Tempio di via Eupili – Milano
Lo Yalkut Shimoni commentando le parole “Il Signore è il mio pastore” [Tehillim 23:1] sostiene che pascolare le pecore è tra le professioni più umili. Ogni giorno il pastore lavora duramente. Lo stesso Yaakov descrive quanto sia duro lavoro di pastore: “Di giorno il caldo torrido mi consumava e il gelo di notte; Il mio sonno si è allontanato dai miei occhi” [Bereshit 31:40]. Perché allora David haMelech paragona D-o ad un pastore? Un Midrash spiega che David haMelech aveva un precedente su cui basarsi. Yaakov aveva già chiamato D-o un pastore, come è riportato nella Parashà di questa settimana riguardo la sua benedizione a Menashè ed Efraim: “Il D-o che è stato il mio pastore dalla mia nascita fino ad oggi (haro’è otì)” [Bereshit 48:15]. Questo Midrash implica che il fatto che Yaakov faccia uso di questi termini sia una metafora senza precedenti. Né Avraham, né Yitzchak, né Yaakov, prima di questo punto, usano questo paragone. Yaakov, sul letto di morte, chiama i suoi figli. Questo momento rappresenta una delle sue ultime opportunità di parlare con la sua famiglia. In questo frangente, Yaakov decide improvvisamente di “aprire nuove strade” e riferirsi a D-o come a un pastore. Qual’è il significato di tutto questo?
Nella Parashà della scorsa settimana, è riportato come il faraone ha chiesto a Yaakov quanti anni avesse; Yaakov ha risposto che aveva 130 anni, aggiungendo qualcosa che il faraone non aveva chiesto esplicitamente: “Pochi e cattivi sono stati i giorni degli anni della mia vita, e non hanno raggiunto la durata della vita dei miei antenati nei giorni dei loro soggiorni”. [Bereshit 47:8-9]. Il Ramban nota prima di tutto, come la domanda del faraone a Yaakov sembra essere inappropriata se non scortese, per essere la prima domanda che pone quando incontra per la prima volta il suo illustre ospite straniero, il padre del suo viceré. La risposta di Yaakov è ancora più sconcertante. Perché si lamenta con il faraone? Come fa a sapere che non vivrà quanto i suoi antenati? Il Ramban spiega che Yaakov in realtà non si stava lamentando, stava spiegando qualcosa. Yaakov sembrava estremamente vecchio, ben oltre la sua età reale. Il faraone era stupito di vedere un uomo dall’aspetto così anziano, perché la maggior parte delle persone in quell’epoca non viveva così a lungo. Yaakov sembrava avesse 180 anni e il faraone, sorpreso da quanto vedeva e senza pensare al protocollo diplomatico, gli chiese che età avesse. Yaakov quindi si trova a spiegare che non era vecchio come sembrava e che in realtà aveva “solo” 130 anni. Sembrava molto più vecchio di quanto non fosse in realtà perché ha avuto una vita dura.
Il Daat Zekeinim miBaale haTosafot afferma che non era appropriato che Yaakov pronunciasse le parole “Pochi e cattivi sono stati i giorni degli anni della mia vita” di fronte al faraone. Non si dovrebbe parlare in questo modo. La risposta Celeste, per così dire, è stata: “Ti lamenti della tua vita? Ti ho salvato da Esav e da Lavan. Ti ho restituito Dina. Ti ho restituito Yosef. Perchè ti permetti di lamentarti che i tuoi anni sono pochi e cattivi? Il Midrash afferma che la frase pronunciata da Yaakov ha avuto un effetto sulla sua vita: Il numero di parole pronunciate da Yaakov in questo frangente (33 parole) è stato detratto dalla durata della sua vita (33 anni). I chachamim spiegano che Yaakov, sul letto di morte, sta rivedendo gli eventi della sua vita. Yaakov ricorda quella dichiarazione fatta di fronte al faraone e si rende conto dell’errore fatto. Possiamo immaginare quindi come Yaakov sembra dire: “In retrospettiva, ora vedo che tutto ciò che avevo percepito come terribile, alla fine era per il mio bene. Ora vedo il Signore del mondo sotto una luce in cui non l’avevo mai visto prima. Fu in questo momento che Yaakov vide per la prima volta l’Onnipotente come suo Pastore. Quando l’agnello si allontana dal gregge, arriva il pastore e lo insegue perché vede il lupo che è in agguato sullo sfondo. Il pastore sa che se l’agnello si allontana ancora, verrà ucciso dalla volpe o mangiato dal lupo, e a volte è obbligato a colpire l’agnello con il suo bastone.
Yaakov chiamando D-o “colui che è stato il mio pastore” dice: “Ora capisco e comprendo la natura di ciò che ho vissuto durante tutti quegli anni. Era il mio pastore e aveva sempre a cuore il mio beneficio. Non è mai stato crudele o meschino. Invece di privarmi, mi ha salvato”.
Un aspetto interessante che rafforza questa prospettiva lo troviamo nel versetto nel quale Yaakov chiama il Signore il suo pastore dove, la parola ebraica usata per l’appellativo di pastore non è scritta nella sua forma completa, (resh vav ayin hey), ma è scritto senza la lettera vav, quasi fosse scritto ra’à (resh ayin hey) che significa cattivo. In questo modo ro’è (pastore) e ra’à (cattivo) sono parte della stessa radice. Ciò che noi percepiamo come male (il ra-à) è in realtà ciò che il Pastore (ro’è) nella Sua infinita, eppure spesso umanamente incomprensibile, sapienza e lungimiranza sa essere bene per noi. Questa intuizione, che Yaakov Avinu ha acquisito sul letto di morte, gli ha permesso di essere la prima persona nella storia dell’umanità a chiamare il Signore dell’Universo pastore, creando quindi un precedente per permettere a David haMelech di usare la stessa metafora nei Tehillim. Yaakov ci insegna quindi a non affrettare le conclusioni. Quando attraversiamo momenti difficili della nostra vita è facile attribuire tutto a qualcun altro o colpevolizzarci. Più difficile avere pazienza, fare quello che ci è chiesto di fare, che sia teshuvà, migliorare noi stessi e crescere, cambiare prospettiva, riconoscendo alla fine che forse non tutto quello che percepiamo come male è veramente tale.