Bet Hakkenèset di via Sally Mayer, Milano
לרפואת נתן גראף ולרפואת מכתם של כל פצועי הטרור
Nella seconda chiamata della Parashah odierna leggiamo dell’incontro fra Ya’aqov e Rachel al pozzo. Ben due versetti (Bereshit 29,6 e 9) insistono sul fatto che Rachel pascolava il gregge di suo padre Lavan. Ciò solleva due domande: 1) Perché mai Lavan doveva ricorrere alla propria figlia come pastora del suo gregge? Non siamo autorizzati a pensare che fosse sufficientemente ricco da potersi permettere di affidare questa funzione ai servi, anziché esporre la figlia ai rischi connessi con un’attività del genere? 2) Una volta che incarica le figlie, perché leggiamo solo di Rachel e non di Leah? I commentatori (Or ha-Chayim, Malbim e a.) affermano che in questo periodo Lavan era povero e non poteva permettersi una servitù: solo più tardi si sarebbe arricchito per merito di Ya’aqov.
Essendo costretto a servirsi delle figlie affidò la responsabilità della pastura solo a Rachel, che aveva allora cinque anni (!), proprio per motivi di tzeni’ut (Nachmanide, R. Bachyè): Leah, essendo più grande, avrebbe più facilmente dato nell’occhio e attirato su di sé sguardi indiscreti. Abbiamo così risposto alle domande dal punto di vista di Lavan. Che dire dal punto di vista di Rachel? Perché avrebbe dovuto accettare un incarico così difficile per la sua età? Con il suo esempio Rachel ci insegna qui una Halakhah difficile e “scomoda”: che si deve onorare il proprio padre anche se quest’ultimo è un rashà’ (Yoreh De’ah 240,18; Qitzur Shulchan ‘Arukh 143,9). Se la regola è valida nei confronti di un padre rashà’, tanto più sarà valida se il padre è uno tzaddiq!
Viviamo in un’epoca in cui ‘Amaleq torna a far parlare di sé e a colpire. Esiste una ricetta per fronteggiarlo, per resistere? Fra le Parashot che stiamo leggendo c’è un legame. Nella Parashah della prossima settimana leggeremo che ‘Amaleq è il nipote di Esaù, essendo figlio di suo figlio Elifaz e della concubina di questi Timnà’ (Bereshit 36,12). Nella Parashah della scorsa settimana abbiamo letto altre due cose: che 1) Esaù eccelleva nell’onorare suo padre tributandogli obbedienza e che 2) Itzchak aveva benedetto Esaù con le parole we-‘al charbekhà tichyeh (“e vivrai della tua spada” – Bereshit 27,40). Il No’am Elimelekh, commento chassidico opera di R. Elimelekh di Lizensk, nota che la parola cherev (“spada”) ritorna nella Torah a proposito di ‘Amaleq alla fine della Parashat Beshallach, parlando della sua sconfitta a Refidim a opera di Yehoshua’: wayachalosh Yehoshua’ et ‘Amaleq we-et ‘ammò le-fi chàrev (“e Yehoshua’ indebolì ‘Amaleq e il suo popolo in base alla spada” – Shemot 17,13). Cosa significa questa strana espressione? Il No’am Elimelekh ne dà come sua abitudine un’interpretazione allegorica. Egli scrive che la sola “spada” con cui ‘Amaleq era in grado di difendersi (moralmente), di giustificarsi e di sopravvivere (tichyeh) alla punizione altro non era che la Mitzwah di onorare i genitori. Se vogliamo pertanto sconfiggere ‘Amaleq come fece a suo tempo Yehoshua’ dobbiamo farlo anche noi le-fi chàrev (“in base alla spada”), cioè intensificando a nostra volta l’impegno di onorare i nostri genitori. I nostri meriti in questo senso, sommati a tutti gli altri, neutralizzeranno quelli di Esaù e di suo nipote ‘Amaleq.
