Al termine della creazione del mondo H. benedice e santifica il settimo giorno. Nel Midrash vengono indicate numerose ipotesi sul modo in cui ciò si verifichi. R. Yshma’el, riportato da Rashì nel suo commento alla Toràh, collega questa benedizione e consacrazione alla manna – “lo benedisse con la manna e lo consacrò con la manna”. La Toràh si riferisce pertanto ad un evento che sarebbe avvenuto 2448 anni dopo, e nella fattispecie proprio la volta successiva in cui, in maniera invero inaspettata, lo Shabbat compare nuovamente.
Da un episodio collegato, per così dire, alla vita di H., lo Shabbat si tramuta in uno degli aspetti fondamentali della vita ebraica. Lo benedisse con la manna in quanto ogni giorno scendeva la razione giornaliera di manna, e alla vigilia dello Shabbat una razione doppia. Lo consacrò invece perché di Shabbat la manna non cadeva. In quanto avveniva, l’aspetto della benedizione è immediatamente comprensibile, anche se alcuni commentatori a Rashì pongono delle difficoltà anche su questo punto, perché in fondo si riceveva complessivamente una dose di manna pari a quella degli altri giorni.
Il Gur Arièh ritiene che ricevere più razioni assieme è un segno di benedizione, il Divrè David include anche la se’udàh shelishit, e quindi la razione del venerdì era effettivamente più abbondante. La consacrazione è però molto meno individuabile. Perché la mancata discesa della manna dovrebbe essere una consacrazione? Ci saremmo aspettati esattamente il contrario! Quale modo migliore per santificare lo Shabbat che attraverso la caduta di un cibo spirituale come la manna? L’Apter Rebbe, un antenato di Avraham Yehoshua’ Heschel e suo omonimo, in Ohev Israel risponde che la creazione del mondo prevedeva unicamente sei giorni, ma quando fu creato lo Shabbat tutto il creato è stato rinnovato, tanto che ciascun giorno riceve l’influsso correlato alle sue necessità per via dello Shabbat. Dal nostro punto di vista questa è una grossa consacrazione, ma da quello di ciò che riceviamo non è così; difatti subisce un declassamento scendendo dai mondi superiori a quelli inferiori.
Per questo la manna non scendeva di Shabbat: ogni giorno riceviamo il bene per via dello Shabbat, secondo quanto incluso nello Shabbat stesso, ma durante lo Shabbat stesso non troveremo lo stesso processo, e questo è il motivo per cui i giorni della settimana sono enumerati in riferimento allo Shabbat, rishon leshabbat, shenì leshabbat, ecc. Abir Yosef (p. 7) spiega la cosa diversamente: è chiaro a tutti che se di venerdì cade la doppia razione di manna di Shabbat non vi è necessità che cada, ma ci saremmo potuti aspettare che un pochino di manna cadesse comunque come segno, e invece ciò non avveniva, perché lo Shabbat stesso è un segno, e per il medesimo motivo non indossiamo i tefillin di Shabbat.
Il Ramban ed altri sono di tutt’altro avviso; non vi è alcuna necessità difatti che il testo si riferisca ad eventi futuri. Secondo il Rashbam il motivo per cui lo Shabbat è benedetto è dovuto al fatto che nel momento in cui fu creato già esisteva tutto il sostentamento delle creature. Rabbenu Bechayè sostiene che la benedizione consisteva nella luce propria dello Shabbat, uguale fra il giorno e la notte, ed infatti nella Toràh non è scritto “e fu sera e fu mattina il settimo giorno”. Quel giorno pertanto vi fu luce per trentasei ore consecutive. Per il Gherà la Qedushàh dello Shabbat deriva da una constatazione molto semplice: nei vari giorni della settimana, appena ci alziamo dal letto dobbiamo pensare a come sbarcare il lunario, di Shabbat invece troviamo tutto pronto. Il termine qadosh viene sempre interpretato come separazione, e qui abbiamo la separazione più piacevole, quella dalle preoccupazioni del resto della settimana.
Ytzchaq Shemuel Reggio ritiene che H., una volta terminata la creazione, volesse posare la Sua presenza sugli esseri inferiori, e riversare il Suo spirito su ogni essere umano, al pari di quanto aveva fatto con Adam, e per questo ha stretto un patto relativamente allo Shabbat con Israele, poiché si tratta di doni che trascendono la natura e non sarebbero state adatti per gli altri giorni. Se Adam non avesse peccato la storia del mondo sarebbe stato un unico lunghissimo Shabbat, e, in conseguenza del suo peccato questi doni sono stati riservati solamente ad alcuni individui nella storia. Ma alla fine dei giorni secondo varie profezie lo stato originario verrà ristabilito, e per questo i Maestri chiamano il mondo futuro “il giorno che è interamente Shabbat”. Toràh Temimàh commentando questo verso parte dalla constatazione che di Shabbat non si praticano le regole del lutto, secondo lo Yerushalmì per il medesimo motivo per cui non si praticano di Yom tov, poiché si tratta di un giorno gioioso.
Toràh Temimàh si stupisce dei rabbini che hanno scritto che di Shabbat non c’è l’obbligo di rallegrarsi. Non c’è solamente l’oneg, punto sul quale sono tutti d’accordo, ma anche la simchàh, ed anzi il Sifrè ritiene che il verso che recitiamo all’inizio del Qiddush di Rosh ha-shanàh, Uwyom simchatchem uwmo’adechem, tratto dal libro di Bemidbar, si riferisca nelle sue prime parole “nel giorno della vostra gioia” allo Shabbat. Inoltre il motivo per cui dobbiamo rallegrarci nei mo’adim secondo il midrash è che questi sono un ricordo dell’uscita dall’Egitto, esattamente come lo Shabbat, che si discosta dalle altre mitzwot su un punto: infatti il popolo ebraico secondo la ghemarà in Shabbat fu costretto a ricevere la Toràh, mentre lo Shabbat fu ricevuto precedentemente con amore, e per questo diciamo nel qiddush che H. ci ha dato lo Shabbat beahavàh – con amore. Il Maharal di Praga nei suoi Chiddushè Aggadot (Shabbat 118a) scrive che lo Shabbat è paragonabile al cuore dell’uomo, come questo è al centro dell’uomo, così lo Shabbat è al centro dei giorni.