Perché nonostante le prove molti credono ancora in menzogne? La risposta di un grande fumettista ebreo
Eleonora Beccari
Oggi più che mai il persistere della disinformazione riesce a rendere coriaceo e tenace un mito o un’idea indiscutibilmente documentato come mera menzogna. Già abbiamo visto, in un precedente articolo, come nonostante diversi studi abbiano assolutamente smentito il legame fra vaccini e autismo, queste idee continuino a infestare il pensiero quotidiano. Sono miti che non vengono disinnescati dal loro disvelamento, persistono e continuano a circolare. Ma soprattutto anche quando si dimostra inequivocabilmente che si tratta di falsi, le persone rimangono con il dubbio che è stato loro instillato. Questo è un meccanismo che non solo ha creato grandi dispute e insensate opposizioni a livello scientifico, come col sopracitato caso dei vaccini, ma spesso queste “bufale” sono state strumentalizzate con grandi conseguenze sia sociali che umane, in grandi eventi che hanno fatto la storia.
A dimostrazione di tutto ciò vogliamo portarvi, come esempi, due capolavori della letteratura a fumetti che oltre ad aver fatto la storia del genere, hanno anche affrontato in maniera impeccabile uno dei più terrificanti esempi di strumentalizzazione della menzogna: la diffamazione della figura dell’ebreo.
Creati dalla mente di Will Eisner, colui che ai più è noto come “il padre della graphic novel”, “Fagin l’ebreo” ed “Il Complotto” sono due novelle grafiche nate da uno studio di quella che Eisner stesso definiva come la “biologia del pregiudizio”.
Figlio di ebrei immigrati in America, dopo aver passato un’intera vita a convivere con questa sua identità e un’intera carriera ad osservare questi stereotipi, Eisner ne fa risalire l’origine ad uno dei più grandi classici della letteratura inglese: l’“Oliver Twist” di Charles Dickens ed in particolare alla figura del personaggio di Fagin, il ricettatore ebreo.
Nella prima edizione del romanzo (1830), Dickens, non chiama mai Fagin col proprio nome e lo apostrofa sempre e solo come ‘l’Ebreo’. In aggiunta, nelle celebri incisioni di George Cruikshank a corredo dell’edizione, a questo personaggio viene attribuita una raffigurazione che per gli standard odierni sarebbe considerata violentemente diffamatoria. Vi è ritratto infatti come un vecchio dagli atteggiamenti loschi e cospiratori, dalle fattezze grottesche ed esagerate, disgustose, che ispirano deformità fisica senza averla. Con “Fagin l’ebreo”(“Fagin The Jew”, “2003), Eisner denuncia tutto questo, senza mai accusare però Dickens di antisemitismo e nemmeno contestare il ruolo che lo stesso Fagin ha nel romanzo. Semplicemente rimprovera all’autore dell’ Oliver Twist di quella che si può definire come una sorta di ‘opportunismo letterario’, identificabile con l’uso e l’abuso di uno stereotipo all’epoca ampiamente condiviso, al fine di assecondare le aspettative del pubblico, rendendo il suo personaggio così più riconoscibile e incisivo.
L’immagine condivisa e la rappresentazione di Fagin è difatti sopravvissuta oltre le stesse intenzioni di Cruikshank e di Dickens, insediandosi nell’immaginario popolare e arrivando fino ad oggi. Esemplificativo è il caso della versione cinematografica dell’Oliver Twist (2005) firmata da Polański: nonostante la storia di deportazione che ne colpisce la famiglia, il regista decide di restare fedele alla versione tradizionale del libro, dipingendo un Fagin spaventoso, maligno e disgustoso, non lontano dagli stereotipi della propaganda nazista degli anni Trenta.
Intellettualmente indignato da tutto questo, Eisner si pone quindi l’obiettivo di ricostruire la storia di Fagin per restituircene una rappresentazione più veritiera, senza modificare il personaggio e lasciandone inalterata la funzione narrativa. Nessun revisionismo letterario, quindi, ma un re-inquadramento alla luce di considerazioni storiche e demografiche sulla reale composizione della comunità ebraica londinese all’epoca di Dickens. Perché come l’autore stesso spiega nella prefazione della graphic novel: “Il ricordo dell’uso terrificante che i nazisti fecero della “diffamazione per immagini” di Dickens durante la Seconda Guerra Mondiale, confermava la capacità di persistenza degli stereotipi negativi. Ho deciso così di dedicarmi a un ritratto più fedele di Fagin, raccontando la sua vera storia nell’unico modo in cui sono capace. Questo libro, dunque, non è un adattamento dell’Oliver Twist, è la storia di Fagin l’ebreo.”
Sempre nel tentativo di smascherare questi pregiudizi, Eisner pubblica successivamente un altro romanzo a fumetti, dove accentua i toni della sua denuncia: “Il Complotto – La storia segreta dei Protocolli dei Savi di Sion”. Opera alla base dell’antisemitismo del XX secolo, i Protocolli sono un testo – presentato come autentico – che descrive un complotto mondiale per la conquista del mondo da parte della setta ebraica autodenominatasi dei ‘Savi di Sion’. La sua falsità è da tempo cosa acquisita: una serie di servizi pubblicati sul Times di Londra nel 1921 ne smentirono definitivamente la veridicità, facendo risalire la loro stesura ai servizi segreti zaristi, che necessitavano di un pretesto per i pogrom antisemiti dei primi del ‘900. Eisner ne ricostruisce la storia partendo da questa operazione di falsificazione e racconta di come, per la prima volta, non ha usato il fumetto per raccontare una storia inventata. Come lui stesso scrive nella prefazione: “Stavolta ho tentato di impiegare questo potente mezzo […] per contrastare questa propaganda con un linguaggio più accessibile, in modo da contribuire a distruggere questo inganno terrificante”.
Citati anche da Hitler in “Mein Kampf” (1925) come documento storico, usati ampiamente come scritti fondanti della propaganda nazista, i Protocolli riemergono periodicamente nella storia. E anche oggi non sono scomparsi: esistono soprattutto in Medio Oriente in edizioni non scientifiche, che li propongono come documento reale. In queste zone, le nozioni dei Protocolli sono considerate semplicemente come un dato acquisito e la loro veridicità è fuori discussione: il pubblico infatti continua a credere che si tratti di un documento vero e la sua smentita fa parte della congiura che ci sta dietro.
Questa è l’ennesima dimostrazione di come – anche se qualcosa è stato documentato come incontrovertibilmente falso – continui a circolare come vero. La natura virale che la comunicazione ha assunto negli ultimi anni ha reso, poi, frequentissimi questi casi anche nella forma più ordinaria della ‘bufala in internet’. Questa persistenza incessante della menzogna era al centro dell’indignazione intellettuale di Eisner, che credeva però fosse possibile modificare il nostro giudizio sui fatti ed in questo modo, riuscire ad operare un cambiamento su ciò che ci circonda. Gli strumenti per farlo, tutti noi li abbiamo a disposizione: conoscenza, discernimento e una buona dose di informazione.
http://www.orgoglionerd.it/blogs/comics-science/2015/06/will-eisner-la-biologia-del-pregiudizio