Per quale ragione Esaù si dedica proprio a questa Mitzwah? Per capire la risposta è utile tenere presente un passo delle Tossafot al capitolo “Ha-Mafqìd” (Bavà Metzi’à 34b s.v. shaal) in cui è riportata l’opinione di R. Yehudah ben Natan (Rivan), genero di Rashì. Riferendosi a una certa controversia halakhica su compensi per benefici ricevuti di cui parla la Ghemarà, il Rivan scrive in sostanza che nel caso in cui un individuo fa del bene ad un altro e poi quest’ultimo, il beneficato, muore, è più facile che siano i figli del defunto a mostrare riconoscenza al benefattore del genitore anche sotto il profilo economico che non il coniuge. Parliamo di sentimenti molto profondi. Sebbene la Torah nella Parashat Bereshit scriva esplicitamente che nel momento in cui un uomo e una donna si sposano we-hayù le-vassàr echàd (“diventeranno una sola carne” – Bereshit 2,24), non tutto in realtà si trasfonde. Vi è un livello di compartecipazione affettiva che non passa da un coniuge all’altro, mentre invece passa di padre in figlio. Per quale ragione? Un proverbio dice che il sangue non è acqua. Un legame acquisito non ha la stessa forza della consanguineità. Il matrimonio è frutto di una libera scelta, di un accordo, di un patto: è una relazione mediata. Diverso è il caso del rapporto genitori-figli. Questa non deriva da un atto di volontà reciproca, ma obbedisce a una legge di natura: è una relazione immediata. Ecco perché certi sentimenti non sono condivisi da marito e moglie, mentre invece sono condivisi da padre e figlio. Soprattutto questo risponde alla nostra domanda: perché Esaù, senza aver accettato la Torah, con tutto ciò si dedica a onorare suo padre. Anche il Mattàn Torah è stato il frutto di un accordo: alle falde del Monte Sinai i nostri Padri hanno risposto na’asseh we-nishmà’ (“faremo e ascolteremo” – Shemot 24,7). Poco importa qui che essi si siano impegnati per tutte le generazioni a venire e dunque il Berit (“patto”) in questo caso non è più revocabile. L’onore dei genitori fin da principio è una cosa diversa: è la risposta a una legge di natura alla base dell’umanità e pertanto anche chi ha rifiutato la Torah sente la spinta a dedicarsi ad esso.
Comprendiamo a questo punto anche perché il No’am Elimelekh usi l’immagine della spada per indicare la Mitzwah di onorare i genitori. La spada evoca l’idea di imposizione, che è l’esatto opposto dell’idea di accordo. Proprio per questo è per noi così difficile oggi eseguire questa Mitzwah come si deve. Viviamo in un’epoca intollerante verso ogni forma di imposizione. Ogni regola deve essere prima discussa, messa ai voti, ratificata, vagliata, decisa e solo successivamente, se tutto va bene, se non ci sono vizi di forma o altre disposizioni d’animo, messa in pratica grazie alla buona volontà di alcuni. Eppure esiste un tipo di relazione che non si presta a tutto ciò. Dobbiamo accettarne le regole così come sono: il rapporto con padre e madre. Forse per questo la Torah, che in genere non indica una ricompensa per le Mitzwòt, proprio in questo caso lo fa. Per aiutarci ad accettare l’idea che dobbiamo onorare i genitori non per scelta, ma per legge di natura. E quanto più ti dedicherai a questo, tanto più “si allungheranno i tuoi giorni e te ne verrà del bene sulla terra che H. D. tuo ti dà” (Devarim 5,16).
Esiste una famiglia in questa Comunità che eccelle nella Mitzwah del Kibbud Av wa-Em. Conosco Rav Hizkia Levy da moltissimi anni: da quando, ragazzino, frequentavo la Scuola di Via Sally Mayer. Figura eccezionale di mohèl, di insegnante, di ba’al qorè, di mashghiach kashrut, ma soprattutto di mashghiach ruchanì (“assistente spirituale”) dei ragazzi della Scuola che si rivolgevano a lui e ne ottenevano sempre un consiglio e una parola d’affetto. Non ho invece il merito di conoscere suo genero Natan Graff al quale auguro Refuah Shelemah a nome di tutti e mio personale. Conosco però bene suo figlio Shemuel. Con il trascorrere dell’età di suo padre, Shemuel ha ora sostituito Rav Hizkia in molte delle sue funzioni con impegno e dedizione. Nello stesso tempo non lo perde di vista un attimo, compiendo shimmush nei confronti di suo padre in maniera esemplare e assistendolo in tutte quelle faccende quotidiane, dalle più grandi alle più piccole, alle quali per motivi di salute non è più in grado di fare fronte da solo: lo aiuta a indossare e ripiegare i Tefillin, gli indica il segno sul Siddur, gli porge da bere quando ha sete. Ho constatato questo non solo a Milano, ma anche a Torino, dove padre e figlio sono venuti in occasione di milot, e durante le vacanze che abbiamo trascorso insieme a Sauze d’Oulx sulle Alpi Piemontesi. Anche a Rav Hizkia vada il mio augurio di refuah shelemah, ‘ad meah we-‘esrim shanah! Questa straordinaria famiglia ci ha insegnato che c’è un solo modo per affrontare la spada di ‘Amaleq, o meglio il coltello di ‘Amaleq e uscirne vivi. Combatterlo con le sue stesse armi. Compiendo la Mitzwah di onorare i genitori. In questo modo supereremo la prova e ne verremo fuori più forti di prima!