I Decisori non scrivono tutti nello stesso modo. Mi riferisco non solo alle loro conclusioni halakhiche, ma anche semplicemente allo stile con cui porgono le proprie motivazioni. Al centro della Parashat Bo è il tema dell’Uscita dall’Egitto e l’istituzione della festa di Pessach con le sue regole: in particolare il divieto di cibarsi di Chametz, le sostanze lievitate. Abbiamo spesso citato i Responsa del Rav ‘Ovadyah Yossef, Capo Rabbino Sefaradita di Israele dal 1973 al 1983.
Pochi come lui hanno avuto il coraggio di porre la Halakhah al servizio dei problemi dell’uomo contemporaneo e soprattutto di immedesimarsi nell’esigenza di avvicinare gli Ebrei lontani dall’osservanza (ma pur sempre interessati alla medesima). La lettura delle sue Teshuvot dà un’idea non solo della sua impressionante preparazione halakhica, ma della capacità di armonizzare le numerosissime fonti citate in un unicum dal sapore poetico. E’ difficile trovare testi che egli non riporti. In un Responsum si domanda se è lecito fumare le sigarette durante Pessach per il timore che al tabacco possa essere stato mescolato Chametz e riporta una controversia fra due eminenti Decisori italiani del Settecento su questo tema. Vale la pena riportare il testo integralmente.
“Il Maghen Avraham (a O.Ch. 467, n. 10) scrive che in alcuni luoghi si usa mettere a bagno il tabacco in alcool Chametz e perciò è necessario chiuderlo in una stanza durante Pessach o inframmezzare una barriera affinché non sia visibile. Anche R. Moshe Azulay, nipote del Chidà, riporta nel suo libro Zichron Moshe a nome di suo padre, R. Refael Yesha’yah Azulay, che usava proibire le sigarette durante Pessach e ha dato disposizione affinché la sua decisione fosse resa pubblica ad Ancona. Anche a Livorno vi era l’uso di proibire per il timore di Chametz. Ma il Chidà stesso (Resp. Chayim Shaal, 2, n. 38/83) aveva scritto citando R. David Corinaldi che, benché qualcuno abbia effettivamente sollevato il problema del Chametz in questo paese (l’Italia?) ciò non costituisce preoccupazione perché non è diffuso questo tipo di alcool e non vi è affatto l’uso di macerare il tabacco in alcun liquido. A sua volta il Ya’avetz riporta il Maghen Avraham ma si stupisce della sua affermazione, perché se anche fosse vero che il tabacco viene macerato nel Chametz a Pessach, il nostro caso sarebbe del tutto simile a quello riportato nello Shulchan ‘Arukh (442,9): “il Chametz che sia stato bruciato prima che divenisse proibito e si è abbrustolito fino a non essere più commestibile neppure da un cane può essere tenuto durante Pessach”.
“Tanto più che il tabacco comunque non si mangia, la forma del Chametz non è affatto distinguibile in esso e il godimento del fumo non ha sostanza ed è semplicemente come un odore. Se infatti la fumata fosse paragonabile ad una bevuta i Chakhamim avrebbero prescritto una Berakhah sulla sigaretta, cosa che non avviene. Per la stessa logica è permesso fumare durante un digiuno. Inoltre nel caso del tabacco la presenza di Chametz è dubbia. Se anche il tabacco fosse stato macerato nel Chametz prima di Pessach si tratterebbe di un godimento del Chametz in forma non convenzionale (she-lò ke-derekh hanaatò), perché il liquido Chametz è normalmente concepito per essere bevuto e non per essere fumato: in quanto tale sarebbe proibito solo per disposizione rabbinica e in caso di dubbio lo si permette del tutto (safèq de-rabbanan le-qulla). Pertanto si può permetterne sia il fumo, sia il fiuto attraverso le narici senza necessità alcuna di verificare se effettivamente il tabacco sia stato macerato nel Chametz oppure no” (Resp. Yechawweh Da’at, 2, 61).
