Alberto Somekh
Qualche sera fa ho avuto l’onore di presenziare, nel Centro Sociale della ns. Comunità, alla festa per gli 80 anni di un nostro illustre correligionario. Per motivi legali di privacy, non posso rivelarne il nome. Di lui dirò soltanto che è un simpatico, arzillo narratore di barzellette, che ha una moglie molto affabile ed attiva (una vera signora) e che è considerato da molti uno dei padri dell’Ebraismo Italiano del dopoguerra, avendo avuto magna pars, per esempio, nell’articolazione dello Statuto. Ma soprattutto, come in quella festa è stato presentato da chi, a nome di tutti, gli porgeva gli auguri, “un difensore della diversità nell’Ebraismo e fuori”. I lettori capiranno che oltre non mi posso spingere…
Nella risposta del festeggiato al saluto non poteva naturalmente mancare un richiamo al “sacro ideal”di Lissa e Custoza, ahimè non più coltivato nei mala tempora d’oggi. Confesso che da molti anni non leggevo questi nomi sul giornale e dovetti ricorrere al mio sussidiario mentale, per riscoprire di cosa trattasi: due battaglie di centocinquant’anni fa, per l’Indipendenza italiana. Eidola tribus di una ex-cultura di “backward men walking”, che rincorre pervicace se stessa con il viso rivolto all’indietro, incapace di cogliere le esigenze dei tempi. Chissà come sarebbe turbato il nostro “difensore della diversità” se osassi indicargli una prospettiva storica totalmente diversa e gli dicessi che proprio il Risorgimento è stato, almeno da un punto di vista ebraico, una delle epoche più povere di ideali, in cui gli Ebrei correvano ad assimilarsi? E se gli dicessi che i veri ideali (ebraici) sono assai meglio testimoniati oggi, con il ritorno alla Torah e la difesa di Eretz Israel?
Non so, francamente, quanti dei presenti di quella sera o dei loro discendenti, saranno ancora presenti in Comunità fra quarant’anni, quando il festeggiato celebrerà il suo centoventesimo compleanno. Auguri a lui e a loro di essere in tanti. La festa, del resto, è andata molto bene. Salvo il momento in cui il direttore di un noto bimestrale ebraico torinese ha avuto la beneaugurata idea di intonare a squarciagola, in ebraico: Yom Huledet Sameach… Dopo le prime battute non ha potuto ignorare, certo, il silenzio glaciale che lo circondava, misto a occhiate e sorrisini imbarazzati. E ha dovuto ripiegare suo malgrado, nella riconquistata soddisfazione generale, sulla versione italiana del medesimo motivo: “Tanti auguri a te…” Patriottismo “piemuntèis”? No: semplicemente, nessuno conosceva l’ebraico. Rinnovati auguri di: Yom Huledet Sameach!
Rabbino Capo di Torino