Il punto di vista ebraico tradizionale sulla famiglia in un’interpretazione tardo-cinquecentesca della Parashah di questa settimana.
Non è la prima volta nella storia che si mette seriamente in discussione il ruolo della famiglia nella società. Era già accaduto ai tempi biblici. Leggiamo quanto recitano in proposito alcuni versetti della Parashah di questa settimana, Beha’alotekhà: “E quando (l’Arca) si posava (Mosheh) diceva: Torna H. alle miriadi e alle migliaia di Israel. E il popolo cercava pretesti cattivi alle orecchie di H… Ricordiamo il pesce che in Egitto mangiavamo gratis… Mosheh udì il popolo che piangeva per le sue famiglie…” (Bemidbar 10,36; 11,1 e 10).In cosa consisté la ribellione? Qual è il legame con il versetto precedente, che parla delle “miriadi e migliaia di Israel”? Secondo la ricchezza di sfumature tipica della lingua ebraica la parola mit’onenim (“cercava pretesti”) può anche essere connessa con il vocabolo onèn, “fare lutto”. Ed ecco che Rashì interpella il Midrash e ci introduce ad una lettura originale di tutto l’episodio.
A cosa allude il pesce che in Egitto i nostri padri avrebbero mangiato gratis, almeno secondo i ribelli? Ne discutevano già nel Talmud i grandi Maestri Rav e Shemuel. Uno diceva che la parola pesce va intesa effettivamente in senso letterale: la controversia verteva sul cibo, che nel deserto non sarebbe più stato altrettanto gustoso come nei dopolavoro egiziani. L’altro Maestro diceva invece che la discussione era su tutt’altro argomento. “Unioni proibite: il testo adopera un eufemismo” (Yomà 75a). “Per le sue famiglie”, spiega Rashì basandosi su quest’ultima lettura del Midrash, significa “per le questioni riguardanti le famiglie, per le unioni proibite loro” (Rashì al v. 10 in base al Sifrè). I nostri Padri (ma i Maestri precisano che si trattava piuttosto del ‘erev rav, un gruppo di dissidenti egiziani transfughi dall’Egitto insieme ai Figli d’Israel) si lamentano dunque dei forti limiti alle unioni sessuali imposte dalla Torah, e si sentono ke-mit’onenim, “come se fossero persone in lutto”.
Perché il popolo si lamenta delle regole sulle unioni proibite solo adesso, e non già quando le ricevette sul Monte Sinai? Risponde a questo interrogativo R. Efraim di Lenczyca, autore del commento Kli Yeqàr. Si tratta di un insigne Rabbino boemo vissuto alla fine del Cinquecento, vicino dunque al grande Maharal di Praga e come lui sepolto nel famoso cimitero ebraico della capitale ceca. Egli nota che non a caso l’episodio è preceduto dal versetto che dice: “E quando (l’Arca) si posava (Mosheh) diceva: Torna H. alle miriadi e alle migliaia di Israel”. Questo versetto è inteso dalla nostra tradizione come un invito, anzi, una vera e propria ingiunzione a procreare. “(Il versetto) ci dice che la Shekhinah non si posa su Israel altro che se essi sono almeno 22.000” (Rashì a 1,11). “Il versetto in questione -commenta il Kli Yeqàr- ci sprona ad adempiere la Mitzwah della procreazione (Peryah we-Rivyah): se gli Ebrei sono solo 21.999 la Shekhinah si allontana da Israel. Chiunque può essere colui che porta al mondo il n. 22.000; ma chiunque si astenga dal procreare, viceversa, contribuisce ad allontanare la Shekhinah da Israel”.
Il Kli Yeqàr entra nella psicologia dei ribelli. Essi si saranno sentiti confusi. “Ora ci viene detto che dobbiamo dedicarci alla procreazione come i pesci, mentre in precedenza ci era stato detto che dovevamo astenersi dalle unioni, al contrario di come si comportano i pesci!” Insomma: per la cultura del ‘erev rav non ci sono mezze misure in queste cose. O si è monaci, o si è dissoluti. Non così è la via della Torah di Israel. Essa propugna la via mediana. Per questo motivo noi Ebrei dobbiamo non soltanto difendere, ma promuovere l’istituto della famiglia. Come scrive il Maimonide: “La via retta è quella mediana in ogni disposizione morale propria dell’uomo, ed è la via equidistante da tutti gli estremi, senza pendere né verso l’uno, né verso l’altro. Per questo i Chakhamim hanno prescritto all’uomo di ponderare sempre le sue idee e indirizzarle nella via mediana, perché sia completo in sé… Ogni persona le cui idee stanno nel mezzo è chiamato chakham”. (Maimonide, Hil. De’ot 1,4-5).
Rav Alberto Moshe Somekh
Comunità Ebraica di Torino