Può essere peraltro istruttivo a questo punto confrontare l’approccio del Rav Yossef con quello di un altro importante Rabbino sefaradita del Novecento, il Rav Chayim David ha-Levy di Tel Aviv. Interrogato sul medesimo tema, il Rav ha-Levy risponde in modo completamente diverso. Evitando di proposito i tecnicismi del problema, quest’ultimo scrive semplicemente che il fumo deve essere proibito tutto l’anno in quanto nocivo alla salute! Così scrive testualmente: “Sei certamente al corrente di statistiche negli ospedali con conclusioni impressionanti sull’incidenza della mortalità per cancro e infarti fra i fumatori, dell’81% superiore rispetto ai non fumatori (seguono citazioni da testi pubblicati nel 1965 e nel 1970). Sono perciò giunto alla conclusione che se i nostri Maestri fossero stati al corrente del pericolo del fumo lo avrebbero proibito in forza di Din, come hanno in effetti proibito altre cose assai meno pericolose. Personalmente ho stabilito che il fumo è proibito dalla Halakhah (Resp. ‘Asseh lekhà Rav, 2, 1); ed è un peccato che oggi non esista un’autorità rabbinica superiore, in grado di dare forza di legge a una decisione del genere.
“Già il Chafetz Chayim ha scritto (Liqqutè Amarim, cap. 13), citando i medici del suo tempo, che una persona gracile non dovrebbe indulgere al fumo per il rischio di indebolirsi ulteriormente. Ne ho parlato con alcuni interessati, i quali mi hanno risposto che avendo già acquisito l’abitudine è difficile staccarsene. Allora ho domandato loro chi li avesse autorizzati ad acquisire la brutta abitudine. E’ vero che chi fa male a se stesso è esente da pena (Bavà Qammà 92), ma in ogni caso non è autorizzato. Anzitutto per via del versetto: “starete bene attenti a proteggere le vostre persone” (Devarim 4,15). In secondo luogo, per via del ragionamento seguente: se H. ci mette a disposizione i beni del suo mondo, che diritto abbiamo noi, suoi servi, di abusarne a nostro piacimento, dal momento che il servo appartiene al padrone? Perciò a qualsiasi sheelah che riguardi il fumo non si può dare un responso nella forma classica citando i Decisori precedenti che si sono occupati della materia, perché questi non erano consapevoli del pericolo insito in tale pratica come invece lo siamo noi oggi. Perciò Ti consiglio di smettere di fumare. Quanto alla questione da Te posta “se è permesso fumare dopo l’Afiqoman così come è permesso bere, o se è invece proibito come è proibito mangiare”, il che implicherebbe come scontato che dopo l’Afiqoman sia permesso bere, su questo è grande la controversia fra i Decisori e in pratica è meglio essere rigorosi e non bere nulla dopo l’Afiqoman eccetto l’acqua” (Resp. ‘Asseh lekhà Rav, III, 18).
Nel Talmud si discute sull’autorizzazione a far del male a se stessi e la Halakhah lo proibisce (Maimonide, Hil. Chovel u-Mazziq 5,1). La difesa della propria persona dai pericoli non è dunque semplicemente una facoltà, ma un obbligo della Torah (Hil. Rotzeach u-Shmirat ha-Nefesh, 11,5). Chi stabilisce che cosa sia da ritenersi pericoloso? Se un certo comportamento è largamente praticato dalla società può essere condiviso anche se presenta un margine di rischio trascurabile che non deve spaventarci, in quanto “H. protegge gli sprovveduti” (coloro che non possono badare a un pericolo così remoto: Tehillim 116,6). Diverso è tuttavia un caso come quello del fumo, sui cui effetti l’evidenza scientifica è ormai incontrovertibile. Anche R. Eli’ezer Waldenberg si rivolge tanto ai fumatori attivi che a quelli passivi: “E’ opportuno proibire il fumo sulla base della disposizione della Torah. Inoltre nei confronti di coloro che fumano nei luoghi pubblici ciascuno dei presenti, temendo per la propria salute, ha il diritto di impedirlo” (Resp. Tzitz Eli’ezer 15, 39; cfr. anche Resp. Be-mar’eh ha-Bazaq 1,86).