Famoso il caso di quell’ebreo romano che alla liberazione di Roma, uscendo dal Vaticano (dove era stato nascosto) vide entrare un membro della famigerata Banda Koch armato di tutto punto.
Lo storico Steinacher racconta la fuga dei criminali nazisti e il ruolo centrale di Bressanone
Alto Adige — 10 settembre 2008
È la città vescovile, paese d’arte, meta turistica, è anche sede delle vacanze di Papa Benedetto XVI; ma da quando è uscito il libro di Gerald Steinacher, Bressanone è anche uno dei nodi cruciali della fuga dei criminali nazisti dal Reich verso il Sudamerica e tutte quellealtre mete dove – chi più chi meno – hanno trovato la salvezza. E’ anche per questo motivo che l’autore di «Nazi auf der Flucht» ha volutoorganizzare la prima presentazione del suo volume proprio nel capoluogo della Valle Isarco. Invitato dall’associazione Heimat, lunedì sera Steinacher si è trovato dinanzi ad un pubblico davvero folto, nella sala congressi dell’accademia Cusanus (centro studi della diocesi locale)per parlare della sua ultima fatica, un volume di oltre 350 pagine in cui descrive per la prima volta nella storia, come molti nazisti sianoriusciti ad acquisire – ed acquistare – una nuova identità grazie alla complicità della Chiesa locale, che a suon di raccomandazioni scritte,era riuscita a fare in modo che la Croce Rossa internazionale fornisse loro dei passaporti falsi, ma validi per il loro espatrio. «Il mio non èun libro che si vuole fermare a Bressanone o solo all’Alto Adige, ma è un’opera di respiro molto più ampio», spiega l’autore.
Certo, macome descrive dettagliatamente nel suo libro, per scappare dalla Germania verso l’estero nazisti e criminali di guerra non avevano grandipossibilità di scelte: in Jugoslavia c’era Tito, nell’Europa dell’est le forze sovietiche e la Spagna era troppo lontana; l’unica soluzione era lalinea retta verso il sud, verso i porti liguri, e per arrivarci, l’unica maniera era passare attraverso il confine del Brennero. Una sceltaobbligata ma che si rivelò decisamente fortunata per i nazisti, visto che è proprio qui, nella sede della diocesi di Bressanone e poi aBolzano e a Merano, che persone come Josef Mengele si «trasformarono» in Helmut Gregor di Termeno, Adolf Eichmann nel bolzanino Riccardo Klement, e Gerhard Blast in Franz Geyer di Valdaora, tanto per citarne alcuni. Nuova identità, nuova vita, nuove possibilità. Iltutto grazie all’intercessione della Chiesa, che attraverso alla Pontificia commissione assistenza del Vaticano – del vescovo romano AloisHudals, di quello di Bressanone Geisler e del vicario generale Alois Pompanin, in primis – chiedeva alla Croce rossa di rilasciare deipassaporti internazionali.
«Molti nazisti venivano ribattezzati e a loro veniva dato un nuovo nome, e in Alto Adige questa era una prassimolto comune – ha spiegato Steinacher durante la presentazione – dall’esame di alcuni atti resi pubblici solo recentemente, è emerso che isacerdoti locali hanno aiutato in maniera continua moltissimi criminali di guerra: è stato reso noto solo ultimamente che durante il processodi Gerusalemme Adolf Eichmann aveva dichiarato di essere stato accolto a Vipiteno dal parroco locale, padre Corradini, che lo avevaaddirittura ospitato a casa sua.
E solo dopo pochi anni era riuscito a raggiungere l’Argentina». Certo, perché come emerge dall’opera diSteinacher, i nazisti non avevano avuto fretta nel lasciare l’Europa: subito dopo la Liberazione i controlli erano troppo serrati; ovunque,tranne che in Alto Adige, una sorta di terra di nessuno, dove i fuggitivi potevano vivere sotto mentite spoglie attendendo i documenti perl’espatrio. In «Nazi auf der Flucht», poi, Steinacher vuole sfatare un mito, quello dell’Odessa, la «Organization Der Ehemalige SsAngehoerige», un’organizzazione che secondo la coscienza popolare avrebbe organizzato l’espatrio ed il mantenimento dei criminali diguerra: «È una convinzione sbagliata, che è giunta fino a noi a causa anche di una letteratura che ha travisato i fatti storici – spiega – inrealtà la fuga dei nazisti era basata essenzialmente sull’improvvisazione: si muovevano senza grandi mete, e molti di questi non avevanoun soldo in tasca: quando gli agenti del Mossad hanno trovato Eichmann, non volevano credere che si trattasse di lui, perché si eranotrovati dinanzi ad un poveraccio.
Ad altri, chiaramente, è andata meglio: Mengele, per esempio, aveva vissuto quattro settimane in unlussuoso hotel di Vipiteno grazie al sostegno della sua famiglia». Ma come facevano dunque a sopravvivere? Lavorando per imprenditorilocali e soprattutto per i frati nei conventi locali: molti di loro hanno vissuto anni nel convento dei Cappuccini a Bressanone e in quello deiFrancescani a Bolzano. Il libro di Gerald Steinacher, dunque, è una miniera di informazioni, di nomi, di fatti mai resi pubblici descrittiminuziosamente. Un saggio che si legge come un romanzo, anche se per ora, il pubblico altoatesino di lingua italiana interessato allamateria è costretto a consultarlo con il vocabolario in mano.
