Da una derashà di Rav Sacks
Sembra una domanda per bambini, ma quale sia il primo comandamento non è una domanda banale. Troviamo in merito infatti due ordini di discussioni, che coinvolgono il Rambam e l’autore del Ba’al Halakhot Ghedolot, un testo del periodo dei Gheonim, che per la prima volta enumera in maniera sistematica le 613 mitzwot, e nuovamente il Rambam, opposto a Yehudah ha-Levì, poeta e pensatore del XII sec.
Le argomentazioni utilizzate toccano i fondamenti della nostra fede.
La prima domanda è se l’espressione che apre i dieci comandamenti, “Io sono il Signore tuo D., che ti ho fatto uscire dall’Egitto, casa di schiavi” sia un comandamento. Rambam ritiene di sì, il Ba’al Halakhot ghedolot no.
Il Ramban, spiegando la sua posizione, scrive che fra le 613 mitzwot sono contenute solo quelle leggi specifiche che ci impongono di fare o non fare qualcosa. Le mitzwot sono regole di comportamento, non disposizioni riguardanti la fede. La fede nell’esistenza di D., o l’accettazione della Sua regalità, non fanno parte dei comandamenti, ma costituiscono un preludio e un presupposto ai comandamenti stessi. Per sostenere questa visione Ramban cita un passo della Mekhiltà, nel quale H. viene paragonato ad un re in carne ed ossa, che rifiuta di emettere decreti sino a quando i sudditi non avessero riconosciuto la sua regalità, aspetto indispensabile affinché i decreti venissero rispettati. La liberazione dall’Egitto spiega perché il popolo ebraico dovrebbe sottostare alla volontà divina. Lo schema dei dieci comandamenti richiama quanto è stato confermato dalle recenti scoperte archeologiche. L’Alleanza della Torah presenta una struttura analoga a quella degli antichi trattati politici orientali, che consistevano di tre parti, una prima in cui il sovrano si presentava, una seconda in cui venivano descritte le relazioni passate fra le parti, e una terza in cui erano contenute le leggi vere e proprie. Il primo verso dei dieci comandamenti è una versione molto abbreviata delle prime due parti del trattato. Questa visione era stata accolta dal Ba’al Halakhaot Ghedolot e da Ramban.
La seconda discussione rivolge nuovamente il Rambam e Yehudah ha-Levì. Per Maimoide il comandamento è quello di credere in D., creatore del cielo e della terra. Le parole con cui apre la sua principale opera di halakhah, il Mishneh Torah, richiamano inequivocabilmente le categorie concettuali proprie del linguaggio filosofico. D. è visto come il primo ente, che conferisce l’esistenza a tutti gli enti. Se questo primo ente non esistesse, tutti gli altri non esisterebbero. Riconoscere questa verità è per Rambam un precetto positivo della Torah. Yehudah ha-Levì non è minimamente d’accordo con questa visione. Si trattava di un poeta, ma anche di un pensatore, autore di uno dei capolavori della filosofia ebraica medievale, il Kuzarì. La popolazione dei Kazari nel medioevo occupò un’ampia area fra il Mar Nero e il Mar Caspio, a cavallo fra il Califfato islamico e l’Impero Bizantino cristiano. I Kazari, dopo che il loro re fece vari sondaggi per abbracciare una religione, optò per l’ebraismo. Il Kuzarì è una ricostruzione immaginaria dei dialoghi che il re intrattenne con vari religiosi, in modo particolare con l’ebreo. In questo testo filosofico Yeudah ha-Levì presenta l’ebraismo come una visione della religione contro-filosofica. Non si tratta di concetti astratti, ma di esperienze concrete, la schiavitù, la liberazione, la realizzazione del fatto che il Signore ha udito il pianto degli uomini. Il D. di Abramo non è quello di Aristotele. I profeti non sono filosofi. I filosofi cercano D. nella fisica e nella metafisica, i profeti lo trovano nella storia. D. non si presenta come creatore del cielo e della terra, ma come liberatore dalla schiavitù egiziana. Gli eventi ai quali ci si riferisce erano di stretta attualità. La differenza non è da poco. Le due visioni rispondono a due diverse idee della divinità, entrambe presenti nella nostra tradizione. D. è il creatore dell’universo e dell’uomo. Questa divinità è universale e accessibile a tutti, ebrei e non. E’ il primo motore di Aristotele. Oggi tanti raggiungono questa conclusione per mezzo della scienza: la nascita della vita richiede troppe coincidenze per realizzarsi. Altri raggiungono questa idea partendo dallo stupore e dalla meraviglia. Ma nel Tanakh viene presentata ampiamente un’altra idea di D., quella della divinità coinvolta nel destino di un popolo, con il quale D. ha stretto un’alleanza sul Sinai, un’alleanza che investe praticamente ogni ambito dell’esistenza umana. Rambam, il filofofo, enfatizza l’aspetto universale dell’ebraismo, Yehudah ha-Levì l’aspetto particolaristico e profetico, il ruolo di D. nella storia del popolo ebraico. Come spesso avviene troviamo varie voci, coinvolte, ciascuna con le proprie intuizioni, nelle infinite inflessioni della parola divina.