Rav Chaim Navòn
Il capitano, rabbino e dottore Simcha Goldman ha prestato servizio nell’aeronautica militare degli Stati Uniti come psicologo clinico. Nel 1981 il comandante gli ordinò di togliere la kippà, perché contraria alle ordinanze dell’abbigliamento militare. Goldman si rivolse al tribunale. Dopo lunghe udienze la Corte suprema degli Stati Uniti stabilì di vietare la kippà a Goldman. Ogni soldato deve sottomettere le sue scelte e le sue preferenze alle ordinanze militari, soldati osservanti compresi.
Il filosofo ebreo-americano Michael Sandel criticò ferocemente questa sentenza sostenendo che riflettesse una incomprensione profonda di che cosa fosse la fede religiosa. L’obbedienza delle persone osservanti ai precetti religiosi non è la preferenza di un particolare stile di vita. Alla luce della loro fede, queste persone sono obbligate ad obbedire a quei precetti e questo va preso in considerazione. Alla fine il Congresso americano cambiò la legge permettendo ai soldati osservanti di indossare “indumenti religiosi”. Tuttavia sembra che non sia stata ancora trovata una soluzione alla mancata comprensione sostanziale della vita religiosa, perlomeno in Israele.
Una settimana fa la nostra Corte suprema ha emesso una sentenza contro la politica consolidata degli ospedali in Israele che impedisce l’introduzione di cibo lievitato durante la festa di Pèsach. La sentenza è stata emessa con una maggioranza di due a uno. I giudici erano divisi su dettagli intricati di diritto amministrativo. Come per miracolo, questa divergenza riflette però esattamente l’identità religiosa degli stessi giudici: i due giudici non osservanti Vogelman e Grosskopf contro il giudice osservante Hendel. È chiaro che alla vera radice della divergenza tra i giudici troviamo la decisione su che cosa sia importante e che cosa meno. I giudici non osservanti evidenziano il grave danno all’autonomia del paziente che per una settimana non può mangiare Bisli (uno snack lievitato molto diffuso NdT) come gli pare e piace. Hendel, al contrario comprende che cosa comporti il divieto di consumare cibo lievitato per una persona osservante.
Nessuno vuole vietare ad altri di mangiare cibi lievitati a casa propria, ma i pazienti osservanti sono ricoverati contro la loro volontà e costretti a consumare là i loro pasti. Ogni briciola di cibo lievitato che può cadere nel loro cibo, lo rende interamente proibito. Sarà difficile osservare la kashrùt a Pèsach in un ospedale dove in ogni angolo si mangia cibo lievitato. Ognuno di noi rinuncia con gioia al sandwich con burro d’arachidi quando è in compagnia di un’altra persona allergica. La rinuncia non è grande ed è difficile capire l’ostinazione nel molestare i pazienti osservanti. È più facile capire l’ostinazione quando scopriamo che chi ha rappresentato la parte civile in questa denuncia è l’avvocato Yair Nehorai, che è stato distolto dalle sue molestie nei confronti dei rabbini dei ’Elì (un’accademia di studi religiosi pre-servizio militare NdT) per partecipare a una molestia su scala nazionale.
I presentatori della denuncia sostengono: e che succede con gli ebrei all’estero quando vengono ricoverati in ospedale durante Pèsach? Questa domanda è fastidiosa perché la risposta è semplice: la maggior parte delle volte soffrono. Gli ebrei osservanti all’estero sono una piccola minoranza, ed è facile capire perché non vengono presi in considerazione. In questa settimana ricorreva il 4 maggio che è la festa di tutti i fan di Guerre Stellari. Perché proprio il 4 maggio? Perché questa data in inglese (May the fourth) assomiglia all’augurio dei cavalieri Jedi in questa serie cinematografica: “May the force be with you – Che la forza sia con voi”. Diciamo che un paziente dell’ospedale Shaarè Tzèdek (a Gerusalemme NdT) sostenga di essere un credente della religione Jedi e pretenda che il 4 maggio nessuno in ospedale possa andare in giro con una maschera nera, che ricorda il malvagio Darth Fener. Possiamo immaginare che la sua richiesta rimanga inevasa, perché come è possibile gestire un ospedale secondo il capriccio di ogni paziente? Ma gli studi mostrano che la maggior parte degli ebrei in Israele non mangia cibo lievitato a Pèsach e molti di loro stanno attenti a ogni minimo dettaglio della Halakhà. Gli ebrei che rispettano le regole di Pèsach non sono una minuscola setta esoterica nello stato degli ebrei. Perché dovrebbero sentirsi come marrani nel loro paese? E che succederà se, Dio non voglia, qualcuno dovesse esagerare e si rifiutasse di essere ricoverato a Pèsach, quando c’è il sospetto che la kashrùt sia difettosa? I giudici si prenderanno la responsabilità della loro salute?
Nella sentenza c’è una simmetria tra i due giudici non osservanti e il giudice osservante. Vogelman e Grosskopf hanno emesso la sentenza in maniera che riflette senza ombra di dubbio la loro visione del mondo, mentre Hendel ha stabilito, con grande saggezza, che la stessa natura dell’argomento esula dall’ambito giudiziario, e ha deciso di lasciarlo al consenso sociale nella popolazione israeliana. C’è molto buon senso in questo consiglio e non c’è da stupirsi che questa sia la ragione per la quale i suoi colleghi l’hanno respinta.
Devo confessare che anche se i giudici hanno emesso una sentenza che indigna, questo non vuol dire che il rabbinato si sia comportato in questo caso con saggezza. La procedura esistente, che prevede guardie private che frugano nelle borse dei visitatori alla ricerca di cibo lievitato, innervosisce ed è superflua. Potevano accontentarsi di una comunicazione chiara sulle regole dell’ospedale che vietano l’introduzione di cibi lievitati. Suppongo che ogni persona ragionevole avrebbe rispettato volontariamente questa regola, senza il bisogno di infilare nelle borse dei rilevatori di glutine. Dalla sentenza di maggioranza dei giudici capiamo che anche questa politica forse non sarebbe bastata, ma in quel caso la posizione del rabbinato sarebbe stata più comprensibile al pubblico. Quanto è facile trovare una soluzione ragionevole al problema del cibo lievitato negli ospedali. Quanto è difficile trovare persone che vogliono una soluzione e non vogliono la guerra.
Traduzione D. Piazza
Makòr Rishòn 8.5.2020 – Titolo originale: “Maavàk ’al kol perùr”
Chaim Navòn, nato nel 1973 a Ramat Gan, è un rav, pensatore, scrittore e pubblicista. Insegna Talmud e pensiero ebraico alla Yeshivà di Har Etziòn e all’Istituto Lindenbaum. Ha ricevuto il titolo rabbinico dal Rabbinato d’Israele e da rav Aharon Lichtenstein z.l.