Hanno suscitato il consueto scalpore le recenti affermazioni con cui il rabbino capo sefardita d’Israele rav Yitzhak Yosef ha dichiarato la propria netta preferenza per la Yeshivah tradizionale rispetto a curricula di studi che associano al Talmud le materie secolari. Chi dissente dal pensiero del rabbino reagisce in genere con stizza, ribadendo la propria altrettanto ferma contestazione fino a screditare l’avversario, liquidato rapidamente come il portavoce di una visione gretta e anti-moderna. Dato il calibro del pulpito da cui viene la predica, tuttavia, non si può non tentare una via differente, a costo di rischiare l’impopolarità. Penso si debba cercar di inquadrare il messaggio analizzando le fonti e adoperando, per quanto possibile, un sano senso storico e critico.
Rav Yosef non ha fatto che riproporre l’insegnamento del suo padre e predecessore, rav Ovadia Yosef z.l. Interrogato se sia meglio che chi abbia concluso la scuola elementare continui a studiare in una Yeshivah High School, in cui si combinano gli studi tradizionali con quelli scientifici o sia invece preferibile che prosegua in una Yeshivah a tempo pieno, in cui ci si dedica solo ed esclusivamente allo studio della Torah, rav Ovadia rispose: “se è possibile studiare in una Yeshivah che non includa studi secolari, è indiscutibilmente meglio di una Yeshivah High School, in modo da essere completo in tutte le discipline della Torah. Anche Maimonide, che diceva di sé nelle sue lettere: ‘Il mio studio di altre discipline, come la filosofia e la medicina è stato solo un mezzo al servizio della Torah, per far vedere ai popoli e ai principi la sua bellezza, poiché essa è bella d’aspetto’, si lamentava che in tal modo il suo tempo per lo studio della Torah veniva ad essere limitato. Specialmente se la persona è dotata in modo particolare per cui se ‘bussa alle porte’ della nostra Torah diventerà una guida per gli altri in Israele, il cui livello è molto alto. Particolarmente in questa generazione. (Resp. Yechawweh Da’at 3, n. 75, traduzione inglese in “Crossroads, Halakha and the Modern World”, I, Zomet Institute, Jerusalem, 1987, p. 105-108).
Queste poche righe ci consentono di trarre qualche conclusione. 1) La preferenza accordata agli studi talmudici non è pensata per tutti, ma per coloro che vi sono dotati. Se portati avanti con serietà, richiedono un impegno intellettuale non indifferente. Si può discutere se attribuire loro importanza, ma questo è un altro discorso. Chi ha a cuore l’avvenire della Comunità ebraica concederà che non meno della scienza, della matematica e anche della letteratura, il Talmud meriti attenzione. 2) La trita argomentazione che vede in Maimonide un fulgido esempio di combinazione degli interessi talmudici con quelli scientifici va ridimensionata. Anzitutto va ricordato che la parcellizzazione del sapere è un portato dell’età moderna, dovuto anche all’elevato livello di specializzazione che l’umanità ha nel frattempo raggiunto in ogni campo. Nel Medioevo trovare nella stessa personalità attitudini intellettuali differenti era consueto, soprattutto nei “grandi” che erano allo stesso tempo medici, astronomi, filosofi e anche teologi! In secondo luogo Maimonide stesso dichiara che la sua attività scientifica era posta “al servizio della Torah” e che questa costituisce un plus-valore per eccellenza.
Peraltro nel mondo ebraico tradizionale non tutti concordano con l’approccio “esclusivistico”. Rav Moshe David Tendler, docente di Talmud e di microbiologia alla Yeshiva University di New York, sostiene che le due discipline sono emanazione della stessa Unica Divinità, Hashem echad. Dopo aver molto insistito sul fatto che l’ebraismo è profondamente radicato nella natura e che la conoscenza delle leggi e dei fenomeni naturali è indispensabile per comprendere molti aspetti della Halakhah, egli cita un passo in cui il Talmud afferma che colui che è in grado di fare calcoli astronomici ma se ne astiene non merita menzioni, perché il versetto dice di quelli come lui: non guardano l’opera di H. e non scorgono l’azione delle Sue mani (Yesha’yahu 5, 12). Il commentatore Sforno (sec. XVI), che era medico, scrive che se il popolo ebraico non mantiene un profilo intellettuale elevato profana il Nome Divino (chillul ha-Shem). Ne consegue che approfondire la conoscenza scientifica è per rav Tendler un precetto a se stante.
Entrambe le scuole peraltro concordano che “H. ci ha presentato due creazioni: la Torah e il mondo. La prima ci insegna la volontà del Creatore, la seconda ci fornisce gli strumenti per eseguirla. Come un artigiano è tenuto a conoscere non solo la sua arte, ma anche i suoi materiali, così l’ebreo deve acquisire famigliarità con il mondo per condurre una vita di Torah. Per questo motivo la conoscenza del mondo ha sempre avuto una posizione di rispetto nell’ebraismo. D’altro lato questa conoscenza ha per solo scopo la promozione e la perfezione della vita basata sulla Torah. Di conseguenza lo studio della scienza è sempre subordinato allo studio della Torah (Yehudah Levy, Torah Study: A Survey of Classic Sources on Timely Issues, Feldheim, Jerusalem-New York, 2002, p. 241).
Chi sceglie la linea “esclusiva” deve sorvegliare affinché la sua Torah non si distanzi eccessivamente dal mondo reale, ma chi opta per la combinazione di Torah e scienza ha un’altra grossa responsabilità: deve sorvegliare affinché il difficile equilibrio che instaura non si alteri. L’ebraismo italiano ha apparentemente scelto questa via da almeno cinque secoli. Ma negli ultimi duecento anni quanti talmudisti abbiamo avuto nel “bel paese”, a fronte del gran numero di scienziati e letterati che abbiamo prodotto?