Ya’akòv aveva lavorato presso il suocero Lavàn per vent’anni; quattordici anni per Lea e Rachel, le due figlie di Lavàn, e altri sei anni quando Lavàn aveva insistito che restasse con lui. Lavan gli aveva offerto un contratto di lavoro poco favorevole che, grazie a Dio, si rivelò invece molto favorevole per Ya’akòv. Nella Torà è scritto cosa avvenne in questi sei anni: “Egli (Ya’akòv) si arricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità, schiave e schiavi, cammelli e asini” (Bereshìt, 30:43).
Alla fine dei vent’anni avvenne una cosa simile a quella che era accaduta al padre Yitzchak nel paese dei filistei: “Yitzchàk seminò in quella terra e il raccolto dell’anno superò cento volte la sementa. Il Signore infatti lo aveva benedetto. Si fece sempre più ricco fino a divenire ricchissimo: possedeva greggi e armenti e numerosi schiavi, e i filistei erano gelosi di lui. Essi chiusero, riempiendoli di terra, tutti i pozzi che al tempo di suo padre Avraham i servi di lui avevano scavato. Avimèlech disse a Yitzchàk: «Vattene via da noi, perché sei diventato molto più potente di noi»” (ibid., 26:12-16).
Lavàn aveva ammesso che si era arricchito grazie al lavoro di Ya’akòv e gli aveva anche detto: “Per divinazione ho saputo che il Signore mi ha benedetto per causa tua” (ibid., 30:27). Tutto questo non servì a evitare l’invidia dei figli di Lavàn: “Ya’akòv udì i discorsi dei figli di Lavàn che dicevano: «Ya’akòv si è preso tutto quello che aveva nostro padre e si è fatto questa grande fortuna con quello che era di nostro padre»” (ibid., 31:1).
R. Shlomo Efraim Luntschitz (Polonia, 1550-1619, Praga) in Kelì Yakàr, fa notare che l’affermazione dei figli di Lavàn era patentemente falsa. Se era pure vero che Ya’akòv si era arricchito grazie al contratto di lavoro stipulato con Lavàn, come facevano a dire che Ya’akòv aveva preso tutto quello che era del loro padre che pure si era arricchito grazie a Ya’akòv? R. Luntschitz spiega che quando i figli di Lavàn dissero che Ya’akòv aveva preso tutto quello che aveva il loro padre, non intendevano affatto parlare delle ricchezze di Ya’akòv, ma dei metodi senza scrupoli che Lavàn usava nel trattare con il prossimo. Lavàn era abilissimo nell’usare questi metodi e non vi era nessuno al mondo in grado di usare metodi simili nei suoi confronti. Nessuno, eccetto Ya’akòv che aveva imparato a usare gli stessi metodi nei confronti di Lavàn per non farsi imbrogliare. I figli di Lavàn intendevano dire che Ya’akòv aveva imparato tutti i trucchi del loro padre.
A questo punto Ya’akòv, avendo sentito quello che dicevano i figli di Lavàn, con il consenso delle mogli, decise che era venuta l’ora di lasciare Lavàn e di tornare da suo padre a Chevron: “Ya’akòv decise di andarsene furtivamente dall’arameo Lavàn, e non lo informò che si preparava a partire. Così partì con tutti i suoi averi. Si mosse dunque, passò il fiume (Eufrate) e si diresse verso le montagne di Gil’ad (ibid., 31:20-21).
R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 35), scrive che Ya’akòv usò dei sotterfugi per acquistare la primogenitura, per ricevere le benedizioni, per accumulare ricchezze al servizio di Lavàn e per la fuga da Lavàn.
La primogenitura la acquistò onestamente da Esaù che la disprezzava perché il primogenito, come poi i kohanìm, era colui che doveva occuparsi del servizio divino. Le benedizioni le ricevette anche onestamente perché essendo destinate al primogenito erano diventate sue di diritto. Le ricchezze a casa di Lavàn le aveva acquistate onestamente avendo imparato come non farsi imbrogliare da Lavàn. La fuga da Lavàn fu programmata all’insaputa del suocero per evitare che gli impedisse la partenza con la famiglia e i suoi beni. In questo mondo che vive di menzogne, una persona onesta è talvolta costretta a vivere di sotterfugi per non farsi imbrogliare.
Cosi è stato per tanti secoli il destino dei nostri antenati che hanno dovuto ricorrere a sotterfugi per proteggersi da persecuzioni e per poter evitare di essere espulsi dai paesi dove abitavano. Così infatti insegnano i Maestri: Quello che avvenne ai patriarchi (nella loro Diaspora), è un segno per noi, i loro discendenti.