(Cena Comunità – V sera)
In giudaico romanesco quando si vuole dire che una persona è di scarso valore, viene paragonata alla ‘aravàh: non ha né ruach, né tagn’am. L’origine di questa espressione è un midrash famosissimo (Waiqrà Rabbà 30,12): “Il frutto di bell’aspetto è Israele, come questo cedro ha sapore e odore, così in Israele ci sono uomini che hanno Toràh e buone azioni; i rami di palma sono Israele, come questa palma ha sapore ma non ha odore, così in Israele ci sono uomini che hanno Toràh ma non hanno buone azioni; i rami dell’albero frondoso sono Israele, come questo mirto ha odore ma non sapore così Israele ha degli uomini che hanno buone azioni ma non Toràh; i salici del torrente sono Israele, come questo salice non ha sapore né odore, così in Israele ci sono uomini che non hanno né Toràh, né buone azioni. Cosa fa il Santo Benedetto Egli sia per loro? Distruggerli non è possibile, ma dice il Santo Benedetto Egli sia: si leghino tutti in un’unico fascio ed espiino gli uni per gli altri, e se farete così in quel momento mi eleverò”.
Rambam nel Morèh Nevuchim riportando la sua opinione dice che i midrashim in generale, e anche questo, sono una poetizzazione, magari molto bella come in questo caso, ma non spiegano il senso letterale del verso. Ma anche negli Yamim noraim abbiamo espresso una volontà simile: nella ‘amidàh di Rosh ha-shanàh e Kippur difatti recitiamo: “perciò imprimi, o Signore Dio nostro, la Tua riverenza su tutte le opere, e il timore di Te su tutto il creato, in guisa che tutte le creature Ti venerino e ti abbiano a prestare adorazione, e si costituiscano tutte in un fascio unico, per eseguire la Tua volontà con cuore sincero”.
Effettivamente, se vediamo con maggiore attenzione le parole del midrash, sorge una difficoltà non da poco: tutti quanti sicuramente abbiamo a cuore l’unità di Israele, ma perché dovremmo cercare coloro che non hanno Toràh e buone azioni?
Altrettanto famosa l’affermazione di R. Chanà Bar Biznà in masshekhet Keritut (6b): qualsiasi digiuno in cui non vi siano i peccatori di Israele non è un digiuno, poiché la chelbenàh ha un odore cattivo, e il testo l’ha contata fra gli ingredienti del Qetoret.
Secondo questa opinione pertanto la partecipazione dei peccatori è un elemento indispensabile del digiuno. Ma perché? Una prima ipotesi è che la vicinanza dei giusti possa portare i peccatori a prendere la retta via. Il Shem Mishemuel dice che il termine Qetoret viene tradotto come Qishur (legame). La divisione dalla propria radice porta oscurità, ma è sufficiente una corda, che ci leghi alla radice, e ci porti un minimo di luce, per avvicinarci e fare teshuwàh. Per questo, sebbene siamo lontani, dobbiamo legarci alla radice, come avviene per colui che è caduto in un pozzo, al quale viene gettata una corda, che gli permette di risalire. Una strada completamente diversa è quella seguita dal Maharal: il digiuno è espressione della sottomissione nei confronti di H., e l’unione dei peccatori, che in qualche modo non si sentono sotto il dominio di H., è segno di una sottomissione infinitamente maggiore rispetto a quella dei giusti, e pertanto i peccatori aiutano i giusti affinché il loro digiuno possa essere accettato. Infatti con il proprio gesto il malvagio risveglia la misericordia divina (Gur Arièh Shemot 30,34).
Questo principio sembra trasparire anche in una halakhàh riportata nel Maghen Avraham (Orakh Chayim 649,20): La Mishnàh in massekhet Sukkàh (3,5) dice che un etrog di orlàh, vale a dire colto nei primi tre anni da quando l’albero è stato piantato, non è utilizzabile. La ghemarà (35a) spiega il motivo di questa regola: l’etrog non può essere mangiato, poichè la Toràh dice “prenderete per voi”, nel senso che dovete poterne godere. Il Maghen Avraham pone il caso di un etrog di per sé commestibile, ma che ha assorbito qualcosa di vietato, per esempio cadendo in una pentola bollente non kasher, e quindi non più mangiabile. E’ utilizzabile per la mitzwàh del lulav o no? La questione è dibattuta dagli acharonim, ma quanto abbiamo detto, almeno da un punto di vista concettuale, dovrebbe farci propendere per permetterlo. Infatti è chiaro che se l’etrog non è kasher in sé e per sé non è utilizzabile, perché l’etrog viene paragonato al giusto, ma se l’etrog di suo sarebbe commestibile, ma ha assorbito qualcosa di vietato, sembra paragonabile piuttosto al giusto che entra in contatto con la società che lo circonda, anche con coloro che non hanno Toràh e buone azioni, anche al prezzo di venire in qualche modo toccato nella sua purezza.
Il Ba’al Shem Tov spiegando il verso dei Salmi (92,13) “il giusto fiorirà come la palma, crescerà come il cedro del Libano” dice che esistono due tipi differenti di tzadiqim, la palma è un albero fruttifero, che viene paragonato allo tzadiq che è in contatto con le creature; il cedro invece è un albero, contrariamente a quanto si possa pensare a partire dal nome, che non ha frutti come il giusto che non condivide con gli altri la sua sapienza e la sua Toràh.