“E rimase ancora incinta (Leà) partorì un figlio e disse: questa volta ringrazierò il Signore, per questo lo chiamò Jehudà” (Bereshit 29;35)
In questa parashà assistiamo alla nascita dei dodici figli maschi di Giacobbe che daranno origine alle dodici tribù di Israel.
Tra essi nasce Jehudà, il capostipite del nostro popolo” jehudim”.
Questo termine ci è stato attribuito dopo l’esilio delle dieci tribù, ad opera di Sancheriv (Senaccheribo) che, dopo lo scisma tra il Regno di Giuda e il Regno di Israel deportò quest’ultimo disperdendolo ai quattro angoli della terra.
Questo è l’appellativo con cui noi ebrei dobbiamo riconoscersi.
L’etimologia del nome Jehudà – Jehudim è l’espressione “todà – grazie, riconoscenza”.
Nel corso della nostra esistenza più volte abbiamo corso il rischio di essere annientati e più volte il Signore ci ha salvati, anche nelle peggiori situazioni.
Persino degli egiziani che sono stati i nostri primi nemici, il Signore D-o nella Torà ci comanda di avere verso di loro, una qual forma di riconoscenza:
“non disprezzare l’egiziano poiché fosti ospite nella sua terra” (Devarìm 23;8).
Noi dobbiamo essere il popolo della riconoscenza: lo jehudì deve riconoscere nel prossimo anche se minima, una forma di sostegno, di aiuto.
Dobbiamo sempre ricordarci del bene che ci è stato fatto.
Non a caso, la prima espressione che rivolgiamo al Signore, la mattina appena svegli è “modé anì – io ringrazio” e ricordarsi sempre del bene ricevuto, in ogni occasioni e da ogni persona. Facendo così, sicuramente potremo ricevere il bene dal Signore D-o per il nostro comportamento.
Un proverbio ebraico romano, suona con le parole:” fa del male e pentiti, fa del bene e scordati”.
Shabbat Shalom