David Bidussa – Storico delle idee
Nella parashà di Vajetzè [Bereshit 28,10 – 32,3] viene narrata la fuga di Ya’aqòv verso la casa di Lavan per sfuggire all’ira di Esav, gli anni di lavoro che Yaakov trascorre presso lo zio Lavan. Poi seguiranno tutte le vicende dei due matrimoni, prima con Leah e poi con Rachel, quindi la decisione di abbandonare la casa di Lavan e di tornare verso la casa paterna [31,3 e sgg.]. Dopo aver ascoltato i discorsi dei figli di Lavan contro di lui decide di partire di nascosto. Lavan, accortosi dell’improvvisa fuga, lo insegue e, raggiuntolo, lo rimprovera aspramente, Poi, però, giungono a un accordo (siglato dal mettere pietre sul luogo dell’accordo), e si separarono con attestazioni di reciproco affetto.
La scena più famosa è quella del sogno che Ya’aqòv fa durante la strada per recarsi, fuggitivo dall’ira di Esav, da suo zio Lavan. Nel sogno si narra di una scala, la cui base è in terra e la cima si protende verso il cielo e gli Angeli divini salgono e scendono da essa. La scena apre la parashà [28, 10-22]. Sogna una scala che dalla terra arriva fino al cielo e lungo la quale salgono e scendono angeli del Signore. Il Signore sta sopra di lui ripetendogli la promessa fatta ad Avraham e Yitzchaq e rassicurandolo circa la sua protezione. Destatosi la mattina rimane sorpreso della visione avuta durante il sonno e, in segno di ringraziamento erige in quel medesimo luogo una lapide commemorativa e dà nome al luogo Beth-El (in origine si chiamava Luz). Ya’aqòv esprime il voto che, se fosse tornato in salute alla casa paterna, su quella pietra avrebbe eretto un Santuario, offrendo al Signore la decima di quanto avesse posseduto. Mi fermo su questo ultimo punto. Siamo ai versi 28, 20-22.
28,20 וַיִּדַּר יַעֲקֹב נֶדֶר לֵאמֹר אִם יִהְיֶה אֱלֹהִים עִמָּדִי וּשְׁמָרַנִי בַּדֶּרֶךְ הַזֶּה אֲשֶׁר אָנֹכִי הוֹלֵךְ וְנָתַן לִי לֶחֶם לֶאֱכֹל וּבֶגֶד לִלְבֹּשׁ.
28,21 וְשַׁבְתִּי בְשָׁלוֹם אֶל בֵּית אָבִי וְהָיָה יְהוָה לִי לֵאלֹהִים.
28,22 וְהָאֶבֶן הַזֹּאת אֲשֶׁר שַׂמְתִּי מַצֵּבָה יִהְיֶה בֵּית אֱלֹהִים וְכֹל אֲשֶׁר תִּתֶּן לִי עַשֵּׂר אֲעַשְּׂרֶנּוּ לָךְ.
La traduzione letterale è la seguente:
28,20 «Giacobbe fece poi un voto: “Se Dio sarà con me, mi proteggerà in questo viaggio che ho intrapreso, mi darà pane per mangiare e abiti per vestire,
28,21 tornerò salvo alla mia casa paterna e il Signore mi sarà Dio,
28,22 e questa pietra che ho posto come monumento sarà casa di Dio e di tutto ciò che mi darai, offrirò la decima a Te».
Rashi interviene essenzialmente sulla forza della lettera vav che apre il verso 28,22 e la interpreta non come una congiunzione copulativa (che mette in relazione due elementi della stessa frase, appunto: «e») ma come una congiunzione consecutiva e condizionale (che indica la conseguenza dell’azione espressa). In quel caso quello che letteralmente è «e» diviene «se» oppure «allora», ovvero richiamando come quella sia la sottoscrizione di un patto la cui fondatezza e la cui sottoscrizione avviene a posteriori.
Il presupposto è nella promessa che è indicata al verso 28, 15
וְהִנֵּה אָנֹכִי עִמָּךְ וּשְׁמַרְתִּיךָ בְּכֹל אֲשֶׁר תֵּלֵךְ וַהֲשִׁבֹתִיךָ אֶל הָאֲדָמָה הַזֹּאת כִּי לֹא אֶעֱזָבְךָ עַד אֲשֶׁר אִם עָשִׂיתִי אֵת אֲשֶׁר דִּבַּרְתִּי לָךְ.
“Io sono con te, ti proteggerò dovunque tu andrai e ti farò tornare in questo paese, non ti abbandonerò ma adempirò a quel che ti ho detto”.
Ya’aqòv, dunque, riconosce che ciò che ha avuto davanti è una manifestazione di Dio, e dunque segna quel luogo e lo nomina per riconoscerlo.
Ciò verrà definitivamente sancito in Bereshit, 35, 2-4.
Qui si dimostra come il processo di memorazione, o meglio: la costruzione di un «luogo di memoria» non dipenda dal ricordo, ma dalla singolarità di un luogo che si identifica con quel ricordo (in altri termini quel ricordo si legittima perché c’è un luogo che lo certifica).
Tuttavia, se in quel luogo accade qualcosa, ancora non è detto che accada in relazione al soggetto che ricorda. Tant’è che Ya’aqòv pur riconoscendo che ciò che si è manifestato lì è Dio ancora non lo assume come il proprio Dio.
Perché questo avvenga non basta avere avuto una rivelazione, occorre che si definisca un patto che appunto è la dimostrazione che quello che è elencato nel verso 28,15 si è verificato.
Dio sceglie, ma anche Ya’aqòv sceglie, o se vogliamo pone la condizione perché quella scelta sia reciproca.
Ma anche stabilisce che quella scelta non è a-priori. È, appunto, un patto.
Il riconoscimento di quel patto, così come il luogo di memoria, è solo successivo a qualcosa. Assume il suo significato in relazione a un contenuto, non ne è il presupposto o la condizione preliminare. È la conseguenza, non è la causa.