Da una lezione di Rav Shabetai Sabato
In casa di Potifar Yosef portò un successo incredibile (Gen, 39, 3-4): “Vedendo il padrone che il Signore era con lui e che faceva riuscir bene tutti i suoi lavori, Giuseppe acquistò anche il favore di lui, che lo ammise al suo servizio personale”. Potifar non è tanto colpito dalle qualità di Yosef, ma dal successo in qualsiasi attività intraprenda. Da semplice schiavo, Yosef giunge a gestire tutte le attività di Potifar, tanto che quest’ultimo si disinteressa di tutti i propri affari, escluso “il pane che mangiava”, sua moglie.
Come faceva però il padrone a sapere che l’origine del successo di Yosef era H.? Evidentemente Yosef aveva premura di spiegare a tutti coloro che gli erano intorno che il suo successo non derivava dalle sue doti individuali ma dall’aiuto divino. Il riconoscimento da parte di Potifar, secondo Rashì, derivava dal fatto che Yosef ricordava continuamente il Nome divino. Allo stesso modo alla fine della parashah, quando Yosef si accinge a spiegare i sogni del coppiere e del panettiere, premette che (Gen. 40,8) “le interpretazioni appartengono a D.”, e ugualmente, nella parashah della prossima settimana, quando spiegherà i sogni del Faraone, Yosef dirà (Gen. 41,16): “non io! D. darà una risposta tale da far tranquillo il Faraone”. L’atteggiamento di Yosef richiama quanto dice il profeta Michah (6,8): “Uomo, il Signore ti ha detto che cosa è bene; e che cosa eEgli richiede da te se non che tu operi con giustizia, ami la bontà e proceda umilmente con il tuo D.? ”. Secondo la ghemarà in massekhet Makkot (24) sebbene le mitzwot siano 613, Michah ha posto tre principi fondamentali, sui quali tutte le mitzwot si basano: a) comportarsi con giustizia; b) amare la misericordia; c) essere modesti con H. e riconoscere il bene che ci ha fatto.
L’incontro fra Yosef e gli egiziani rappresenta il confronto fra scale di valori completamente differenti. Yosef aveva ricevuto un certo tipo di educazione nella casa paterna, si trova di fronte alla seduzione della moglie del suo padrone, e risponde in maniera confacente a quanto aveva appreso in precedenza: il mio padrone ha mostrato fiducia in me, affidandomi tutti i suoi affari. Come potrei tradire questa fiducia illimitata in questo modo, ripagando il bene con il male? Quando Yosef spiegherà i sogni del panettiere e del coppiere, si rivolgerà a quest’ultimo richiamando dei valori per lui praticamente incomprensibili. Infatti gli dirà (Gen. 40, 14.15): “Magari tu serbassi memoria di me quando starai bene, fossi così buono verso di me ricordandomi al Faraone e facendomi uscire da questa prigione! Perché sono stato rubato dal paese degli Ebrei e qui non ho fatto niente di male per cui mi dovessero chiudere in questo carcere”. Il discorso di Yosef non è minimamente incisivo, perché è fondato su valori come quelli della riconoscenza, della misericordia e del rifiuto delle ingiustizie, che per il coppiere sono assolutamente insignificanti, tanto che, dopo appena tre giorni (Gen. 40,23) “il capo dei coppieri, invece di ricordarsi di Giuseppe, lo dimenticò”. Ai suoi occhi Yosef era null’altro che “un ragazzo, ebreo, schiavo”. Non servono altre parole. Se Yosef si fosse espresso in modo diverso, e avesse detto ad esempio: “capo dei coppieri, sappi che per via della mia interpretazione, tu sei vivo e il tuo compare è morto! Ma fai attenzione, perché se non farai quanto ti dirò, anche tu farai la stessa fine del capo dei panettieri e ti impiccheranno! Se non ci credi, prova!”, il capo dei coppieri avrebbe compreso questa lingua, e temendo per il proprio destino si sarebbe ricordato di Yosef. Ma non andò così. Si dimenticò di Yosef sino al momento in cui la cosa gli poteva tornare utile, due anni dopo, quando il Faraone cerca un interprete per i propri sogni, fiutando la possibilità di ottenere una promozione. Dalla sua narrazione di quanto è avvenuto traspare una considerazione non troppo alta di Yosef (41,11-13): “in una stessa notte facemmo io e lui un sogno, ciascuno dei quali aveva una particolare interpretazione, era là con noi un giovane ebreo servo del giustiziere capo; gli raccontammo i sogni ed egli dette a ciascuno di noi due l’interpretazione del proprio sogno. La sua interpretazione si verificò…”. Il discorso del coppiere sottintende che gli eventi presero quella piega per via dell’interpretazione di Yosef, e che in generale i sogni seguono la loro interpretazione, nel linguaggio dei chakhamim “tutti i sogni vanno dietro la bocca”. Bastava quindi convincere Yosef a fornire una spiegazione benevola ed il gioco era fatto! Al contempo il coppiere avrebbe ottenuto la benevolenza del Faraone. Ma Yosef, visti i precedenti, questa volta si mostra più furbo. Dopo avere spiegato il sogno infatti pensa al proprio interesse, e lo fa in modo comprensibile al Faraone (Gen. 41,33): “il Faraone dunque provveda un uomo intelligente e saggio e lo ponga a capo della terra d’Egitto”. Il cambiamento di codice questa volta ha successo, e Yosef finalmente esce di prigione.