Gadi Piperno
Al centro di una dinastia di rabbanim, che iniziò non più tardi del XVI secolo, ma probabilmente anche prima, e che in Italia si interruppe a fine ottocento, mentre in Terra d’Israele è arrivata fino ad oggi, troviamo il rabbino David Pardo. Nato a Venezia di Shabbàt il primo di Nisàn del 5478 (1718) da Giustina e dal rabbino Yaaqov Pardo, rimase presto orfano di entrambi i genitori e fu preso in adozione, con la sorella, da un facoltoso parente, rabbi Moshè Ashkenazì, che lo fece studiare presso alcuni tra i più importanti maestri dell’epoca. Si trasferì a Spalato dove studiò con il rabbino David Papo, che sostituì alla sua morte come Rabbino Capo della città. La sua sapienza era tale che a soli 23 anni a lui fu posta la prima sheelà (richiesta di responso su tema di giurisdzione ebraica) sulla liceità dell’uso dell’ombrello di Shabbàt e di giorno festivo.
In effetti ben presto diventò un punto di riferimento per le comunità italiane, soprattutto per quelle sefardite. Nel Mikhtam leDavid, l’opera che racchiude i 130 responsa di rav Pardo, troviamo infatti richieste provenienti da Venezia, Ancona, Livorno, Verona e da diverse altre città italiane, così come dai Balcani da Sofia e da Salonicco. I suoi responsa rappresentano in termini di Halakhà uno dei picchi della produzione rabbinica italiana del Settecento.
Fu chiamato poi a condurre l’importante comunità di Sarajevo a 47 anni nel 1765, dove rimase per sedici anni. In essa rabbì Pardo formò un numero davvero importante di rabbanim.
Sin da giovane il rabbino David Pardo provava una grande attrazione per la Terra d’Israele e per Gerusalemme. All’età di 64 anni coronò il suo sogno e andò a vivere a Gerusalemme. È stato ritrovato un suo manoscritto in cui egli racconta le traversie di questo viaggio, iniziato a Lag Ba’òmer, con un percorso a piedi di una decina di giorni (oltre 200 km), da Sarajevo a Ragusa (oggi Dubrovnik) e proseguito fino all’arrivo ad Acco dopo un viaggio in nave (talvolta burrascoso) di quasi un mese. Arrivò quindi a Gerusalemme dove venne subito messo a dirigere la yeshivà Chesed leAvrahàm e dove trascorse il suo ultimo decennio di vita, prima di essere sepolto con la moglie Tzipporà sul Monte degli Ulivi.
Dalla mogle Tzipporà ebbe tre figli e una figlia. Dei tre figli il più grande, Yaaqòv, fu il Rabbino di Dubrovnik e da lui discende il ramo italiano che si stabilì a Verona nell’Ottocento. Il secondo Yitzchàq rimase nei Balcani, mentre il terzo, Avrahàm sposò la figlia del Hidà (Chayim Yosef David Azulai) e seguì il padre in Terra d’Israele. Da Avrahàm la dinastia rabbinica è arrivata fino ai nostri giorni.
Estremamente ampia, e non qui riportabile interamente per ragioni di spazio, fu la sua produzione di libri di Halakhà e di commento ai testi di era talmudica. Vale la pena qui ricordare, oltre al spora citato libro di responsa, il Chasdè Davìd che è considerato il primo e fondamentale commento alla Toseftà, il Mizmòr leDavid, testo sulla kashrùt, che tra l’altro è una delle prime fonti sull’usanza, diffusa in Italia, di attendere 3 ore , e non 6, tra carne e latte.
Ma nel suo impegno rabbinico egli non si limitò a scrivere. Forte era il suo impegno nel sociale e proprio a Sarajevo fondò tre confraternite di tzedaqà. Questa attenzione alle esigenze dei più deboli è stato in effetti un tratto comune a tutta la dinastia dei rabbini Pardo.
Gadi Piperno è Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Firenze
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