Alcune osservazioni sul fenomeno delle rivelazioni mistiche diffuso in Italia
Uno degli aspetti più affascinanti e misteriosi della figura di Rabbì Moshè Hayym Luzzatto, conosciuto anche con l’acronimo ebraico di Ramhal, è quello della rivelazione del Magghid. Questo fenomeno è talmente centrale nella personalità del Luzzatto, che uno dei suoi più importanti studiosi moderni, Meir Benayahu, scriveva come non sia possibile comprendere la sua figura senza conoscere il fenomeno del Magghid[1]. Difatti il Ramhal, pare che non facesse nessuna azione senza l’autorizzazione del Magghid, e molto probabilmente diversi suoi scritti sono stati influenzati da questo fenomeno. Perdipiù tutta la polemica sorta a Padova attorno al personaggio di Ramhal, e quindi la partenza dalla sua città, riguardava molto verosimilmente proprio questo fatto eccezionale[2].
Il Magghid era un’esperienza mistica durante la quale il Luzzatto sentiva una voce che gli usciva dalla bocca, senza però vedere alcuna immagine[3]. Quando accadeva questo fenomeno il Ramhal perdeva la conoscenza, cadeva cioè in trance, e si trovava in una situazione che lui descrive “come in un sogno”[4]. Per ottenere questo fenomeno il Ramhal usava una tecnica mistica particolare, durante la quale appoggiava le mani sul tavolo, abbassava la faccia e poi cadeva appunto in trance, quindi si addormentava, risvegliandosi poi quando sopraggiungeva il Magghid. I suoi compagni, presenti durante queste rivelazioni, lo vedevano mentre applicava le tecniche mistiche, ma non sentivano nessuna voce[5]. Durante questi momenti Luzzatto, come altri mistici prima di lui, usava scrivere le rivelazioni ottenute secondo una tecnica di scrittura automatica, senza cioè il controllo della ragione[6].
La definizione di cosa fosse il Magghid venne fissata dal rabbino Hayym Vital Calabrese, vissuto a Zefat nella seconda metà del XVI secolo ed allievo del famoso mistico Izhak Luria, nel suo Shaarè Qedushà. Vital distingueva fra 5 tipi diversi di rivelazioni celesti, come ad esempio il sogno o la rivelazione di Eliahu, e di cui una di queste era appunto il Magghid[7]. Tuttavia, l’elemento che contraddistingueva il Magghid dagli altri tipi di rivelazioni era che questa veniva causata volontariamente dall’uomo, era cioè causata dalla volontà del mistico stesso attraverso l’applicazione di tecniche particolari, diversamente dalle altre quattro che erano appunto involontarie. Anche dal punto di vista fenomenologico il Magghid era un evento ben distinto e particolareggiato. Non si trattava infatti di una possessione spiritica, che è solitamente un fenomeno involontario causato cioè da uno spirito che penetra nella persona senza la sua volontà[8], e non è quindi per nulla paragonabile ad altri fenomeni come il dibbuk o l’esorcismo[9]. Non era quindi nemmeno l’anima di un morto o un’anima vagante addentratasi in qualche essere vivente. Ma il Magghid era anche un fenomeno completamente maschile, contrariamente al dibbuk o alle possessioni spiritiche, che soprattutto si manifestavano volentieri presso le donne[10]. Inoltre il Magghid era un fenomeno assolutamente di elite, che si manifestava soltanto presso studiosi, mentre gli altri fenomeni sono solitamente fenomeni del tutto popolari.
Il Magghid era un fenomeno mistico quindi, e non magico o paranormale, che rifletteva l’esigenza di una comunicazione con l’Eccelso e il Divino. Era insomma un tentativo di connessione con un aspetto della divinità stessa o con i mondi superiori, allo scopo di ottenere delle rivelazioni celesti[11]. Pertanto il raggiungimento della rivelazione di un Magghid doveva essere la conseguenza di un procedimento di purificazione, una catarsi, a cui soltanto i più eletti e puri potevano accedere per ricevere le sue rivelazioni. Lo scopo delle rivelazioni del Magghid era quello di raggiungere il grado più elevato di rivelazione mistica, cioè la rivelazione del profeta Eliahu, il precursore del Messia[12], e permettere quindi alla persona di oltrepassare le limitazioni del mondo materiale accedendo ad un mondo superiore [13].E non per niente l’atmosfera intorno al Ramhal aveva qualcosa di messianico: Luzzatto infatti sosteneva proprio di avere visto Eliahu, leggeva gli scritti di Nathan Azati, il profeta di Shabbetay Zevì, e forse si considerò o almeno venne considerato da alcuni un aspirante Messia[14].
