Dal blog Libero Pensiero una ebrea non ortodossa reagisce
In molti mi avete scritto relativamente alle mie parole sul rito latino e sull’invito – in esso contenuto – a pregare Dio per la conversione degli ebrei, affinché essi escano dalla cecità e trovino la luce di Cristo. Qualcuno si è risentito delle mie riflessioni e mi dispiace, altri mi hanno scritto parole di vicinanza e li ringrazio di cuore. I più mi hanno chiesto “lumi” sulla mia ebraicità per scelta: proverò ad essere sintetica, nei limiti, e a ripercorrere brevemente il perchè del mio dissenso dalla frase incriminata.
Volere la conversione di qualcuno non è – come alcuni tra voi mi hanno detto – un semplice atto d’amore, ma un gesto intimamente velato da un senso di superiorità. Come a dire: “Io sono nel giusto, tu no. Se segui il mio credo avrai l’anima salva, altrimenti no”. E’ questo il motivo per cui – in buona fede, non lo metto in dubbio! – venivano rapiti i bambini agli ebrei e venivano battezzati per forza. E’ sempre questo il motivo per cui l’islam suddivide – altrettanto in buona fede – il mondo in fedeli e infedeli: coloro i quali possono vivere e coloro i quali, se non si convertono, devono sottostare alla legge della spada. Ed è ancora su questo principio che si regge il fortissimo proselitismo messo in atto dai Testimoni di Geova e dai Mormoni: se ti converti alla “vera” religione sarai salvo, altrimenti sarai dannato.
Quando il mio piccolo faceva la seconda elementare una maestra gli ha imposto di scrivere la letterina a Gesù Bambino. Che male c’era? Tutti i bambini buoni scrivono la letterina a Gesù Bambino…così Gesù porta loro i doni. Ovvio che, dopo aver fatto sentire cattivo il mio piccolo (cui Gesù non portava i doni), l’ho immediatamente trasferito ad una scuola ebraica! Se invece che ebreo mio figlio fosse stato musulmano, quella stessa maestra probabilmente non avrebbe nemmeno fatto l’albero di Natale in classe. Pare giusto? Non è forse meglio rispettare il credo di tutti? Io non ho mai protestato – né mi verrebbe mai in mente farlo – per il crocifisso in aula o per l’albero di Natale o il Presepe, ma in segno di reciproco rispetto non posso accettare che i miei figli siano obbligati a scrivere le letterine a Gesù Bambino.
Ora il Papa riabilita la preghiera alla conversione dei giudei, non più perfidi, ma comunque ciechi. Mi chiedo se, di questo passo, non arriverà giorno in cui non riabiliterà anche il Limbo e le indulgenze per accorciare le pene del Purgatorio (che poi di questi due “regni” il testo biblico non dica una parola è un semplice dettaglio).
E perché mai gli ebrei sarebbero ciechi? In quale modo le preghiere dei cristiani potrebbero aiutarci a trovare la luce? Io a Padova ho visto gente inginocchiarsi e pregare di fronte ad alcune reliquie del Santo: è un modo cristiano di intendere la fede, non giudico e non chiedo certo a Dio la conversione dei cristiani perché si sono allontanati dalla Legge divina (che pure Gesù stesso rispettava) e pregano di fronte a immagini e a reliquie. Di fatto io non potrei mai inginocchiarmi di fronte a una teca contenente i peli della barba e la lingua di un santo per sentirmi più vicina a Dio. Ma se il venerdì sera accendo le candele di shabbat o se mi sforzo di rispettare (anche se non sempre ci riesco) la kasheruth (le regole alimentari ebraiche), sento di aver compiuto un dovere religioso. E’ la mia fede: chiedo solo rispetto. Perché qualcuno dovrebbe pregare per la mia conversione? Perché ho troppi precetti da seguire? Perché non credo che Gesù sia il Messia? E allora?
Per chissà quale caso del destino sono nata cristiana, eppure ho sempre sentito la mia estraneità nei confronti di una Chiesa in grado di concepire un Dio unico, ma al contempo trino. Non sono mai riuscita a credere in un uomo-Dio, o in un Dio fatto uomo che – comunque – non è stato in grado di portare con la Sua venuta un miglioramento nel mondo. Anzi. E non sono mai riuscita a concepire la devozione ai santi, come non sono mai riuscita a tollerare che si potesse uccidere in nome di Dio. E’ un male tutto ciò?
