L’inizio della Parashà di Vayeshev descrive il rapporto sempre più deteriorato tra Yosef e i suoi fratelli e i sogni che mettono ulteriormente a dura prova i loro sentimenti. Il primo sogno inizia così: Ecco, stavamo legando covoni nel campo, e il mio covone si è alzato in piedi ed è rimasto anch’esso eretto… (Bereshit 37:7). Cosa viene ad aggiungere la Torà con la frase “e rimase anche eretto”?
C’è un versetto nei Tehillim che ci può dare la giusta direzione: Chi salirà al monte di D-o e chi starà nel Suo luogo santo? (Tehillim 24:3). Il Maghid di Koznitz spiega che le due parti di questo versetto si riferiscono a due stadi distinti nello sviluppo spirituale. In primo luogo, bisogna metaforicamente salire sulla montagna, sforzarsi di stare con D-o. Se questo di per sé è abbastanza difficile, rimanere con D-o, mantenendo il proprio livello di sviluppo spirituale a lungo termine, è ancora più difficile, poiché l’uomo è una creatura soggetta all cambiamento. L’uomo cambia fisicamente invecchiando ma cambia anche emotivamente e spiritualmente: I nostri stati d’animo differiscono di giorno in giorno; il nostro livello di concentrazione si altera. Questo rende molto difficile rimanere spiritualmente costanti per un lungo periodo. Tutto questo vale per la maggior parte di noi, persone soggetta alle vicissitudini della vita, ma il grande tzaddik, una persona i cui movimenti, parole e pensieri sono soggetti ai dettami della sua anima altamente sviluppata, può superare queste tendenze naturali e rimanere “nel Suo luogo santo”. Lo Zohar indica che quando una persona compie tutte le sue azioni spremendo ogni grammo della sua forza, manifesta la sua anima. Ciò significa che se si è in grado (come nel caso di uno tzaddik) di raccogliere tutto il proprio entusiasmo per una mitzvà e di eseguirla con tutte le proprie forze, la propria anima si risveglia, permettendole di connettersi direttamente con quell’azione.
Questo ha una ramificazione cruciale. L’anima è eterna, emanazione dei mondi superiori e quindi immutabile. In quanto tale, anche qualsiasi azione direttamente associata alla propria anima assume questo status; cioè, si allontana dalla possibilità di cambiamento. Uno tzaddik, la cui intera vita è vissuta a questo livello, “spiritualizza” tutta la sua vita fisica, permettendogli di vivere una vita libera dal cambiamento. Questa idea è accennata anche nel Midrash Bereshit Rabba: Antoninus chiese a Rabbenu: “Quand’è che l’anima viene insita nell’uomo, dopo la nascita o prima?” Rabbenu rispose che l’anima viene insita dopo la nascita. Antoninus rispose: “No! E ti racconto una parabola. Se uno lascia la carne per tre giorni senza sale, si putrefa”. [Un corpo senz’anima non può vivere.] Rebbi diede ragione ad Antoninus. (Bereshit Rabba 34:10). Sebbene sia solo un accenno, questo Midrash indica che senza una forza dell’anima dietro le azioni dell’uomo, egli è carne morta. Per essere definiti umani – per ottenere qualsiasi cosa – le nostre azioni devono essere alimentate dall’anima, non solo dal corpo. Yosef era il paradigma di questo concetto, infatti, nel pensiero mistico, colui che raggiunge il livello di Yosef è chiamato “chai”, veramente vivo. Come abbiamo detto, ciò significa che Yosef visse la sua vita all’avanguardia della spiritualità, non solo avendo raggiunto “la montagna di D-o”, ma potendo anche rimanere nel Suo luogo santo. Il significato del sogno ora dovrebbe essere chiaro. Yosef si vedeva in confronto ai suoi fratelli. “Il suo covone stava in piedi e anche lui rimase eretto.” Doveva essere la quintessenza dello tzaddik, l’esperto nel raggiungere e rimanere con D-o.
In effetti, questa qualità ha caratterizzato Yosef per tutta la sua vita. Più avanti nella Torà apprendiamo: …e Yosef era in Egitto. (Shemot 1:5). Rashì in loco commenta: Non sapevamo già che Yosef era in Egitto? Piuttosto, il versetto ci parla della rettitudine di Yosef. Lo stesso Yosef che pascolava il gregge di suo padre; era Yosef che era in Egitto e divenne re e mantenne la sua rettitudine per tutto il tempo. L’idea della costanza di Yosef è chiaramente confermata da questo Rashi. Yosef è rimasto il grande tzaddik nonostante tutti i suoi travagli. Un altro Midrash, commentando il sogno dei covoni, sostiene questa stessa tesi: Ecco, stavamo legando covoni: tu porti frutti e io porterò frutti. Il tuo marcirà e il mio rimarrà… (Bereshit Rabba 84:10)
Yosef sarà l’unica fonte di successo all’interno della sua famiglia. Rimanendo nel paragone fatto nel Midrash, il suo frutto rimarrà fresco, a differenza di quelli dei suoi fratelli. Solo lui può impregnare le sue azioni di forza vitale e spiritualità sufficienti per garantire che i risultati continuino ad arrivare. Le profezie di Yosef attraverso i suoi sogni si avvereranno, Yosef, in tutte le situazioni che si troverà ad affrontare, nei momenti più bui, venduto come schiavo e nel perdurare degli anni di prigionia nel carcere egiziano, come nei momenti di successo, come capo dei servitori nella casa di Potifar o come vicerè d’Egitto, rimarrà sempre se stesso. Le sue capacità personali e la sua grandezza spirituale gli permetteranno di rimanere uno tzaddik e di meritare le berachot di D-o. Yosef è quindi il paradigma di quello a cui tutti dovremmo anelare. Nei momenti di gioia e di successo non dobbiamo mai dimenticare chi ci ha dato le capacità che possediamo che ci hanno permesso di raggiungere i risultati che abbiamo ottenuto. Nei momenti difficili non dobbiamo mai disperare perchè, attraverso le capacità uniche che D-o ci ha dato, possiamo superare le difficoltà e brillare della luce e delle berachot che D-o ci manda continuamente.