Per ottenere il Magghid veniva applicata una tecnica particolare, anche questa canonizzata nella seconda metà del 500 da Rabbì Hayym Vital nel suo Shaarè Qedushà. Secondo Vital, tramite l’uso di una particolare tecnica mistica, i cosiddetti yhudim, era possibile ottenere le rivelazioni del Magghid a seconda della volontà dell’uomo. Questa tecnica comprendeva alcune fasi, fra cui il pentirsi dei propri peccati allontanandosi dalle cattive abitudini, il praticare con minuziosità i diversi precetti dedicando molto tempo allo studio della Torà ed alla preghiera, quindi alzarsi durante la notte per recitare i formulari dedicati al lutto per la distruzione di Gerusalemme (i cosiddetti Tikkunim[15]), eseguire continue abluzioni di purificazione svuotando la mente da pensieri futili e terreni, infine concentrare la propria mente su pensieri sacri chiudendo gli occhi ed immaginando i mondi superiori[16]. Il comune denominatore di queste tecniche era il procedimento di purificazione spirituale che era necessario effettuare per poter ottenere le rivelazioni di un Magghid. E` possibile pertanto che la produzione etica di Luzzatto, come ad esempio la famosa opera Mesilath Yesharim (Il percorso dei retti) composta in una fase più tarda durante la permanenza di Luzzatto ad Amsterdam, vada inserita proprio in questo contesto di purificazione e catarsi, ed il libro sia stato scritto quindi proprio per guidare l’uomo nel suo percorso di purificazione necessario per raggiugere il più alto livello mistico[17].
Ma l’aspetto che più sorprende e che affascina del fenomeno del Magghid è la sua grande diffusione in Italia. Infatti non solo Luzzatto aveva ricevuto le rivelazioni del Magghid, ma furono molti invece i kabbalisti italiani che cercarono di ottenere questo genere di rivelazioni. Per cominciare con Menahem Azarià da Fano a Venezia ed il suo allievo Aharon Berekhià da Modena[18], passando per Rabbì Moshè Zacuto[19] a Mantova ed i suoi allievi Avraham Rovigo e Beniamin ha-Coen di Reggio[20], poi Ramhal appunto, ed infine Hayym Yosef David Azulay[21], per citare soltanto i più famosi. Non per niente David Finzi di Mantova, il futuro suocero di Ramhal e allievo di Zacuto, testimoniò che “molti cercano di ricevere le rivelazioni, ma non tutti vi riescono”[22]. La fenomenologia del Magghid in Italia non è stata studiata ancora approfonditamente, ma c’è da supporre che proprio Zacuto sia stato uno dei suoi prototipi[23]. Comunque una delle fonti principali per ricostruire la diffusione del Magghid è proprio il dizionario bio-bibliografico Shem ha-Ghedolim del H. Y. D. Azulay, ed è appunto l’Azulay che riferisce di diversi casi di Magghid accaduti in Italia.
A questo punto emergono tutta una serie di quesiti: come mai questo fenomeno fù così diffuso in Italia? Se era così diffuso, avrà anche avuto una sua influenza sociale e culturale. E che funzione aveva nella personalità di Ramhal, e poi anche degli altri mistici? E` assimilabile ad altri fenomeni, sia quelli avvenuti nel campo ebraico che nella società cristiana contemporanea? Con quali metodologie di interpretazione è possibile analizzare un simile fenomeno?
Ciò che emerge quindi è, che non solo nella figura di Ramhal il Magghid riveste un posto importante, bensì in tutta la dottrina mistica che si forma dalla fine del 500 in poi. E ciò che più ci riguarda è che il Magghid riveste una funzione nella cultura ebraica italiana del periodo che va dal Rinascimento fino all’epoca moderna. Il fenomeno è interessante perché assai complesso e sfaccettato così come non consueto ed esoterico, ed è possibile analizzarlo secondo diverse chiavi di lettura, proponendo alcuni indirizzi di studio oltre quelli già elaborati. L’approccio di interpretazione principale è stato fin’ora quello fenomenologico, applicato da Werblowsky nei suoi studi[24], ma altre dottrine possono forse aggiungere alla comprensione del Magghid, come la psicologia, l’antropologia, la medicina e la scienza delle religioni, e per finire la storia delle mentalità. Di conseguenza, il Magghid è un case-study, un prisma, attraverso cui è possibile comprendere molti degli aspetti della cultura e della mentalità del periodo[25].
