Rosh haShanah 5766
Berit: riconoscimento Divino della libertà dell’uomo.
Rosh haShanah è l’Anniversario della Creazione dell’Uomo. Ebbene, questa creatura fin dall’inizio si presentò in modo differente rispetto a tutte le altre. Nel Midrash non passa inosservata l’assenza della consueta frase: “e D. vide che era cosa buona “ in riferimento alla Creazione dell’Uomo. L’ultima parola su quest’ultima fatica non può essere della Divinità stessa: dipende infatti essenzialmente dall’Uomo stesso e dal suo comportamento il giudizio che se ne può dare.
La nazione ebraica si basa sul concetto di patto (berit). Nella berit i due contraenti (D. e l’Uomo) si autolimitano assumendosi impegni reciproci, ma mantenendo per il resto la propria rispettiva identità. Fin dai primi capitoli della Bibbia Ebraica ogni “incontro” fra il Creatore e la creatura termina con una “presa di coscienza” da parte di entrambi nei riguardi dell’Altro. Il rimprovero di Adamo per aver consumato il frutto proibito si esaurisce in un’accettazione da parte di D. della condizione dell’Uomo. Questi non viene punito con la morte come minacciato inizialmente, ma risulta “promosso” di fatto ad un ruolo di responsabilità morale dal quale sarebbe stato sostanzialmente escluso se non avesse accettato la sfida. Il confronto con Noach segna un’ulteriore “ritirata” da parte di D., “costretto” da un lato a prendere atto che “l’indole dell’uomo è incline al male fin dalla giovinezza”, ma dall’altro a decidere di non prendere mai più un’iniziativa di distruzione planetaria analoga al Diluvio.
Il processo giunge al suo apice con Avraham Avinu: si pensi alla febbrile trattativa per la salvezza di Sodoma e Gomorra, in cui il nostro Patriarca osa contestare, per così dire, l’operato del S.B. in fatto di Giustizia. L’episodio del Sacrificio d’Isacco in genere viene considerato come la dimostrazione definitiva del potere Divino sull’uomo, chiamato senza alcuna ragione plausibile e senza preavviso a rinunciare a quanto ha di più caro. Ebbene, persino il Sacrificio di Isacco può essere rivisto in questa luce se lo consideriamo nell’interpretazione creativa che ne ha dato recentemente Elie Wiesel.
Abramo dovette dibattersi fra due affermazioni contrastanti da parte della Divinità. Il giorno prima il S.B. gli disse: “Isacco sarà la tua vera discendenza”, il giorno dopo gli ingiunse invece: “portalo sul monte che ti indicherò e lì me lo offrirai in sacrificio”. Il Patriarca era confuso: come è possibile che da Itzchak deriverà la mia progenie se domattina mio figlio sarà morto? Cosa vuole da me esattamente il buon D.? Farò così: gli porto Itzchak in sacrificio come ora mi ha chiesto e lascerò che sia Lui a risolvere la Sua propria contraddizione. Per fermare la mano di Avraham, il S.B. dovette ricorrere significativamente ad un Angelo…
Con Mosè assistiamo a svariate discussioni con D. Si tratta di un topos letterario ebraico che conoscerà sviluppi fino alla letteratura posteriore alla Shoah: si pensi al “Processo di Shamgorod” dello stesso Wiesel, o di “Yossl Rakover parlò con D.”. In genere, come accade per esempio dopo la trasgressione del Vitello d’Oro, o quella degli esploratori, la Divinità finisce con il recepire il punto di vista umano. “Il ripetuto confronto di D. con la corruzione umana e la sperimentazione da parte Sua di nuove vie per mettersi in relazione con l’uomo – scrive David Hartmann – sono conseguenze della Sua accettazione della libertà dell’uomo”.
Tre sono dunque gli elementi significativi nella storia della creazione: 1) La libertà e spontaneità di D.; 2) la libertà dell’uomo, che porta D. stesso ad auto-limitarsi e a riconoscere nell’uomo la sua integrità e 3) l’interazione di D. con gli esseri umani nella storia e la Sua scelta di coinvolgerli nel determinare il corso della storia stessa. Diverse sono le occasioni in cui all’uomo è data la possibilità di farsi promotore, in piena autonomia e dignità, del dialogo con D. Una di queste è la Teshuvah.
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Teshuvah per timore e Teshuvah per amore: quali differenze?
