I simboli e i significati di Rosh ha-Shanà
Le feste ebraiche sono ricche di simboli e nel corso delle generazioni numerosi significati sono stati loro attribuiti. La matzà di Pesach, con il suo essere un pane schiacciato, è il simbolo della povertà e dell’afflizione, mentre il chametz (le sostanze lievitate) rappresentano la superbia e la violenza. La sukkà , la capanna della festa di Sukkot, è il simbolo della precarietà della vita; il lulav , l’altra mitzwà che caratterizza Sukkot, è composto di quattro specie di piante (cedro, mirto, palma e salice), che rappresentano rispettivamente i diversi tipi di ebrei (coloro che studiano e mettono in pratica, quelli che studiano soltanto, coloro che agiscono senza curarsi di studiare e infine quelli che non fanno né questo né quello): tutte e quattro le specie sono però accomunate e afferrate insieme in un unico mazzo.
Anche Rosh ha-Shanà, il capodanno ebraico, ha diversi simboli ed è proprio a proposito di questa festa che viene detto nel Talmud che “i simboli hanno un significato” ( simanà miltà hi , lett. “il segno è una cosa”; Talmud Bavlì, Keretòt 6a). La sera del capodanno si usano mangiare vari cibi, secondo un rituale chiamato “Seder di Rosh ha-Shanà”: a ogni cibo si accompagna una breve preghiera (che inizia con le parole yehì ratzòn , “sia volontà”) di buon augurio per l’anno che sta per iniziare. Fra gli alimenti, che variano nelle diverse tradizioni, uno dei più diffusi è la mela intinta nel miele, abbinata alla formula “sia Tua volontà o Sign-re D-o nostro e D-o dei nostri Padri che l’anno nuovo sia buono e dolce dall’inizio alla fine”. Un altro cibo che si usa mangiare è la melagrana, per la quale si dice “sia Tua volontà… che i nostri meriti siano numerosi come (i chicchi de) la melagrana”. In entrambi questi casi il simbolo risiede in una caratteristica fisica del cibo stesso: la dolcezza del frutto in un caso e l’alto numero di chicchi nell’altro. Altri cibi hanno una simbologia di tipo diverso: ad esempio, la zucca ( kerà , in aramaico) viene accompagnata dalla formula “sia Tua volontà… che venga strappato il cattivo giudizio decretato contro di noi e vengano invocati presso di Te i nostri meriti”; in questo caso, il simbolo nasce dall’assonanza fra il termine aramaico kerà e le parole ebraiche kara’ (strappare) e karà (invocare). (Per una discussione approfondita su origini e significati del rito, vedi Il Séder di Rosh Hashanà , di Rav Riccardo Di Segni, ed. Morashà, Milano).
L’uso di mangiare cibi particolari di Rosh ha-Shanà è un rito di importanza relativamente minore, e non tutte le tradizioni lo hanno accolto, almeno nella sua forma estesa. La mitzwà principale del Capodanno, e universalmente osservata, è invece suonare lo shofar (corno). Anche questo precetto ha vari significati simbolici, che non sono però molto conosciuti e vale la pena approfondire. La Mishnà, nel trattato Rosh ha-Shanà (recentemente uscito in una nuova edizione italiana, con traduzione e commento a cura di Gabriele Di Segni, Lamed-Lulav-Morashà, Roma-Milano 5761-2001) afferma che “tutti i tipi di shofar sono adatti, tranne quello proveniente dai bovini”; un’opinione riportata nella Mishnà sostiene inoltre che lo shofar del Capodanno deve preferibilmente consistere in un corno di stambecco, che è diritto, mentre nei digiuni si deve usare un corno di montone, ricurvo. Rabbi Yehudà afferma invece che di Rosh ha-Shanà si usa un corno di montone, e solo nella proclamazione dello Yovèl (Giubileo) si suona il corno dritto degli stambecchi (cap. 3: 2-5).
Qual è il significato della mitzwà dello shofar e di tutte queste distinzioni fra un tipo di corno e l’altro? La Torà dice che il suono è collegato con il “ricordo”, senza però specificare di cosa o chi si debba ricordare ( Levitico 23: 24): secondo i maestri del Talmud si tratta del ricordo della ‘akedat Yitzchak , il (mancato) sacrificio di Isacco. Nel “Giorno del Giudizio” (che è la caratteristica principale di Rosh ha-Shanà) il “ricordo” dei meriti dei Padri ha la funzione sia di stimolare noi stessi a un ripensamento delle nostre azioni, sia – per così dire – di far sì che D-o ammorbidisca il Suo decreto nei nostri confronti. Per questo, dice il Talmud, non si può usare un corno di bovino: questo infatti è associato con il peccato del vitello d’oro, e “l’accusatore non può diventare il difensore”. È bene invece usare un corno di montone, a ricordo del montone che fu sacrificato al posto di Isacco.
Ma perché è importante distinguere fra corni diritti e ricurvi? Secondo il Talmud, la prima opinione della Mishnà (riportata sopra) afferma che lo shofar deve essere diritto perché nel giorno di Rosh ha-Shanà, ossia un giorno di preghiera in cui ci sottoponiamo al giudizio divino, noi dobbiamo essere quanto più semplici e “diritti” possibili. L’onestà e la sincerità sono i requisiti essenziali perché le nostre preghiere siano accolte: questo è il significato dello shofar diritto. Un corno curvo, invece, rappresenterebbe un animo contorto, e le tortuosità intellettuali per razionalizzare e giustificare il proprio comportamento sarebbero solo controproducenti nel Giorno del Giudizio.
Rabbi Yehudà, d’altro canto, non accetta questa interpretazione della simbologia insita nella forma del corno. Egli afferma che, al contrario, proprio un corno curvo è il più adatto per il Giorno del Giudizio: questo è un giorno in cui ci sottomettiamo alla volontà divina, e tanto più siamo “curvi”, con lo sguardo umilmente rivolto verso il basso, tanto più possiamo sperare di essere giudicati favorevolmente. Nel Giubileo, invece, quando viene proclamata la libertà per gli schiavi e per la terra, ed è pertanto un tempo di gioia generale, il corno diritto è più adatto ad annunciare l’inizio dell’anno festivo.
Il detto del Talmud ” simanà miltà hi ” (il segno è una cosa) significa quindi che l’atto simbolico ha la capacità di far rivivere l’esperienza stessa rappresentata dal simbolo: usare uno shofar curvo vuol dire essere veramente curvi, umili. C’è quasi un’identità fra il simbolo e ciò che questo rappresenta.
E tornando al simbolo con cui siamo partiti, la matzà di Pesach, non solo essa è il simbolo della povertà e dell’afflizione, ma mangiarla significa identificarsi veramente con gli schiavi ebrei di più di tremila anni fa.
(originalmente pubblicato su Shalom)