Prima di tutto, è necessario ricostruire le linee di diffusione del Magghid, e quindi, contrariamente ad altri fenomeni simili mistici o di possessioni spiritiche, è possibile definirlo sia temporalmente che geograficamente. Il fenomeno di rivelazioni mistiche conosciuto come Magghid è di breve durata, e compare soltanto durante tre secoli, tra la fine del 400 e la fine del 700[26]. Prima di questa data avvengono rivelazioni mistiche, ma non vengono definite come Magghid[27]. Uno fra i primi ad ottenere un Magghid è Rabbì Shelomò Taitazak a Salonicco subito dopo l’espulsione dalla Spagna. R. Yosef Caro, l’autore dello Shuklhan Arukh, era suo contemporaneo, e lui stesso testimonia come il fenomeno non fosse ancora diffuso[28]. In seguito il fenomeno del Magghid si trasferisce a Zefat assieme al Caro. Dal centro di Zefat il fenomeno passa in Italia, dove appare già nella metà del 500[29]. In seguito durante il XVII secolo nei circoli vicini al Zacuto, e poi fra i seguaci del movimento sabbatiano, quindi in tutti i circoli kabbalistici italiani, sia pro che contro il sedicente messia Shabbetay Zevi, si diffonde il desiderio di ottenere le rivelazioni di un Magghid[30]. Nel 700 il Magghid appare al Ramhal, e quindi già in periodo napoleonico anche al Hayym Yosef David Azulay che muore a Livorno nel 1807, e dopo questo l’argomento scompare completamente. Quindi anche le sue correnti di diffusione sono ben riconoscibili. Il suo inizio è nella generazione degli espulsi dalla Spagna, nelle regioni europee dell’Impero Ottomano, passando quindi a Zefat, giungendo poi in Italia a seguito della dottrina kabbalistica, e diffondendosi in seguito in altri paesi. Difatti la figura modello di Magghid è quella di Rabbì Yosef Caro, che lasciò scritto un diario contenente le rivelazioni ottenute dal Magghid, il volume Magghid Mesharim stampato a Venezia nel 1649 e molto diffuso Italia, cosicché tutto il fenomeno subì un processo di canonizzazione[31]. Per via della figura imponente del Caro, divenne quasi un imperativo per ogni kabbalista imitarne la figura e cercare di ottenere questo genere di rivelazioni. Pertanto il Magghid divenne una tradizione, quasi a dimostrare il grado ed il valore del kabbalista, ed infatti anche Luzzatto confrontava il suo Magghid con quello del Caro, sostenendo che il suo Magghid era superiore a quello di Caro[32]. Di conseguenza, una delle cause della diffusione del Magghid, anche in Italia, fu lo spirito di emulazione di Yosef Caro.
Ma il Magghid, che era un fenomeno elitistico, portò comprensibilmente a molteplici sviluppi sociali e culturali, anche a livello popolare. Prima di tutto portò allo sviluppo di un movimento di teshuvà, di ritorno cioè alla fede e di studio mistico-religioso, sviluppatosi intorno alla figura del mistico stesso. Così ad esempio avvenne a Padova appena si seppe delle rivelazioni ricevute dal Ramhal, dove venne appunto fondato un circolo o una yeshivà, probabilmente su ispirazione del Magghid stesso[33]. Inoltre, il fenomeno del Magghid va inserito nel contesto più generale di popolarizzazione della mistica ebraica diffusasi in Italia proprio durante questo periodo, e quindi al grande successo in tutta Italia dei circoli esoterici, quali il Hadashim la-Bekarim o il Shomerim la-boker, e la diffusione dei formulari mistici anche fra chi non era addentro le dottrine mistiche, soprattutto i Tikkunim di Hazzot e Shovavim, che come si è visto prima, la loro recitazione era secondo Hayym Vital una fase di purificazione necessaria per ottenere le rivelazioni. Non per niente, le edizioni di Tikkunim stampate in Italia in questo periodo sono numerosissime, e non sono state fin’ora studiate in maniera sistematica[34]. Ed anche a Padova furono molte le persone che avendo saputo dell’apparizione del Magghid, divennero desiderose di partecipare alle pratiche dei Tikkunim[35]. Ma in secondo luogo, oltre ai Tikkunim si diffuse in Italia lo studio della Mishnà. Questo perché il Magghid di Rabbì Yosef Caro gli apparse come l’impersonificazione stessa della Mishnà. Ed ecco che nel 600 in Italia vengono stampate diverse edizioni della Mishnà con l’avvertimento esplicito che lo studio della Mishnà ha appunto un significato mistico[36].