Luca Masiello
http://ricerca.quotidianiespresso.it/altoadige/archivio/altoadige/2008/0…1 sur 113/09/2008 22:05
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Il manoscritto di Eichmann: «Nascosto dai Francescani»
BOLZANO. Riassumere in poche righe 380 pagine di uno studio storico approfondito e documentatissimo, oltre che impossibile, pare inutile, o peggio. Occorrerebbe leggerselo tutto, per capire tutto. Vale comunque la pena citare qualche episodio. Un paio delle centinaia di storie romanzesche raccontate da Gerald Steinacher.
Per esempio, la fuga di Adolf Eichmann. (Per chi non lo ricordasse, fu proprio lui a organizzare la logistica ferroviaria dell’Olocausto). Steinacher ha ricostruito la fuga grazie a un manoscritto dello stesso Eichmann, vergato in carcere durante il celebre processo di Gerusalemme, nel 1961, e fatto sparire per non imbarazzare il Vaticano, in periodo di dura Guerra fredda. Steinacher l’ha scovato negli archivi della Cia, in quel di Washington.
Be’ insomma: ai primi di maggio del 1950 Adolf Eichmann arrivò a Vinaders am Brenner, in Austria, a sei chilometri dal passo del Brennero. «A Vinaders – racconta Steinacher – c’era un’osteria. Un bel posticino, da cui sono passati davvero in molti…».
Da lì, l’ingegnere dell’Olocausto percorse un sentiero nel bosco: la via più breve per arrivare a un niente dalla Statale, a Terme di Brennero. Qui, ad attenderlo con la bicicletta, c’era il parroco di Vipiteno, Johann Corradini. «Eccezionale ciclista», annotò Eichmann nel suo diario. I due raggiunsero Vipiteno. Poi, smessi i panni da tirolese, con tanto di cappello piumato, Eichmann si concesse «un bicchiere del buon vino sudtirolese». Rimase in parrocchia per qualche giorno; in seguito, scese a Bolzano a bordo di un taxi. Nel capoluogo venne alloggiato per qualche settimana al convento dei Francescani, in pieno Centro. Infine, grazie a un documento d’identità ricevuto in omaggio dal comune di Termeno, se ne poté partire alla volta di Genova. Col nome di Riccardo Klement, nato a Bolzano. Optante, dunque apolide. E così, con in tasca il suo bel passaporto rilasciato dalla Croce rossa, si imbarcò sul piroscafo Anna, in classe C. Destinazione: Argentina. Chapeau.
Altra storia, assolutamente magnifica, è quella del pilota Hans-Ulrich Rudel. Un asso della Luftwaffe, conosciutissimo nel Terzo Reich. Non un criminale, certo, ma un convinto, un eroe del nazismo. Be’, nel 1948 arrivò in Austria, risalì la Zillertal, scollinò in valle Aurina, raggiunse la Pusteria e infine si stabilì a Bolzano, a casa di un vecchio camerata. Nel suo diario scrisse entusiasta della magnifica aria libera di Bolzano, bellissima terra tedesca. Anche Rudel finì in Argentina. Perché il governo Peròn, desideroso di raggiungere la supremazia in Sudamerica, voleva dotarsi di un’aeronautica efficiente e moderna. E chi, meglio degli assi della Luftwaffe? Così, il governo argentino aveva spedito dei messi in Alto Adige, per reclutare piloti, tecnici e quant’altro. Allo scopo ci si era serviti anche di personale sudtirolese, che procacciava uomini a seconda della bisogna. La ciliegina sulla torta è questa: Rudel arrivò in Argentina mica da solo, ma si portò dietro l’intera sua squadriglia. E negli anni dopo, tutti insieme si occuparono di ridisegnare l’aeronautica argentina.
Poi, ci sarebbe la storia di Franz Stangl, il comandante del campo di sterminio di Treblinka (un milione di morti, circa). Lui preferì il passo di Resia e la Venosta. A Merano, dove a Castel Lauders c’era un punto logistico ad hoc, si incontrò con vari altri colleghi del lager. E anche lui espatriò tranquillo e beato.
E che dire di Josef Mengele, quello degli esperimenti sugli esseri umani a Auschwitz? Messo piuttosto bene economicamente, a Vipiteno si sistemò in un bell’albergo.
Una storia che lascia stupiti riguarda infine Erich Priebke (eccidio delle Fosse Ardeatine). Dopo aver ricevuto un documento di identità – secondo il quale era un direttore di albergo lettone, apolide, di nome Otto Pape – se ne stette bel bello a Bolzano, in attesa che gli venisse spedito il passaporto della Croce rossa internazionale. Il suo indirizzo? Via Leonardo Da Vinci numero 24. Si trattava di un piccolo edificio parte del vecchio ospedale civile. (da.pa)
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