Una delle responsabili dei movimenti giovanili solleva qualche interrogativo sulla manifestazione Pro-Israele a Milano del 12.1.2009
E’ notte fonda mentre scrivo, poiché sono tornata da poco dalla serata a sostegno di Israele al Teatro Strehler. Ho ascoltato con interesse i molti interventi di note personalità del mondo della politica e del giornalismo, e questo mi ha dato una serie di spunti per una riflessione, sorta pian piano durante la serata. Questo tipo di eventi, che catturano l’interesse dei media e si svolgono solo sporadicamente, sono le occasioni in cui la Comunità Ebraica si espone di fronte al resto della società milanese e si fa conoscere. A seconda di chi sale sul palco gli altri si fanno un’idea ben precisa di chi siamo, di quali sono i nostri valori e le nostre priorità.
Questa sera la posizione della Comunità per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese è stata chiarita di fronte a tutti, grazie agli ospiti presenti.
Ma in linea più generale siamo sicuri di voler dare l’immagine di una comunità formata da un’unica generazione ormai adulta, unita ma così poco variegata, senza anche una partecipazione giovanile forte? Sì è vero, noi ragazzi siamo forse meno qualificati dei politici e abbiamo forse una minore proprietà di linguaggio, ma è un motivo sufficiente per non darci spazio?
Noi giovani abbiamo con Israele un legame difficile ma altrettanto genuino, ed abbiamo con esso un rapporto generazionale completamente diverso da quello dei nostri genitori e dei nostri nonni, ma altrettanto interessante. Il nostro amore per Eretz Israel si nutre di contenuti differenti: voi adulti avete visto (o quasi) nascere lo Stato, e dalla sua creazione lo avete posto come un punto di riferimento indiscutibile. La nostra generazione invece è cresciuta quando Israele era già una sicurezza, e il nostro compito è quello di porci domande sul significato della sua esistenza.
Questa sera andando contro tutto questo noi giovani abbiamo dovuto lasciare spazio ai “grandi” sedendoci sulla balconata, relegati a guardare da lassù l’evento come semplici spettatori, come non fosse affar nostro. Siamo ragazzi ma non siamo bambini, per questo non siamo saliti sul palco a cantare una canzone per la pace, ma abbiamo preferito comunque diffondere le nostre idee attraverso il volantinaggio.
Noi siamo i giovani dell’Hashomer e del Benè Akiva e siamo parte integrante del futuro di questa Comunità, come i nostri fratelli maggiori dell’UGEI e di Efes2. Non parliamo politichese, ma delle idee ce le abbiamo. Viviamo anche noi con angoscia la situazione creatasi a Gaza: abbiamo chaverim che stanno vivendo la guerra in prima persona poiché soggiornano nei kibbutzim e nei villaggi intorno alle zone calde e ci mandano giorno per giorno loro notizie. Quei soldati di cui tanto si parla, quegli eroici soldati che difendono la patria consapevoli dei rischi, sono in gran parte nostri coetanei, ragazzi che hanno appena finito le superiori. Israele dà in mano a questi giovani la responsabilità della sua sopravvivenza, ed altri non ci ritengono nemmeno capaci di fare un intervento, perché forse saremmo meno interessanti di una decina di assessori.
Ricredetevi, siamo capaci anche noi di darvi tanto e di imparare altrettanto da queste esperienze. La nostra non è solo una richiesta di spazio, ma anche una richiesta di intervento da parte della Comunità che ci rappresenta, affinché crei i presupposti per una nostra partecipazione attiva agli eventi e alla vita comunitaria. Proprio perché siamo ragazzi non possiamo autogestirci del tutto, impegnati come siamo a mantenere in vita i nostri movimenti. Una partecipazione giovanile attiva non può che giovare a tutti e portare un rinnovamento alla Comunità stessa. Ricordiamoci che la forza di Israele sta anche nel fatto di essere un paese giovane, che sprona e supporta il più possibile i suoi ragazzi.