Come si diceva l’interpretazione maggiormente accettata del Magghid è quella fenomenologica, di cui il lavoro di Zvi Werblowsky è un esempio magistrale. Un tentativo di analisi del fenomeno a cui Werblowsky stesso accenna è l’approccio in chiave freudiana, vale a dire che ciò che il Caro prima e Ramhal poi udivano nelle rivelazioni erano temi che già li assillavano durante le ore sveglie, e pertanto venivano trattati argomenti a cui erano già interessati[37]. Quindi il Magghid sarebbe la riflessione della coscienza del mistico stesso, un alter-ego del kabbalista, ed in questa prospettiva Rabbì Yosef Caro sarebbe stato l’autore ed il creatore del Magghid di se stesso[38]. E quindi anche nel caso di Luzzatto il Magghid non sarebbe stato altro se non l’espressione di un suo sentimento interno. Di conseguenza anche analizzando i diversi quesiti rivolti da ogni mistico al proprio Magghid è possibile risalire alle questioni che lo assillavano. Ed ecco quindi che Magghid di Yosef Taitazak si occupa di temi apocalittici e messianici, di angeli e spiriti, di stelle ed oroscopi[39], mentre Avraham Rovigo cerca risposte alle sue mancanze di memoria, e Beniamin haCoen di Reggio invece chiese informazioni sul futuro matrimonio della figlia[40].
Secondo un approccio di tipo antropologico invece, il Magghid rifletterebbe l’aspirazione e la necessità dell’uomo di conoscere ciò che è metafisico e trascendente[41]. Tuttavia, una terza metodologia di interpretazione possibile è l’analisi della mentalità, ed è possibile che proprio questo genere di analisi sia in grado di rivelare degli aspetti assai innovativi ed interessanti. Questa prospettiva, va subito detto, non è stata fin’ora elaborata e qui vengono esposte soltanto alcune osservazioni a proposito. L’analisi della mentalità, cercherà di valutare non tanto l’elemento specifico del contesto ebraico, ma piuttosto il comune denominatore con la cultura circostante. Infatti la mentalità non si riferisce a fenomeni tipici del periodo ma piuttosto ad un sistema di idee e di credenze ereditato da lungo tempo e bagaglio della cultura del periodo, e di conseguenza questa metodologia dovrebbe aprire uno spiraglio verso la comprensione dell’intero apparato culturale appartenente a Moshè Hayym Luzzatto, come il rapporto verso la natura e Dio, la concezione del sacro e della religione[42].
In quest’ottica vari elementi possono essere analizzati. Uno fra i più interessanti riguarda la forza ed il potere di influenza dell’intenzione umana sugli eventi della natura e del cosmo[43]. Vale a dire la fede che attraverso la propria concentrazione mentale e l’uso di una speciale tecnica, l’uomo possa cambiare i fenomeni della natura o anche ottenere rivelazioni celesti. E quindi possa influire sul cosmo e sui mondi superiori, ciò che viene chiamato effetto teurgico dell’adempimento delle Mitzwot. Questa concezione non è certo nuova, ed è anzi alla base della dottrina mistica. Ma da questa deriva quel significato cosmico dello studio della Torà e della Mishnà, che avrebbe il potere di influire sui mondi celesti.
Ma ancora di più il fenomeno del Magghid comprende al suo interno la credenza in un sistema di spiriti ed angeli che hanno il potere di influire sull’uomo, ed attraverso il Magghid traspare anche una non troppo studiata demonologia ebraica[44]. Gli esempi possono essere diversi: Yosef Taitazak chiese al suo Maggid di rivelargli l’ordine degli spiriti[45], e secondo Hayym Vital il Magghid poteva essere pure l’apparizione di un angelo[46]. Mentre negli scritti di Luzzatto appare invece l’avvertenza di controllare se il Magghid non sia un’emanazione del “diavolo”, quello che in ebraico viene chiamato Sitra akhra, o degli spiriti maligni[47].
