Le ultime quattro parashot del libro di Bereshit, da Wayeshev sino a Waychì, sono dedicate alla storia di Yosef e dei suoi fratelli. Sin dall’inizio si respira un’aria molto pesante, e si può intuire a ragione che finirà in tragedia. Ci sono tutti gli elementi perché sia così. C’è favoritismo, tradotto in un segno tangibile per mezzo della tunica di Yosef, costante provocazione per i fratelli. C’era poi quanto Yosef diceva al padre circa i fratelli. La conseguenza è che i fratelli, senza mezzi termini, lo odiano, welò yakhelù dabberò leshalom.
Le traduzioni normalmente rendono questa espressione come: “non potevano parlare con lui pacificamente”, o “in termini amichevoli”, ma letteralmente, nota Rav Yehonatan Eybschitz, l’espressione significa che “non potevano parlare alla pace”. Cosa significa? Il Rav ne riferisce il senso al comandamento nella parasha di Qedoshim (Wayqrà 19,17), che impone di non odiare il proprio fratello in cuor proprio, di rimproverarlo e non portare peccato per lui. Nelle Hilkhot de’ot (6,6) Rambam intende questo comandamento in questo modo: quando una persona pecca contro un’altra, chi ha subito il torto non dovrebbe odiare l’autore dell’azione e tacere… Dovrebbe informare l’autore dicendogli “perché mi hai fatto questo? Perché hai peccato contro di me?”… se questo si pente dovrebbe perdonarlo. E’ molto semplice: se i fratelli avessero parlato con Yosef avrebbero potuto rivelargli i loro sentimenti, la loro rabbia per i suoi comportamenti che li mettevano in cattiva luce agli occhi del padre e per via della sua tunica, il loro senso di umiliazione per la preferenza di Ya’aqov verso Rachel a dispetto di Leah, atteggiamento che si è protratto anche dopo la morte di Rachel.
Yosef avrebbe potuto comprendere i loro sentimenti, magari sarebbe divenuto più modesto o quantomeno più attento. Ma non potevano parlare. Come dice il Ramban, chi odia tende a nascondere l’odio nel proprio cuore”. Qui troviamo una grande intuizione della Torah, che la conversazione è una forma di risoluzione dei conflitti, la rottura del dialogo è l’anticamera della vendetta violenta. Lo vediamo chiaramente nel libro di Shemuel (2Sam. 13,19-22) quando Avshalom, dopo due anni di silenzio, assassina Amnon, reo di aver disonorato sua sorella Tamar. E lo vediamo quando i fratelli di Yosef tramano per ucciderlo, vendendolo poi in schiavitù. Una storia terribile che ha influenzato la storia ebraica successiva. Il Talmud in Massekhet Berakhot (26a) usa l’espressione en sichah ellà tefillah – la conversazione non è altro che una forma di preghiera. Aprirsi ad un altro essere umano è la preparazione per aprirsi ad H. La conversazione in sé non risolve i conflitti. Chi si parla può ancora avere desideri contrastanti o diverse rivendicazioni. Possono semplicemente non piacersi. Non esiste un’armonia predeterminata fra gli esseri umani, ma parlare significa riconoscere l’umanità dell’altro, permette quantomeno di coglierne il punto di vista. Attraverso il confronto molti conflitti personali e politici si potrebbero risolvere. Per Yosef e i suoi fratelli il riconoscimento della loro umanità avvenne in maniera molto traumatica, e la Torah si dilunga molto a narrarcelo.
La dimensione linguistica è fondamentale nel’ebraismo. D. non può essere visto, ma solo sentito. D. crea il mondo con la parola. Adamo dà i nomi agli animali. Troviamo una preoccupazione costante per il linguaggio. Il pensiero occidentale è arrivato a questa considerazione molto più recentemente, ma molti degli sviluppi della filosofia del novecento sono legati all’ambito linguistico. I nostri maestri sono stati molto eloquenti circa i pericoli del lashon ha-rà. Il linguaggio usato male può distruggere relazioni, intaccare la fiducia e rovinare la buona volontà. Ma il silenzio spesso non porta risultati migliori. La storia di Yosef e dei suoi fratelli lo testimonia. Se i fratelli di Yosef fossero stati in grado di parlare forse le cose sarebbero andate diversamente. Le parole sono un ponte fra le anime, e sono il ponte fra gli esseri umani ed H. La rivelazione del dolore è il primo passo verso il suo risanamento. Parlare è il primo passo per raggiungere la pace.