Uno dei punti centrali della tefillàh di Sukkot è senz’altro costituito dai ni’nu’im, i movimenti che si effettuano con il Lulav in vari punti della Hallel. Da dove si imparano? Da una serie di versi nel primo libro delle Cronache (16,33 e ss.), che i sefarditi e molti italiani (non qui a Torino) recitano ogni mattina nella tefillàh: “gli alberi della foresta facciano risonare canti di gioia (ieranenù, che ha un’assonanza con ni’anua’), al cospetto del Signore, che viene a giudicare la terra”. La manifestazione di gioia avviene attraverso gli alberi della foresta, tramite i ni’nu’im. Solo altre due mitzwoth hanno un legame con la Hallel: il Qorban Pesach, che nel Bet ha-miqdash veniva offerto mentre si recitava la Hallel, e la lettura della Meghillàh a Purim, che la sostituisce. In entrambi i casi celebriamo una liberazione, in un caso dalla schiavitù, nell’altro da morte certa. Anche la Hallel a Sukkot si può intendere in questo ultimo modo: difatti a Rosh ha-Shanàh e Kippur non l’abbiamo recitata, pur essendo giorni di Yom Tov. Come è possibile recitare un canto gioioso quando il libro della vita e della morte è aperto davanti a noi? Il Lulav viene paragonato dal Midrash alla lancia brandita dal guerriero che ritorna vittorioso dalla battaglia, nel nostro caso contro gli altri popoli o contro il Satan (e una cosa non esclude necessariamente l’altra). Ancora una volta, dopo avere sfiorato la morte, siamo stati salvati. Spiega R. Bechayè nel Kad ha-qemach, l’umidità delle specie vegetali è paragonabile al sangue degli animali, ed è l’indice fondamentale della loro vitalità. La halakhàh prescrive che un lulav secco non è utilizzabile. Nella hallel affermiamo che i morti non possono lodare H., noi al contrario vogliamo lodarLo proprio perché siamo vivi!
I chakhamim (Sukkàh 37b), chiedendosi come si debbano effettuare i ni’nu’im, li legano ad un’altra mitzwàh che prevedeva l’agitamento: i pani che venivano presentati a Shavu’ot. La tecnica è analoga all’‘omer che veniva offerto a Pesach. In questo modo gli shalosh regalim sono accomunati da un tipo di movimento.
In realtà secondo la ghemarà (Sukkàh 42a) sarebbe sufficiente prendere in mano il lulav per mettere in pratica, secondo la prescrizione della Toràh, la mitzwàh. Tuttavia molti commentatori del Talmud sono d’accordo nel dire che i movimenti del lulav sono un aspetto non imprescindibile, ma tuttavia presente, nella mitzwàh della Toràh. Pertanto, nel dubbio, sostengono che sia meglio effettuare questi movimenti. In effetti la Mishnàh in massechet Sukkàh, descrivendo le misure degli elementi del lulav, scrive che la misura minima del salice e del mirto è tre palmi, mentre quella della palma è quattro palmi. Perché questa differenza? Per effettuare i ni’nu’im. Fra gli elementi costitutivi del lulav pertanto troviamo la possibilità di essere agitato.
Dalla Mishnàh (37b) impariamo poi che il lulav viene agitato in due punti precisi della Hallel: quando si recita il verso Hodù laH. Ki tov ed Annàh H. hoshia’ nà. Anche questo possiamo impararlo dalle Cronache; infatti il testo prosegue dicendo “ringraziate il Signore perché è buono, poiché è eterna la sua bontà, Orsù dite: Salvaci, o Dio della nostra salvezza…”. I temi dei due versetti sembrano essere decisamente differenti: il primo verso è un invito a lodare H. per la sua bontà, mentre il secondo è un’invocazione per ottenere la salvezza divina. Il lulav quindi richiama al contempo la lode e la richiesta. La Mishnàh nel trattato di Rosh ha-shanàh (16a) dice che a Sukkot si è giudicati per la pioggia, vale a dire si stabilirà quanta pioggia avremo a disposizione nell’anno. Le quattro specie del lulav necessitano di una irrigazione supplementare oltre a quella della pioggia.
Secondo un’opinione minoritaria, espressa dalle Tosafot, i salici, che nella Toràh vengono chiamati salici di fiume (‘arvè nachal), per essere utilizzati devono effettivamente essere di fiume. Anche il nome cedro, nella Toràh perì ‘etz hadar, frutto di bell’aspetto, viene collegato dalla ghemarà in Sukkàh (35a) all’acqua, in greco udor, termine che ha una chiara assonanza con hadar. L’agitare il lulav è pertanto, in aggiunta alla tefillàh che reciteremo a sheminì ‘atzereth, una forma di richiesta della pioggia. Ma Sukkot è anche il momento del raccolto, nel quale l’agricoltore rischia di compiacersi di quanto ha prodotto e credere che è tutto merito suo. L’agitare il lulav in tutti i punti cardinali ha come scopo l’affermazione che H. domina il cielo e la terra e ricordare all’agricoltore che non ha fatto tutto lui, e quello di contrastare precipitazioni e venti dannosi (Sukkàh 37b). Il modo in cui accettiamo il dominio di H. è però in questo caso inverso rispetto a quello dello Shemà’, dove accettiamo la regalità di H. su cielo e terra, e poi sui quattro punti cardinali.
Nel lulav abbiamo prima i movimenti orizzontali, che rappresentano la totalità delle realtà particolari, seguiti da quello ascendente e discendente. Rabbenu Bechayè (Vaiqrà 7), basandosi su varie espressioni dal Tanakh, ritiene che i movimenti orizzontali del lulav rimandino all’esilio e alla redenzione, e quelli verticali l’allontanamento e la discesa della Presenza Divina. E’ presente poi un ulteriore rimando alla resurrezione dei morti e al ritorno della loro anima.
Già nei giorni scorsi avevamo trovato un’altra forma di preghiera silenziosa nel suono dello Shofar. C’è da notare come l’elemento acustico dovuto all’agitamento del lulav sia secondo molti dei rishonim parte costitutiva della mitzwàh, e pertanto il lulav deve essere agitato con una certa decisione. Il Sefer ha-Chinukh afferma un principio fondamentale: acharè ha-pe’ulot ha-levavot nimshachim – i cuori vengono trascinati dietro le azioni. La mente umana è portata a seguire le azioni, la preghiera espressa con le sole parole deve essere accompagnata da azioni come il suonare dello Shofar o l’agitare il lulav.