La parashà che leggeremo questa settimana, ci racconta della discesa dei figli di Giacobbe – Israele, in Egitto.
L’Egitto è considerato dal popolo ebraico, l’inizio di tutte le sofferenze, così come la Diaspora è la nostra sofferenza.
Dal momento in cui Giacobbe e i suoi figli scendono in Egitto, perdono la loro terra e quindi anche la loro autonomia.
Siamo abituati a parafrasare il termine Diaspora con “cattività o schiavitù”; infatti nella concezione ebraica, la schiavitù o la cattività, sono condizioni di vita, non tanto di sofferenza fisica quanto morale.
In cattività, un animale, un uomo, un popolo, perdono la loro identità originale per assimilarsi a quella di chi li ospita”. Il popolo ebraico che ha tenuto sempre al mantenimento di questi valori, per la forte identità, ha dovuto combattere con le unghie e con i denti, per non assimilarsi a chi li ospita o, per meglio dire chi tenta di annientarli.
Nella maggioranza dei casi, nella settimana in cui si legge la parashà di Vaiggash, cade il digiuno del 10 di tevet, digiuno in cui commemoriamo l’assedio di Gerusalemme, da parte dei babilonesi. Molti ironizzano dicendo che è un episodio che appartiene ad un passato remoto e che dopo soli settanta anni di esilio, gli ebrei son potuti ritornare, e così via.
Il 10 di tevet è importante invece perché è l’inizio del decadimento del nostro popolo. Da quel momento non c’è più stato un periodo sereno. È per questo che i Rabbini del moderno Stato di Israele, hanno scelto questa data per includere in esso il ricordo di tutte le vittime della Shoah. Questo giorno infatti è chiamato
“Yom ha Kaddish ha kelalì – Giornata del Kaddish” in modo tale da poter recitare un kaddish ai sei milioni di nostri fratelli e soprattutto, a coloro che sono stati trucidati ma di cui non si conosce la data della loro morte.
L’Egitto ci ha fatto conoscere i dolori della Diaspora che, ripetendosi a cicli, nonostante i millenni, e le moltissime persecuzioni, non accennano ancora a diminuire.