Ovviamente anche questo tipo di concezioni non sono nuove ma risalgono alla notte dei tempi. Ed in questo senso è possibile che vi siano analogie con la cultura circostante non ebraica. A questo punto è difficile sfuggire alla tentazione di ricercare paralleli al fenomeno del Magghid nella cultura circostante non ebraica. Le analogie possibili qui sembrano due: da un lato la comparazione di fenomeni mistici effettivamente diffusi in Europa proprio tra la fine del 500 e l’inizio del 600[48]; la seconda prospettiva è la diffusione in Europa nello stesso periodo delle ossessioni per gli spiriti, anche se il Magghid, secondo la definizione di Vital non era proprio uno spirito ma poteva però essere un angelo, da cui derivò la famosa caccia alle streghe dei primi del 600, tema questo che faceva parte difatti dell’immaginario medievale, ed a cui sia Keith Thomas che Robert Mandrou hanno dedicato i loro studi[49]. Non per niente, ma il Tikkun Shovavim, a cui si è già accennato prima ed era molto diffuso in Italia[50] e che doveva servire come preparazione alle rivelazioni del Magghid, doveva essere un rimedio a quei peccati commessi dall’uomo e la cui conseguenza era proprio la creazione degli spiriti[51].
Come si è visto, il fenomeno del Magghid era assai diffuso in Italia nei circoli kabbalistici, e la sua influenza sulla società ebraica italiana, come più in generale l’influenza della Kabbalà, fu assai più ampia e vasta di quanto fosse possibile immaginare. Questa influenza ha molteplici aspetti quali: la portata del libro stampato e la diffusione della Kabbalà, la diffusione dei Tikkunim, la diffusione dei fenomeni mistici attraverso le confraternite ed i circoli letterari. Tuttavia, se si accetta di interpretare il fenomeno del Magghid alla luce di nuove metodologie, come l’analisi storica della mentalità, allora il Magghid non diventa più un fenomeno mistico nuovo, ma si ricollega invece ad un bagaglio culturale e ad un modo di pensare antico e ben radicato. Da questo genere di analisi è forse possibile addentrarsi nel complesso mondo interiore di Ramhal, e rivelare il suo modo di pensare e le sue concezioni.
[1] Riguardo l’esperienza mistica di Moshè Hayym Luzzatto, è fondamentale il lavoro pubblicato da Meir Benayahu, “Ha-Magghid shel Ramhal” (Il magghid di Ramhal), Sefunot, 5 (1961), p. 299-336.
[2] Qualsiasi studioso che tratti del Ramhal tocca necessariamente anche la questione del Magghid, pertanto la bibliografia è enorme. Tuttavia la fonte principale usata per analizzare il fenomeno del Magghid di Luzzatto è il suo epistolario, di cui adesso è reperibile una edizione in italiano curata da Natascia Danieli. Cfr. quindi a questo proposito: S. Ginzburg (a cura di), Rabbì Moshè Hayym Luzzatto u-venè dorò [Le lettere di Ramhal e dei suoi contemporanei], Tel Aviv 1937, p. XXIII-XVIV; I. Sonne, “Avnè Binyan. Teudot le-heker Ramhal ve-huggò” [Documenti per lo studio di Ramhal e del suo circolo], The American Hebrew Year Book, 1938, p.218-225; Benayahu, op. cit., p. 299; I. Tishby, “Yahasò shel Moshè Hayym Luzzatto el ha-Shabtaut [L’atteggiamento di Moshè Hayym Luzzatto verso il sabbatianesimo]”, reprint in: I. Tishby, Path of faith and Heresy, Jerusalem 1982, p. 169-170; N. Danieli, L’epistolario di Moseh Hayym Luzzatto, Firenze 2006, p. 75; cfr. inoltre l’edizione dell’epistolario di Ramhal pubblicata da Mordekhai Chriqui: Iggherot Ramhal u-venè dorò [Le lettere di Ramhal e dei suoi contemporanei], Jerusalem 2001, p. 20-34.
[3] Lettera n. 15 di Luzzatto a Beniamin ha-Coen di Reggio. Cfr. Danieli, op. cit., p. 15; Benayahu, op. cit., p. 303; Chriqui, op. cit., p. 13
[4] Vedi la nota precedente.