Giulia Temin, bogheret dell’Hashomer Hatzair Milano
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Sempre su Gaza un commento di Victor Magiar testimonia che tra gli ebrei italiani, come in Israele, il consenso sull’operazione di Tzahal è pressoché unanime
Hamas non è il popolo palestinese
Caro direttore, chi ha dormito almeno una volta in un campo profughi palestinese sa che è una menzogna confondere il popolo palestinese con Hamas. Il colonialismo non ha solo il volto cinico e razzista dell’ europeo predatore, ma può avere anche quello ipocrita, e comunque razzista, dell’ europeo benevolo, dallo sguardo pietoso e indulgente verso altri popoli considerati incapaci di prendere in mano il proprio destino. Così, i colonialisti dal volto umano non vogliono vedere la più evidente delle verità: una parte del popolo palestinese ha scelto di risolvere la propria condizione di oppressione usando gli strumenti della politica e del compromesso, un’ altra parte, minoritaria, ha scelto la via della guerra totale, della nuova «soluzione finale» per gli ebrei in Medio Oriente e nel resto del mondo. Rimango sempre allibito quando sento dire che la condizione di occupazione (o in generale quella di oppressione o sofferenza) debba inevitabilmente sfociare in scelte radicali: non è vero.
È possibile invece esprimere altre posizioni e individuare altre vie: questo è il dibattito che ha attraversato la società palestinese in questi decenni e che trova nella nell’ ANP e in Mahmoud Abbas la sua più avanzata rappresentazione. Del resto (smascheriamo un’ altra manipolazione) la posizione rappresentata da Hamas non si può definire radicale, ma fanatica, razzista e totalitaria. È ormai insopportabile sentir recitare il solito mantra che la pace fra israeliani e palestinesi non è stata raggiunta per responsabilità di «entrambe le parti»: dal 2000 la pace è in ostaggio della multinazionale dell’ integralismo islamico e nessuno in questi anni ha realmente aiutato Al-Fatah a contrastare Hamas, anzi…
Nel mondo musulmano importanti finanziatori hanno ingrassato Hamas a dismisura, in Europa politici e «attivisti», mascherati da campioni della realpolitik, hanno fatto di tutto per farci digerire il mostro integralista. Questa, secondo me, la massima responsabilità dei manipolatori della parola più sacra ad ebrei e musulmani: pace. Quando Hamas si è impossessata di Gaza decimando per le strade i militanti di Al-Fatah, i loro dirigenti e i loro parenti, bambini inclusi, http://www.youtube.com/watch?v=7_OGhj43GAE nessun presunto «amico del popolo palestinese» ha fiatato, nessuno ha formato delegazioni di pacifisti o di parlamentari per fermare i golpisti e il loro eccidio fraterno. Così come non li abbiamo visti andare da Hamas a chiedere di smettere il lancio dei missili (… e a dire il vero non li abbiamo visti nemmeno protestare per altre tragedie in altre parti del mondo). No. Il colonialista dal volto umano ha sempre la stessa risposta pronta: «poveretti bisogna capirli… hanno tanto sofferto» e quindi è loro concesso tutto.
In realtà è a Hamas che concedono tutto, al popolo palestinese rimane solo una sanguinaria dittatura. Siamo ormai al paradosso: in Europa le strade si gonfiano di urla che confondono la tragedia palestinese con il disegno di Hamas, che vuole la tragedia, mentre nel mondo arabo si attende con ansia la caduta di Hamas, la cui sconfitta militare e politica potrà aprire nuovi scenari. Immagino già la risposta, il solito mantra: la soluzione è politica! Certo, ma la soluzione politica ci sarà solo a condizione della sconfitta del ricatto militare.
Chi crede nella violenza ha un suo codice culturale e psicologico: Hamas ha interpretato la pazienza di Israele come segno di debolezza. Dopo 8 anni di missili Israele non solo ha risposto, ma ha spiegato a Hamas, Hizb-Allah e Iran, che è ancora uno Stato solido e forte, che la loro violenza non paga. Invece di raccogliersi ad Assisi per fare proclami sul destino del mondo, vadano i pacifisti a Sderot e a Gaza: spieghino loro a Hamas che la soluzione è solo politica. Spieghino che deve rinunciare alla violenza contro Israele, Al-Fatah e i palestinesi. Spieghino ai cittadini del sud di Israele che possono fare affidamento anche sull’ opinione pubblica europea, e non solo su Tzahal. Chi ha dormito almeno una volta in un campo profughi palestinese sa che è una menzogna confondere Hamas con il popolo palestinese: i bambini di Gaza non meritano né le bombe israeliane né il destino regalato loro dai carcerieri integralisti.
Victor Magiar
(13 gennaio 2009) – Corriere della Sera