Mi sono avvicinata all’ebraismo perchè volevo seguire gli insegnamenti del maestro di Nazareth e sentivo di poterlo fare soltanto facendo parte del suo popolo, soltanto conoscendo la legge di Dio come la conosceva lui, soltanto abbandonandomi ai precetti che Dio concesse a Mosè sul Sinai (Torah scritta e orale).
Così ho incominciato a studiare e a…vedere la luce. Ho conosciuto le opere dei maestri di Gesù, le opere del maestro Hillel (da cui il famoso “ama il prossimo tuo come te stesso: questa è tutta la Torah, il resto è solo commento…Và e studia”), i tanti midrashim a cui il maestro di Nazareth si era ispirato per le sue “parabole”. Ho studiato e analizzato la versione dei Settanta della Bibbia, ho letto parti del Talmud e vi ho ritrovato – né più né meno – che alcune frasi anche dette da Gesù (evidentemente note all’epoca e non per questo messianiche). Sono venuta a conoscenza, ad esempio, di una sentenza di rabbi Jonathan, contemporaneo di Gesù, riportata nel Talmud (Joma 85b): “Il sabato è nelle vostre mani, come è scritto ‘Il sabato è per voi’ (Es. 16.29; Ez. 20,12)”.
Mi sono avvicinata alla lingua ebraica. Ho ripercorso con una minuzia “rabbinica”, o “accademica” se preferite, tutti gli eventi della vita di Gesù. Ho scoperto che i Vangeli ci hanno tramandato messaggi di fede e non certo resoconti storici: prima ero addirittura convinta si trattasse di trascrizioni presso che quotidiane degli eventi. Come avrebbe d’altra parte potuto essere? Il vangelo di Marco fu redatto tra il 70 e il 72 della nostra era, ovvero circa quarant’anni dopo la morte di Gesù; il vangelo di Luca attorno all’85, quello di Matteo attorno all’anno 90 e quello di Giovanni addirittura attorno al 110. Come avrebbero potuto, gli evangelisti, conoscere nei dettagli ciò che descrivevano?
Ma ho anche “scoperto” (per me, passo dopo passo, tutto era una grande scoperta) che persino il “discorso della montagna” che io credevo il punto di rottura tra ebraismo e cristianesimo, altro non era se non un brano di dottrina ebraica! Gesù insegnava alla maniera dei tannaiti.
“Beati i misericordiosi perchè avranno misericordia” ha detto Gesù, proprio come diceva Rabbi Gamaliel Berabbi (Shabbath 151b): “Chi ha misericordia del proprio prossimo, di costui si ha misericordia nel cielo. E chi non ha misericordia del proprio prossimo, di costui non si ha misericordia nel cielo”.
“Beati i puri di cuore; poichè vedranno Dio” ha detto Gesù, proprio come si trova nei Salmi e viene più diffusamente spiegato nel commento ebraico Shocher tobb a Salm. 11.7: “Infatti il Signore è giusto e ama la giustizia; i pii vedranno il suo volto”.
“Beati coloro che vengono perseguitati a causa della giustizia; poichè loro è il regno dei cieli” ha detto Gesù, riprendendo il pensiero dei profeti (Is. 50, 4-9; 51, 7-11). Anche questo concetto lo possiamo trovare nella letteratura rabbinica, per esempio in Mekhilta 68b e in Talmud babilonese Shabbath 88b. I rabbini infatti insegnavano: “Intorno a coloro che vengono umiliati e non umiliano, che ascoltano le offese rivolte loro e non replicano, che servono per amore e accettano con gioia le punizioni, dice la Scrittura ‘Quelli che lo amano sono come il sorgere del sole nel suo splendore’ (Gdc. 5,31)”. Non fa forse tornare in mente le parole di Gesù, quando dice che bisogna porgere la guancia sinistra allorchè la destra viene schiaffeggiata?
E potrei andare avanti all’infinito.