[5] Ibidem. Cfr. anche con la tecnica usata da Rabbì Yosef Caro, riportata nella famosa testimonianza del suo compagno di studi Shelomò Alkabetz e pubblicata come prefazione a quasi tutte le edizioni del Magghid Mesharim. Vedi quindi R. Z. Werblowsky, Joseph Karo, Lawyer and Mystic, Oxford 1962, p. 17-18
[6] Vedi il giuramento che firmò Luzzatto di smettere di comporre opere in base all’ispirazione del Magghid, pubblicato nell’epistolario come documento n. 75. Vedi inoltre la testimonianza di Israel Refael Kimhi ai rabbini di Venezia, pubblicata nell’epistolario come lettera n. 8.
[7] Hayym Vital, Shaarè Qedushà, 3a parte, cap. 7. Cfr anche Werblowsky, Joseph Karo, op. cit., p. 75-76.
[8] L. Fine, “Benevolent Spirit Possession in Sixteenth-Century Safed”, in: M. Goldish, Spirit Possession in Judaism, Detroit 2003, p.101-123
[9] Cfr. M. Goldish, Spirit Possession in Judaism, cit,. p.12
[10] Cfr. M Faierstein,”Maggidim, Spirits and Women in Rabbi Hayym Vital’s Book of Visions”, in M. Goldish, Spirit Possession in Judaism, Detroit 2003, p.188
[11] Cfr. Fine, “Benevolent Spirit Possession”, op. cit., p. 101-102. Senonché lo studio fin’ora insuperato sulla più importante rivelazione di Magghid, quella di Rabbì Yosef Caro, l’autore del maggiore codice halakhico Shulkhan Arukh, è quello di R. Z. Werblowsky, Joseph Karo, lawyer and Mystic, Oxford 1962.
[12]Il Magghid insegnava appunto al Luzzatto le tecniche necessarie per ottenere la rivelazione del profeta Eliahu, ed Eliahu viene citato diverse volte nell’epistolario. Vedi ad esempio le lettere n. 7.1, 15, 50. Cfr. anche Benayahu, op. cit., 304, 307-309
[13] Fine, “Benevolent Spirit Possession, op. cit., p. 102
[14] Benayahu, op. cit., p. 307. Riguardo invece l’atteggiamento di Luzzatto verso il movimento sabbatiano, cfr. I. Tishby, “L’atteggiamento di R. Moshè Hayym Luzzatto verso il sabbatianesimo” (in ebraico), in I. Tishby, Paths of Faith and Heresy, Jerusalem 1982, p. 169-203, in particolare p. 170, 188
[15] Riguardo la letteratura dei Tikkunim, assai diffusa in Italia, vedi: G. Scholem, Pirkè yesod be-havanat ha-Kabbalà u-semaleha [Elements of the Kabbalah and its Symbolism], Jerusalem 1976, p. 140-148
[16] Vital, Shaarè Qedushà, parte 3, cap. 8. Cfr. anche Werblowsky, op. cit., p. 71-77. Di opinione opposta invece è Mordekhai Chriqui, il quale sostiene che gli yhudim non erano la causa del Magghid. Vedi l’introduzione alla sua edizione dell’epistolario, op. cit. p. 14
[17] Una concezione simile, cioè che un comportamento retto è condizione necessaria per ottenere segreti divini, viene espressa anche in altre opere del Luzzatto, ad esempio nell’ Etz ha-Hayym.
[18] Hayym Yosef David Azulay, Shem ha-ghedolim, s. v.; Werblowsky, J. Karo, op. cit. p. 13-14
[19] ibidem
[20] G. Scholem, The Dreams of R. Mordechai Ashkenazi, a follower of Shabbetai Zevi, Lipsia 1938, p. 6-9;I. Tishby, “Ha-Magghid ha-shabetay ha-rishon bevet midrashò shel Rabbì Avraham Rovigo” [Il primo magghid sabbatiano nell’accademia del rabbino Avraham Rovigo], reprint in I. Tishby, Paths of Faith and Heresy, op. cit., p. 81-107
[21] G. Neppi e S. Ghirondi, Toledot ghedolè Israel be-Italia [Biografie dei grandi di Israele in Italia], Trieste 1853, p. 110
[22] Lettera di David Finzi al rabbino Sansone Morpurgo di Ancona, pubblicata nell’epistolario di Ramhal al numero 57. Vedi anche Benayahu, op. cit., p. 300
[23] Moshè Zacuto fu caposcuola in Italia per diversi aspetti culturali, mistici come letterali. Fu lui ad esempio ad introdurre nella letteratura ebraica l’enigma barocco (Vedi D. Pagis, Al sod hatum [A Secret Sealed], Jerusalem 1986), così come fu lui a diffondere la mistica luriana ed i relativi formulari di pentimento. Per molti versi, nonostante la mole di studi su di lui, Zacuto rimane tuttora una figura enigmatica e non approfondita. Per una sintesi della sua personalità e delle sue opere, vedi: A. Y. Lattes, Rabbì Moshè Zacut: Hayyav u-feilutò [Rabbì Moshè Zacuto: la vita e le opere], Tesi di Master presentata all’Università Ebraica di Gerusalemme, 1993.
