Rav Shlomo Riskin – Efrat, Israele – 5763 (2002-2003) – Tradotto da Dany e Giulio Barki
Le personalità della bibbia sono descritte in tutte le loro complessità, nelle multicolori e spesso frenetiche emozioni di amore, di gelosia, di maestoso orgoglio e di furiosa vendetta. Esaminiamo con profondità una delle matriarche della nostra nazione, la madre Lea, che soffre le pene dell’amore non corrisposto. C’è una grande lezione da imparare da come affronta la profonda ferita del rifiuto – e le conseguenze che questo rifiuto avrà sulla generazione successiva.
La nostra storia deve cominciare col magnifico amore a prima vista fra Giacobbe e Rachel, quando il parente (patriarca) viaggiatore rimuove con una sola mano una pietra pesante dal pozzo – cosa che di solito richiedeva lo sforzo concertato di tutti i pastori insieme – per fare colpo su Rachel che si stava avvicinando (Genesi 29:10). Accetta di lavorare per Labano, padre di lei, per averla in moglie, “E Giacobbe servì per Rachel sette anni che gli sembrarono pochi giorni, tanto l’amava.” (Genesi 29:20). Ma l’ingannevole Labano sostituì Rachel, bella di statura e bella d’aspetto, con la sorella maggiore Lea, meno leggiadra e debole di vista. Giacobbe acconsente a sposare entrambe le sorelle, imponendo a sé stesso di lavorare altri sette anni per Rachel. “Ma lui amò Rachel più di Lea e quando il Signore, vide che Lea veniva trascurata, la rese feconda, mentre Rachele era sterile” (Genesi 29:31).
E così la scena è pronta, con l’amata moglie Rachel e l'”odiata” rivale Lea. In un modo molto tormentato e sottile, la Bibbia descrive l’eroismo silenzioso di Lea: “E Lea rimase incinta e partorì un figlio al quale pose nome Reuven (che letteralmente significa ‘vede un figlio’), perché disse, ‘il Signore ha visto nella mia afflizione; forse ora mio marito mi amerà'” (Genesi 29:32). L’utilizzo della forma ablativa, “nella o attraverso la mia afflizione” piuttosto che semplicemente “la mia afflizione” (‘be’onyi’ e non ‘et onyi’) suggerisce che Lea non manifestava apertamente la sua pena; al contrario, piangeva sul suo cuscino la notte – probabilmente ogni notte – in cui era rifiutata a favore della più bella Rachel. Questa sfumatura è chiaramente percepita dal Targum, che, nella sua traduzione aramaica, rende la frase ‘poiché la mia vergogna è stata rivelata davanti a D-o’; davanti a D-o, ma davanti a nessun altro! Questa immagine è rinforzata dal verso subito successivo: “ed ella (Lea) rimase di nuovo incinta e partorì un figlio. E disse, ‘poiché il Signore ha sentito che ero trascurata, mi ha dato anche questo (figlio); e lo chiamò Shim-on'” (letteralmente, Egli ascolta, l’afflizione) – (Genesi 29:33). Il mondo può vedere una madre sorridente in modo raggiante, ma D-o ascolta le sue grida di sofferenza per il rifiuto. La verità delle sue sensazioni (di rifiuto) è sottolineata dal fatto che lei e non suo marito abbia dato il nome ai due figli più grandi; sembra che a Giacobbe non potesse proprio importare – dal momento che non erano nati dalla sua amata Rachel!
Lea è riuscita a trasmettere il suo eroico e maestoso orgoglio del “soffrire in silenzio” al suo primogenito Reuven. Dopo tutto, Reuven – il figlio primogenito biologico di Giacobbe – deve soffrire l’umiliazione di sapere che egli è rifiutato da suo padre per il più giovane Giuseppe, primogenito di Rachel: “E Israel amò Giuseppe più di tutti i suoi figli e gli fece una tunica di molti colori” (Genesi 37:3). Reuven è veramente figlio di sua madre Lea. Quando gli altri fratelli stanno per gettare Giuseppe in un pozzo, Reuven reprime la sua comprensibile gelosia e interpreta il ruolo del fratello maggiore responsabile – anche se comportandosi in questo modo andava contro i suoi stessi interessi. “E Reuven udì e lo salvò (a Giuseppe) dalle loro mani. Non togliamogli la vita. Non versate sangue.” (Genesi 37:21, 22).
