“Hatzileni na mijad akhì mijad Esav – Salvami deh dalla mano di mio fratello, dalla mano di Esaù.”
Nella parashà si narra dell’incontro fra Giacobbe con Esaù, dopo che il primo era fuggito da lui per avergli preso la benedizione del primogenito.
Giacobbe, dopo che sulla strada del ritorno gli venne riferito che Esaù gli stava andando incontro con un esercito di quattrocento uomini, prega il Signore di salvarlo dalla furia di costui che dopo vent’anni di lontananza, non lo aveva ancora perdonato.
Fanno notare i commentatori (kitzur Baal ha turim) che le iniziali delle parole “hatzileni na mijad – salvami deh dalla mano”, formano Haman.
Giacobbe ha paura che Esaù voglia uccidere non soltanto lui, ma anche le mamme e i figli.
Nella meghillà di Ester, Haman per vendicarsi di Mordekhai, decreta di uccidere “em al banim – le madri con i figli”.
Questa interpretazione vuole farci riflettere su come i nostri nemici – in ogni epoca – hanno sempre esteso il loro odio non solo sul singolo, ma su tutto il popolo e, in particolare su coloro che sono più deboli.
Giacobbe avrebbe potuto dire soltanto “mijad akhì – dalla mano di mio fratello” o solo “mijad Esav – dalla mano di Esaù”. Il fatto che pronunci le due caratteristiche, vuol significare che a volte chi si mostra “akh – fratello”, nasconde l’identità di “Esav – malvagio” .
Esaù prima, Faraone e tutti gli altri poi, fino ai più moderni nostri persecutori, hanno sempre cercato il pretesto per manifestare dietro una esternazione di fratellanza il loro odio, partendo dal singolo per accanirsi contro tutto il popolo.
Attenzione a coloro che ci mostrano solo un lato della loro faccia e ci dicono di essere nostri fratelli.
Shabbat shalom