[24] Werblowsky, Joseph Karo, lawyer and Mystic, Oxford 1962; R. Z. Werblowsky, “Lidmutò shel ha-Magghid shel Rabbì Yosef Karo” [La figura del Magghid di Rabbì Yosef Karo], Tarbiz, 27 (1958), p. 310-321.
[25] Vedi anche Goldish, Spirit Possession, cit. p. 14-16
[26] Mentre di solito i fenomeni religiosi sono proprio di lunga durata. Cfr. A. Dupront, “L’antropologia religiosa”, in Fare la storia, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Torino 1981, p. 159
[27] G. Scholem, “Ha-Magghid shel Rabbì Yosef Taitazak” [Il Magghid di Rabbì Yosef Taitazak] , Sefunot, 11(1971-1978), p.70-71
[28] Werblowsky, “Lidmutò shel ha-Magghid”, cit., p. 310
[29] Uno dei primi a diffondere in Italia la mistica proveniente da Zefat fu Menahem Azarià da Fano, entusiasta seguace degli scritti di Moshè Cordovero, che li inserì quindi nel programma di studi della sua yeshivà a Venezia. Cfr. R. Bonfil, “Yediot hadashot le-toldot hayyav shel RaMA da Fano ve-tkufatò” {New Information on Rabbi Menahem Azariah da Fano and his Age], in Studies in the History of Jewish Society in the Middle Ages and in the Modern Period presented to Professor Jacob Katz, Jerusalem 1980, p. 110
[30] M. Goldish, “Vision and possession: Nathan of Gaza’s earliest Prophecies in Historical Context”, in Goldish, Spirit possession, cit., p. 217-218
[31] Cfr. Werblowsky, Josef Karo, Lawyer and Mystic, cit., p. 79-80; Benayahu, op. cit., p. 300
[32] Cfr. la lettera n. 17 dove sostiene che non tutti i Magghidim sono uguali. Vedi inoltre Benayahu, op. cit., p.305
[33] Lo statuto di questo circolo è pubblicato nell’epistolario come documento n. 3. Cfr anche Benayahu, 310-311. Tuttavia i firmatari di questo statuto erano probabilmente già addentro gli studi mistici e seguaci del Ramhal, quindi non è facile apprendere, almeno da questa fonte soltanto, la portata sociale e l’influenza del fenomeno del Magghid al di fuori di questa cerchia ristretta di compagni.
[34] È appunto auspicabile un lavoro di ricerca prima di tutto bibliografico che cataloghi le diverse edizioni di Tikkunim stampate in Italia dalla metà del 600 in poi, e quindi un’analisi non solo in prospettiva mistica e religiosa quanto soprattutto sociale e culturale.