Eppure Sant’Agostino – uomo per certo illuminato – non ha esitato ad avanzare, in maniera forte, l’accusa di deicidio nei confronti degli ebrei. Possibile che l’illustre Santo non avesse conosciuto la prima lettera ai Corinzi nella quale Paolo di Tarso (colui il quale svolse un ruolo capitale nella rottura definitiva tra ebrei e cristiani) sosteneva che Gesù era stato ucciso dai “principi di questo mondo”? Un’espressione decisamente poco appropriata per indicare gli ebrei dell’epoca. Di fatto l’espressione greca utilizzata, archontes, potrebbe – è un’idea – indicare i demoni cattivi che agivano agli ordini di satana (ma c’è anche chi li identifica in angeli al servizio di Dio) e guidavano la mano di chi gestiva il potere senza lasciargli alcuno spazio discrezionale. Una simile interpretazione calvinistica sarebbe liberatoria, per quanto concerne la responsabilità, nei confronti di chiunque. Anche dei romani. Ma sarebbe addirittura, soprattutto se pensiamo agli angeli, in linea con un’altra affermazione di Paolo che, in Romani 6.14, lascia intendere che fosse stato Dio stesso a condannare a morte Gesù (se stesso? Se Uno e trino sì), considerandolo come colui che aveva preso il peccato del mondo sulla sua persona. Per mezzo della morte di Gesù, Dio avrebbe liberato il mondo dal peccato. E siccome un Dio onnisciente e onnipotente non può avere alcuna colpa per avere consentito che Gesù morisse in croce, nessuna colpa, logicamente, poteva pesare nemmeno sugli strumenti che Dio aveva prescelto per realizzare i suoi progetti. E in effetti da allora a croce, da simbolo di sofferenza e di dolore – non è forse diventata (Gal. 6.14) simbolo di salvezza?
Perché allora l’illuminato Sant’Agostino e, dietro di lui molti altri, non hanno esitato – non potendo perseguitare i “romani” a perseguitare gli ebrei? La morte di Gesù – e la croce come suo strumento – non fu forse “preordinata” da Dio? Perché se così fosse, persino i romani che misero in pratica la Sua volontà non possono essere considerati responsabili di un crimine.
Ma non voglio tediarvi con le mie elucubrazioni storico-teologiche. A chi, stupito, mi ha chiesto perché io abbia scelto l’ebraismo posso soltanto rispondere che la mia è stata una scelta difficilissima e costellata di incredibili strade tutte in salita. L’ebraismo infatti è una religione, al contrario delle altre religioni monoteistiche, del tutto ostile ad ogni forma di proselitismo. I rabbini ostacolano, per anni e anni e anni, le conversioni forse anche per timore di “condannare” gli eventuali convertiti ad episodi di antisemitismo: i nazisti, ad esempio, pur parlando di razza ebraica e di sangue ebraico, non si facevano scrupoli a mettere a morte anche gli “ariani” diventati giudei.
Personalmente ho scelto l’ebraismo progressive: più vicino alla quotidianità, al mio modo di sentire (anche se talvolta vivo il mio ebraismo in maniera più ortodossa). E’ stata una scelta consapevole, irrinunciabile: nell’ebraismo ho trovato le risposte che cercavo, ho trovato la mia casa. Perché qualcuno dovrebbe pregare affinché io la lasci? Quando sono uscita dalle acque del miqwè, figlia di Sarah e di Abramo, ho ringraziato Dio: la Sua volontà si era compiuta.
Penso che la cosa migliore sia guardare avanti. Tornare indietro non è quasi mai una buona cosa. Se il rito latino fa ritrovare le proprie radici ai cristiani ben venga, ma l’intera frase sui giudei dovrebbe venire stralciata (e non soltanto l’aggettivo “perfido”), altrimenti che senso ha parlare di tradizione giudaico-cristiana? Il percorso comune perderebbe qualsiasi valore e, per noi ebrei, tornerebbe a farsi strada un’unica alternativa: Eretz Israel.
Anche questa potrebbe essere volontà di Dio: l’anno prossimo a Gerusalemme!
Un abbraccio e shalom a tutti,
Daniela
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