PESACH 5784
Sappiamo tutti qual è l’importanza di Pesach e come questa festa sia l’occasione per ricordare la nostra storia, le nostre origini, per ritrovarsi in famiglia e con amici. Le regole di Pesach sono impegnative, tra pulizie, alimentazione speciale, organizzazione dei sedarìm. Per quanto siano differenti i modi di rapportarsi alle tradizioni, da chi è strettamente rigoroso e attento a tutti i dettagli a chi si limita a mangiare un pezzettino di azzima, Pesach fa parte dell’identità ebraica e la sua celebrazione fa vibrare in tantissimi ebrei, anche i più lontani, qualche corda.
La letteratura e la memorialistica di argomento ebraico, in tutte le lingue, italiano compreso, che è un fiume in piena inarrestabile, è ricca di ricordi e riferimenti a Pesach. Si potrebbe scrivere un libro-antologia raccogliendo tutte le testimonianze e le narrazioni di come si svolgeva la cena del sèder. Come quella di una grande famiglia in cui si invitavano tutti, osservanti e non osservanti, e c’era il parente che ogni anno, puntualmente, a un certo punto della lettura della haggadah, quando si parlava delle piaghe e delle punizioni sull’Egitto non si tratteneva e cominciava un’invettiva contro la crudeltà di quel racconto e non poteva ammettere una religione in cui si parlasse così della sorte del nemico. E si tratta di episodi vissuti in una famiglia ebraica italiana emancipata, ben antecedenti la shoà.
Mentre scrivo queste righe la guerra in Israele è ancora in corso e spero che si potranno leggere a guerra fnita. In ogni caso Pesach di questo anno sarà diverso per quello che è successo. Tanto da chiederci, riprendendo la domanda iniziale della haggadà, ma nishtanà, che differenza c’è tra questo Pesach e tutti gli altri? Non è certo la prima volta che viviamo un periodo in cui la nostra vita è mi nacciata e si solleva un’ondata di incomprensione, per dirla in modo pacato, nei confronti del mondo ebraico. Ma è anche un periodo nel quale siamo stati testimoni in una reazione ebraica di sentire comune, di riscoperta di unità al di sopra di divisioni sempre laceranti; una risposta non tanto scontata e per certi aspetti sorprendente.
Questo Pesach sarà diverso ma anche uguale perché ci costringerà a capire i messaggi che si trasmettono nelle letture e nelle prescrizioni rituali. Se a qualcuno non piace la storia degli egiziani affogati nel mare, saprà dai midrashìm che il Signore aveva imposto il silenzio agli angeli al servizio divino, vietandogli di cantare, per quello che succedeva. E chi non discute e litiga su questi temi non sta vivendo appieno la festa di Pesach che per definizione è il momento in cui si fanno domande e si cerca di rispondere.
Attraverso questi meccanismi dovremo riuscire a capire molte cose; che una storia di 35 secoli fa ha ancora per noi un senso fondamentale, che gli insegnamenti e gli obblighi della tradizione hanno un valore profondo e attuale e che nella complessa identità ebraica non c’è solo la tristezza della persecuzione, ma la gioia della liberazione che celebriamo a Pesach.
“In ogni generazione si ergono contro di noi per distruggerci, ma il Signore, che sia benedetto, ci salva dalle loro mani”.
Rav Riccardo Shemuel Di Segni