[35] Lettera n. 14 di Ramhal a Isaia Bassan; Benayahu, op. cit., 311
[36] A. A. Piattelli, “Lo studio della Mishnà in Italia durante i secoli XVII e XVIII”, Annuario di Studi Ebraici, (1969-70 e 1971-72), p. 12
[37] Werblowsky, Josef Karo,Lawyer and Mystic, op. cit., p. 83
[38] Werblowsky, ivi, p. 187; Werblowsky, “Lidemutò shel ha-Magghid”, cit., p. 319
[39] Scholem, “Ha-Magghid shel Rabbì Yosef Taitazak”, cit., p.82
[40] Scholem, The Dreams of R. Mordechai Ashkenazi, cit., p.21
[41] Fine, “Benevolent Spirit Possession”, cit., p. 104; Werblowsky, Rabbi Yosef Karo, cit., p. 55
[42] “Evidentemente conoscenza dell’uomo nei suoi comportamenti religiosi, dove le creazioni della specie, della razza o dell’ambiente si condizionano da se stessi per una ricerca dell’aldilà, l’analisi dei miti o delle cosmogonie, loro strutture portanti, lo sviluppo del duplice procedimento in cui si esprime la volontà di potenza che costituisce la dinamica stessa di ogni esistenza religiosa, superamento nell’aldilà o nella sublimazione, pienezza del presente nel possesso dell’istante e vita delle fonti per il ricambio energetico della ricerca. A questa conoscenza concorrono naturalmente tutti i segni dell’esperienza o dello stato religioso, del carattere di massa dei fenomeni di pratica, misura di un impatto vitale collettivo, fino all’analisi dei meccanismi mentali, dei postulati soprattutto, contenuti nelle elaborazioni dottrinali. Definizione e vita delle istituzioni, loro rapporti con l’ambiente naturale o anche, poiché ciò rimane passione e travaglio del mondo contemporaneo, coesistenza più o meno armonica nell’uomo stesso dell’universo religioso e di altri universi non meno accaparranti se non ugualmente fecondi, economia mentale e verbale del cerimoniale liturgico, creazione di modelli esemplari sotto forma di santi 0 di eroi, retorica dei sermoni dei predicatori o logica catechistica, altrettanti modi convergenti di cogliere comportamenti, bisogni, creazioni di universi, dove si scopre il mistero della potenza dell’uomo nella sua vita religiosa, la sua determinazione dei confini dove è possibile passare da un mondo all’altro, rivelarli l’uno all’altro. Questi segni, talvolta senza misura, parlano dell’uomo. Un’antropologia religiosa è lettura di questo discorso, paziente riunione prima degli elementi di cui è costituito, poi, dopo averne ritrovato la coerenza, comprensione fino a intendere, senza induzione precipitosa o meccanizzazione banalizzante, la portata stessa dei simboli.”, Dupront, “L’antropologia religiosa”, cit., p. 162. Vedi anche J Le Goff, “Le mentalità: una storia ambigua”, in Fare storia, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Torino 1981, p. 240-241
[43] A questo proposito vedi la mia analisi del volume di Ibn Yachia Shalshelet ha-Kabbala: A. Y. Lattes, “Il fantastico e l’immaginario nella Shalshelet ha-Qabbalah di Ibn yachia”, Materia giudaica, XII/1-2 (2007), p. 223-228
[44] La demonologia ebraica è un terreno di studi tuttora inesplorato anche aldilà del campo kabbalistico, infatti anche la letteratura midrashica per esempio è piena di questi temi. Gershom Scholem compose alcuni brevi studi su questo argomento, che sono stati poi raccolti dopo la sua morte nel volume: Devils, Demons and Souls. Essays on Demonology by Gershom Scholem, edited by Esther Liebes, in ebraico, Jerusalem 2004
[45] Scholem, “Ha-Magghid shel Rabbì Yosef Taitazak”, cit., p. 76
[46] Vital, Shaarè Qedushà, cit., parte 3, cap.7; cfr. anche: Werblowsky, Josef Karo, op cit., p.
[47] Vedi nell’epistolario di Ramhal le lettere n. 19, 29, 36 ; cfr. anche Benayahu, op. cit., p.304. Anche Hayym Vital avverte il mistico di controllare se le voci che sente non provengano dal Maligno (Shaarè Qedushà, parte 3, cap. 7). Vedi anche Y. Liebes, “Misticism and Reality: Towards a portrait of the martyr and Kabbalist R. Samson Ostropoler”, Jewish Thought in the Seventeenth century, Cambridge Mass., 1987, p. 241-242.
[48] Mi azzardo a menzionare due casi famosi di mistici cristiani di questo stesso periodo: Teresa di Avila e Ignacio de Loyola.
[49] Vedi a questo proposito: R. Mandrou, Streghe e magistrati nella Francia del Seicento. Un’analisi di psicologia storica, Bari 1979, vol. 1, p. 162; K. Thomas, Religion and decline of Magic, New York 1971, p. 587-614
[50] Sulla diffusione nelle comunità italiane del Tikkun Shovavim, vedi: A. Ravenna, “Daniel Olmo e i digiuni dei Shovavim”, Annuario di studi ebraici, (1969-70,1971-72), p.21-31
[51] Scholem, Pirkè yesod be-havanat ha-Kabbalà u-semaleha [Elements of the Kabbalah and its Symbolism], cit., p. 140-148 ; G. Scholem, On the Kabbalah and its simbolism, New York 1965, p.157 note 3