“Disse Reish Laqish: Grande è la Teshuvah, in quanto trasforma le colpe volontarie in semplici errori. Ma non aveva forse detto invece Reish Laqish: Grande è la Teshuvah, in quanto trasforma le colpe volontarie in meriti? Non c’è contraddizione, in quest’ultimo caso si riferisce alla Teshuvah per amore, mentre nel primo alla Teshuvah per timore.
Il problema della Teshuvah è strettamente connesso con quello della percezione del tempo da parte dell’uomo. Come dice altrove il Talmud: “Il passato non c’è più, il futuro deve ancora venire e il presente è come un batter d’occhio”. Se dunque il presente è sfuggente e non può essere colto, si può definire l’uomo in base al passato o al futuro. Nel primo caso, l’uomo è colui che vive nella memoria continua di ieri; nel secondo caso, l’uomo è colui che aspetta il domani. Man mano che la persona invecchia, diminuiscono naturalmente le aspettative e aumentano i ricordi: ma tutti siamo trasportati dal fluire del tempo da un passato noto ad un futuro ignoto attraverso il presente, che funge da ponte.
E’ noto che non c’è Teshuvah senza “rimorso per il passato”. Ebbene, cosa farà un trasgressore con il fardello dei suoi trascorsi? Ci sono due possibilità. Una di esse è rimuovere degli anni della propria vita, proprio come fanno molti prigionieri una volta liberati dal carcere: “il coppiere non si ricordò di Yossef e se ne dimenticò” (Bereshit 40, 23). Il prezzo che si paga in questo caso è tagliar via un pezzo della propria esperienza di vita: un’operazione tutt’altro che facile, in quanto comporta riconoscere che un periodo della propria esistenza, talvolta molto lungo, è stato sbagliato. La conseguenza estrema può essere persino il troncamento completo delle relazioni con persone care che comunque appartengono a questo nostro passato: i genitori, fratelli e sorelle. E’ sostanzialmente quanto fu comandato ad Avraham nostro Padre: Va’ via dalla tua terra, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre, verso la terra che Io ti indicherò.
In questo modo, la Teshuvah si profila come una rottura con il passato e consiste nell’eliminazione del male. Vi sono dei casi in cui non se ne può fare a meno: si pensi all’obbligo di distruggere il ricordo di ‘Amalek, per esempio. Ma vi è un altro tipo di Teshuvah, ed è quella che si sviluppa sotto il segno della continuità. Essa consiste nella correzione del male e nella sua elevazione. Qui il penitente resta se stesso, non si trasforma in un’altra persona. Non gli si richiede di tornare al punto di partenza. Piuttosto, gli anni trascorsi nella trasgressione lo spingono con forza verso D., in una posizione cui mai si sarebbe sognato di pervenire prima della trasgressione stessa.
Il peccato non va dimenticato, né cancellato: al contrario, occorre ricordarlo. Racconta il Talmud che Reish Laqish, prima di diventare un grande studioso della Torah aveva un passato da brigante. E prima ancora era già stato studioso della Torah, ma ora era più grande. Che cosa lo aveva reso più grande nel frattempo? La trasgressione! Il ba’al Teshuvah che sa non dimenticare il proprio passato, non cancellarlo dalle sue memorie, bensì gli affida un nuovo compito e se ne serve per risvegliare in sé la nostalgia per la qedushah perduta, è precisamente colui che eleva il male alla dignità del bene. Nel suo caso il S.B. non è ‘ovèr ‘al pèsha’ (Colui che passa sopra la trasgressione), bensì nossè ‘awòn wa-fesha’ (Colui che eleva il peccato e la trasgressione).
Alla luce di tutto questo comprendiamo i due detti che il Talmud attribuisce proprio a Reish Laqìsh: “Grande è la Teshuvah, in quanto trasforma le colpe volontarie in semplici errori” si riferisce al primo tipo, quella che consiste nell’eliminazione del male. Essa cancella effettivamente le colpe, ma non sviluppa niente di nuovo. Le colpe volontarie si trasformano semplicemente in errori, come se non ci fossero mai state. L’altra frase, invece: “Grande è la Teshuvah, in quanto trasforma le colpe volontarie in meriti”, allude all’elevazione del male. Il penitente eseguirà le Mitzwòt con maggior entusiasmo rispetto a quanto faceva prima del peccato. Quest’ultima è la vera Teshuvah “per amore”: per suo tramite, l’uomo si presenta ancora una volta dinanzi al S.B. in tutta la sua dignità di partner e gli dice: Ti offro tutto me stesso, senza negare nulla della mia stessa debolezza: In questo precisamente consiste la grandezza dell’uomo e la sua vera libertà. Ketivah wa-Chatimah Tovah.