo proprio dal titolo della giornata odierna: “la scelta”. Sono un Rabbino e pertanto mi ispirerò alla Bibbia ebraica. Alla fine del libro del Deuteronomio è scritto un versetto che nella lingua originale suona così: החיים והמות נתתי לפניך… ובחרת בחיים למען תחיה אתה וזרעך “La vita e la morte ho posto di fronte a te… sceglierai la vita affinché viva tu e la tua discendenza” (30,19). Questo versetto rappresenta l’epitome del Pentateuco, i “cinque libri di Mosè” che per noi Ebrei rappresentano il nucleo centrale del messaggio biblico. Ebbene, parto dalla constatazione che nella Storia nessuna religione è o è stata immune da violenze nei confronti delle altre. Come è già stato ricordato vi sono state guerre e persecuzioni per motivi religiosi. Come effetto di queste difficili situazioni ogni Comunità religiosa ricorda tuttora i propri martiri. La parola martire deriva dal greco e significa “testimone” esattamente come l’arabo shahìd, che a me richiama l’espressione aramaica anàn sahadè (“noi siamo testimoni”) del diritto talmudico, dove indica però semplicemente l’atto di testimoniare in tribunale. I martiri sono coloro che hanno preferito lasciarsi uccidere per testimoniare la propria fede. Anche il martirio, per quanto esaltato, rappresenta una manifestazione di violenza, ancorché passiva. Riassumendo, se nel passato si giungeva a uccidere altri nel nome della propria Divinità e questi altri accettavano di essere uccisi nel nome della propria, oggi assistiamo ad una terza forma di violenza religiosa, forse nuova, che speriamo duri per poco. Oggi vi sono coloro che sono pronti a farsi uccidere pur di uccidere gli altri.
E’ evidente che con costoro nessun dialogo è ahimè possibile. Qualsiasi umana relazione tiene per presupposto il rispetto della vita quanto meno propria. Se un individuo mette a repentaglio sua sponte la vita propria pur di sopprimere quella altrui non merita alcuna considerazione. Si è accennato qui ai “valori non negoziabili” nel dialogo. Ecco che ritengo che il valore non negoziabile fondamentale alla base di un dialogo interreligioso non sia solo il dovere di ogni fede di rispettare la teologia altrui (al quale corrisponde naturalmente il diritto di ciascuna di vedere la propria teologia rispettata dalle altre), ma qualcosa di apparentemente molto più banale: il dovere dei seguaci di ogni religione di affermare il rispetto della vita… propria! E’ pertanto necessario che tutte le religioni sottoscrivano un accordo sulla sacralità imprescindibile della vita umana. A voi giovani, che ringrazio per la vostra presenza, dico dunque: nelle scelte religiose è preferibile rimanere nel solco della tradizione di famiglia. Ma se proprio non potete fare a meno di cambiare, se avvertite il bisogno interiore di fare delle scelte religiose diverse da ciò che vi hanno insegnato i vostri genitori, almeno orientatevi verso culture di vita. Non abbracciate programmi di morte!