Tempio di via Eupili – Milano
“Non c’è niente di nobile nell’essere superiori al tuo prossimo; la vera nobiltà è essere superiori a te stesso di prima“. (Ernest Hemingway).
Dall’essere stato aspramente rimproverato e persino denigrato verso la fine della vita di suo padre, l’eredità di Levi prende una svolta decisiva nelle ultime parole della Torà. Moshè si avvicina alla fine della sua vita, chiama i figli d’Israele e impartisce berakhot alle diverse tribù in base al loro ruolo e carattere unici. I leviti sono benedetti con ruoli di comando molto al di sopra della maggior parte delle altre tribù. La tribù di Levi viene incaricata di insegnare la Torà a Israele, di servire nel Bet haMikdash e benedetta con forza e resilienza. Sembra difficile comprendere come questa tribù, discendenti di Levi, figlio di Yaakov, possa meritare questa berakhà, soprattutto quando si guarda alle berakhot che Yaakov impartisce a Levi prima di morire. Yaakov, ancora arrabbiato per il modo in cui Shimon e Levi salvarono la sorella Dina uccidendo tutto il popolo di Shechem, dice: “… Che la mia anima non entri nel loro consiglio; sul mio onore, non ti unirai alla loro assemblea, perché nella loro ira hanno ucciso un uomo e con la loro volontà hanno reciso un toro. Maledetta sia la loro ira perché è potente, e la loro ira perché è aspra. Li separerò per tutto Yaakov e li disperderò per tutto Israele». (Bereshit 49). Perché questa trasformazione?
Il Midrash si chiede: “Perché questa (berakhà, in questa Parashà) è stata data a lui (cioè a Levi, e non a Shimon)? Shimon e Levi sono, in fin dei conti, messi insieme nelle parole usate da Yaakov. Sembra esserc usato, quindi, un doppio standard; Shimon e Levi fecero entrambi la stessa cosa nella città di Shechem, facendo arrabbiare loro padre. Shimon, in questa Parashà non riceve alcuna benedizione, Levi, non solo viene menzionato, ma riceve abbondanti benedizioni. Il Midrash risponde per mezzo di una storia.
“Questo è analogo a (la situazione di) due, che hanno preso un prestito dal re. Uno lo ha restituito e ha preso nuovamente in prestito da lui, l’altro, non solo non ha restituito il prestito, ma ne ha preso uno nuovo. Così fu per Shimon e Levi: Entrambi “presero in prestito” a Shechem, come è scritto: “Poi presero, i due figli di Yaakov, Shimon e Levi, ciascuno la sua spada, e giunsero nella città (Shechem) al sicuro, (in quanto gli uomini erano debilitati dall’aver appena fatto la milà), e uccisero ogni maschio” (Bereshit 34:25). Levi ha restituito ciò che aveva preso in prestito nel deserto (nell’incidente del vitello d’oro), come è scritto: “E Moshè si fermò alla porta dell’accampamento, e disse: ‘Chi è per il Signore, (venga) da me!’ E si radunarono intorno a lui tutti i figli di Levi …” (Shemot 32:26) E “prese in prestito” nuovamente dal Signore in Shittim, come è scritto: “Pinchas, figlio di Elazar, figlio di Aharon il Cohen, ha distolto la mia ira dai figli d’Israele quando ha infuriato la mia ira in mezzo a loro, e non ho consumato i figli d’Israele nella mia ira” (Bamidbar 25:11). Shimon, al contrario di Levi, non solo non ha rimborsato il prestito, ma è andato di nuovo a “prendere in prestito”, come è scritto: “E il nome dell’uomo d’Israele… che fu colpito insieme alla donna midianita, era Zimrì, figlio di Salù, capo di una casa paterna nella casa di Simon” (Ibid. 14). Il midrash fa notare una differenza sostanziale tra Levi e Shimon. Levi ha mostrato la capacità di trasformarsi, non cadendo nel peccato del vitello d’oro e tramite Pinchas, che prese un’azione molto decisa contro Zimri, mentre la tribù di Shimon continuava a accumulare errori. Questo però pone in essere una domanda critica.
Anche se accettiamo che Levi abbia subìto una trasformazione personale, vogliamo davvero che sia il maestro del popolo ebraico? Vogliamo che qualcuno che si è mostrato impetuoso come Levi sia colui che istruisce e ispira i figli d’Israele?
Per comprendere al meglio questo, dobbiamo capire il ruolo degli insegnanti. Al centro dell’insegnamento c’è il cambiamento. La capacità di reinventare continuamente se stessi è il cuore e l’anima di ciò che riguarda l’educazione. Nessuno ha dimostrato la capacità di reinventarsi tanto quanto la tribù di Levi. La lezione che impariamo dalla berakhà di Moshè alla tribù di Levi ha una valenza doppia; tramite la sua berachà apprendiamo come la tribù di Levi sia riuscita a reinventare la propria eredità in modo radicale, ma anche come l’insegnamento sia legato profondamente al cambiamento. Cambiamento e insegnamento vanno di pari passo. L’insegnamento consiste nell’ispirare il cambiamento e nel guidare il percorso degli studenti verso il miglioramento e la reinvenzione costanti ma, al contempo, l’insegnante stesso cambia ed evolve perchè capita spesso che sia lui stesso ad imparare qualcosa dai suoi studenti o che nella sua carriera impari qualcosa che inserirà successivamente nei suoi insegnamenti.
Mentre leggiamo la Parashà di Vezot haBerachà, dobbiamo ricordare che il cambiamento e l’autotrasformazione sono al centro non solo dell’educazione, che riveste un ruolo centrale e fondamentale, ma anche al centro della nostra crescita personale. Non è mai troppo tardi per cambiare, per reinventarsi, per migliorarsi. Il fatto stesso che il ciclo della Torà si ripete ogni anno sta a testimoniare che possiamo ripartire da Bereshit, dall’inizio, per arrivare a Vezot haBerakhà, alla berakhà che possiamo ricevere migliorando noi stessi e influenzando positivamente gli altri.