L’haftaràh di Ki tavò è la sesta delle haftarot di nechamàh. E’ tratta dal cap. 60 del libro di Yesha’aiàh. Sebbene non sia indispensabile per le haftarot di nechamàh il legame con la parashat ha-shavua’, numerose espressioni richiamano le qelalot (maledizioni) contenute nella parashàh, volgendole in positivo. Anche in questa haftaràh, come in quella della scorsa settimana, il popolo ebraico viene paragonato a una donna.
Il tema principale della haftaràh è quello della luce. La luce è fondamentale per le nostre percezioni. Quando è presente abbiamo modo di apprezzare la presenza dei vari oggetti, quando invece vi sono altri agenti che interferiscono (ad esempio la nebbia), le nostre percezioni si modificano. Questa caratteristica è propria di questo mondo. Ma nel mondo spirituale non c’è nulla che possa interferire con la potenza della luce divina, rappresentata in questo mondo dalla Toràh e dall’intelletto umano (Or Toràh).
Mentre gli altri popoli verranno oscurati, sul popolo ebraico splenderà una potente luce. Come la luna viene illuminata dalla luce solare, così gli altri popoli verranno illuminati da Yerushalaim. La salvezza di Israele avrà una portata universale. Poiché la luce deriverà direttamente da H. e sarà perpetua, non vi sarà più bisogno dei luminari.
Alcune settimane fa ricordavamo che secondo le Tosafot in massechet Meghillàh le haftarot di nechamàh procedono in crescendo. Non sono più in gioco questioni come l’indipendenza politica di Israele, o il termine dell’esilio e delle sofferenze che colpiscono il popolo ebraico, problemi che ci affliggono nella nostra esperienza storica nei termini che tristemente conosciamo. Le parole del profeta sembrano proiettarsi verso la fine dei giorni, in cui spiritualità e materialità si fondono, e la prima acquisisce, al contrario di quanto avviene nel nostro mondo, il predominio sulla seconda.
E’ bene ricordare come, secondo il midrash, la luce primordiale sia stata messa da parte per gli tzadiqim. Yalqut Shim’onì, spiegando il primo verso della haftaràh, lo paragona a una persona che di notte andava per la strada con un lume, e si spense. Venne una persona, lo accese, ma si spense nuovamente. Venne un altro e si spense di nuovo. Il viandante disse allora di preferire di aspettare la luce del giorno. Così la menoràh di Moshèh è stata spenta. Altrettanto quella di Shelomò. Per questo il popolo ebraico attende che sia direttamente H. a fornire la luce.
La Pesiqtà deRav Kahanà, che ricordiamo è la prima fonte delle haftarot di nechamàh, vede nella nostra haftaràh il proseguimento delle precedenti, le ultime delle quali vedevano H. nel ruolo del consolatore. Ora H. dice “visto che la mia luce è la vostra luce, e la vostra luce è la mia luce, andiamo ed illuminiamo Tzion. E’ strano vedere il popolo ebraico e Tzion come due entità distinte, ed effettivamente nelle prime haftarot di nechamàh si identificano, ma dobbiamo considerare quando è stato scritto questo midrash, in un periodo in cui il popolo ebraico viveva in Israele, in uno stato di relativa tranquillità, mentre Yerushalaim era saldamente in mano ai goyim, tanto che era proibito agli ebrei risiedervi. La bellezza della Gerusalemme bizantina non vale nulla senza la presenza del popolo ebraico. Il midrash paragona la dominazione straniera all’offerta di matrimonio di uno sposo inadatto. Il ritorno del popolo ebraico invece rappresenta lo sposalizio con un pretendente all’altezza, con l’approvazione del padre della sposa, le parole che aprono la nostra haftaràh.
La Pesiqtà Rabbatì, composta in un periodo storico successivo, caratterizzato da grossa incertezza politica, riferisce la profezia all’era messianica, e la luce di cui si parla è la prova che il Mashiach, sul tetto del Bet ha-miqdash, porta per convincere il popolo ebraico, che non era convinto della redenzione finale. Sha’ar bat rabbim sulle haftarot illustra l’inizio della haftaràh attraverso una parabola. Un uomo verso il tramonto si rese conto di aver perso un oggetto molto prezioso, ma visto che si era fatta notte e non riusciva a trovarlo, e non era disposto a proseguire il cammino senza di esso, decise di addormentarsi sotto un albero, per ricercarlo all’indomani. A un’altra persona, la quale viveva nei paraggi, capitò la medesima cosa, e anch’essa non aveva nulla per illuminare e aiutarla nella ricerca. Quindi anch’essa decise di addormentarsi sotto un albero. I parenti di quest’ultimo, preoccupati, andarono a cercarlo con una torcia, lo trovarono, ma pur avendo tentato più volte, non riuscirono a risvegliarlo dal sonno profondo che lo aveva preso. Risvegliatosi dal sonno, iniziò a disperarsi con il compagno, che lo riprese, poiché avevano avuto varie volte nella notte l’occasione di proseguire il cammino illuminati e non poterono perché lui dormiva… Lo stesso è capitato al popolo ebraico: H. ha fornito tante volte l’opportunità di essere redenti ed essere illuminati, e questa luce non avrebbe giovato solamente a noi, ma anche agli altri popoli, ma non abbiamo voluto svegliarci dal nostro torpore.