Malgrado la verità di quello che abbiamo scritto, ci sono sempre disastrosi risultati quando un figlio si sente rifiutato, in particolare quando l’erede legittimo viene escluso senza avere alcuna responsabilità. Abbiamo persino visto nella precedente generazione come Giacobbe stesso arriva ad un livello talmente basso da ingannare suo padre fingendo di essere Esau – per provare la sensazione, anche se solo per un breve periodo di qualche ora, dell’amore e dell’accettazione da parte del padre Isacco che provava Esau. Effettivamente, Giacobbe passa i 22 anni successivi nella terra di Labano comportandosi come Esau – sempre alla ricerca dell’accettazione da parte di suo padre più di Esau stesso.
Infatti, verso la conclusione dei cinque libri di Mosè, la Torah enuncia tre situazioni legali che denotano e riecheggiano la storia di Giacobbe e Reuven. Prima arriva il caso della bella prigioniera, una donna non ebrea di cui un soldato Israelita si innamora nel pieno di una battaglia. Se tutti i suggerimenti Biblici per tentare di rompere una relazione falliscono, la Torah permette in modo riluttante alle improbabili coppie di sposarsi (Deuteronomio 21:10-14). La bibbia descrive poi una situazione in cui un uomo ha due mogli, “una amata e l’altra invisa”. La nostra Scrittura proibisce all’uomo di “favorire il figlio nato dalla moglie amata preferendolo al figlio della moglie invisa che è il vero primogenito” (Deuteronomio 21:15-17). E infine la Bibbia descrive la tragedia di un figlio scellerato e ribelle (Deuteronomio 21:18-21).
Questi tre avvenimenti, proprio perché sono esposti insieme, sono infausti rievocativi di Giacobbe e Reuven. Giacobbe, nonostante sia senza colpa, è obbligato dallo schematico suocero ad un inopportuno matrimonio con una donna che non ama molto, proprio come la prigioniera non ebrea è un’inopportuna compagna di vita dell’Israelita, e nella vita civile un innamoramento precoce spesso si trasforma in odio. Il padre Giacobbe quindi è legato a due mogli, una che ama e una che odia, ed egli favorisce il figlio della donna che ama – Giuseppe – a discapito del figlio della moglie che odia che è il suo primogenito legittimo, Reuven. E Reuven commette un azione scellerata e ribelle – forse l’inevitabile risultato di un disaddatamento che risale ad essere un primogenito rifiutato. “E Reuven andò a giacere con Bilhah, concubina di suo padre. E Israele lo venne a sapere; e i figli di Giacobbe erano dodici” (Genesi 35:22).
La precisa trasgressione di Reuven non è chiara. Secondo il commento Rabbinico, dopo la morte di Rachel, egli sposta il giaciglio di suo padre dalla tenda di Bilhah alla tenda di Lea. Comunque sia, era una violazione proibita della vita personale di suo padre. Giacobbe evidentemente capisce che spartisce la responsabilità della colpa con Reuven; egli non ha trattato suo figlio primogenito in modo appropriato e ora sente ‘attraverso il suo peccato’ il suo grido di essere l’erede di suo padre, o almeno il suo desiderio di togliere il disonore da sua madre. Israele viene a sapere dell’incidente e decide di rimanere in silenzio (c’è uno spazio aperto nella pergamena di ogni rotolo di Torah in questa giuntura nel testo) e quindi mantiene l’unità della famiglia. Così la Torah consacrata rivela fra le sue righe la complessità del rapporto marito-moglie, padre-figlio.
Shabbat Shalom