I sogni di Yaakov che ci vengono riportati dalla Torà hanno incuriosito nel corso dei secoli molti Chachamim. Nel sogno descritto nella Parashà di Vayetze, i Chachamim hanno notato che gli angeli “salgono e scendono la scala” (Bereshit 28:12), suggerendo quindi che abbiano avuto origine sulla terra. Cosa fanno tutti questi angeli sulla terra? Questa settimana, nella Parashà di Veyeshev, possiamo trovare una risposta.
Yosef viene inviato da Yaakov a trovare i suoi fratelli, ma Yosef non riesce a trovarli e sembra vagare senza sapere quale direzione seguire. La Torà scrive: “Un uomo lo trovò mentre vagava nei campi. L’uomo gli chiese: cosa stai cercando?” (Bereshit 37:15). Quando Yosef dice all’uomo che sta cercando i suoi fratelli, l’uomo risponde di averli sentiti dire che erano diretti a Dothan, dove Yosef in effetti li trova. Il dramma vissuto da quel momento – la vendita di Yosef, la schiavitù e la redenzione – sembra imperniarsi su questo incontro fortuito in mezzo ai campi con uno sconosciuto. Come può qualcosa di una portata simile come la venidta di una persona, la schiavitù, la redenzione, essere accidentale?
Rashi spiega che lo sconosciuto descritto dalla Torà era un angelo. Ibn Ezra rileva che secondo il significato semplice del testo (peshat) lo straniero era un “passante”. In ebraico la parola per descrivere un angelo è “malach”, termine che può assumere il significato anche di messaggero. Quale messaggio ha portato questo sconosciuto che potrebbe averlo portato ad essere considerato un angelo? La spiegazione più ovvia è che questo incontro servisse semplicemente a mettere in contatto Yosef con i suoi fratelli, ma sotto questo episodio c’è un’implicazione più profonda che determina il destino di Yosef e non solo il suo. Se leggiamo nella Torà possiamo notare come spesso, quando viene descritto un incontro con un angelo, si tratta di un’esperienza apparentemente normale. Quando Avraham e Lot vedono gli angeli, non si spaventano né si stupiscono. Apparentemente gli angeli non compaiono come potremmo pensarli nell’immaginario collettivo, ma come esseri dalle sembianze umane. Cosa distingue allora un angelo da un essere umano? Questa incertezza si acuisce quando notiamo che alcuni personaggi che sono indiscutibilmente esseri umani sono chiamati angeli. Il profeta Chaggai, una volta ricevuto l’incarico di navì, è chiamato “malach di D-o” (Chaggai 1:13). Il profeta Malachi porta nel suo nome stesso il nome di un angelo – in altre parole, messaggero di D-o. Quindi l’uomo che indirizza Yosef a Dothan è un angelo o un essere umano?
Il Ramban combina gli approcci di Rashi e di Ibn Ezra per insegnarci che gli esseri umani possono in realtà assurgere al ruolo di angeli quando portano il messaggio di D-o. Ramban sottolinea che Yosef, vagabondo e perso nel campo, avrebbe potuto rinunciare al suo compito, abbandonare tutto e tornare a casa, ma la sua determinazione nel portare a termine la missione affidatagli da suo padre si combina al ricevimento di un messaggio destinato proprio a lui al momento giusto, portando la storia sui binari che avrebbe dovuto seguire da lì in poi. Il messaggio ricevuto da Yosef è, tuttavia, più profondo rispetto ad un dito puntato nella direzione di Dothan. Le parole che vengono usate dall’uomo descritto nella Torà sono: “Cosa stai cercando?” (Bereshit 37:15). Il Rebbe di Kotzk commenta queste parole sottolineando che l’angelo sta insegnando a Yosef che quando si è incerti, persi e perplessi nell’anima, la prima priorità è capire cosa si cerca. Spesso ci lasciamo persuadere dall’impulso del momento. Un messaggero di D-o non rappresenta uno stato d’animo passeggero o un momento effimero, ma ciò che rimane vero. Yosef avrebbe potuto essere pronto a tornare indietro, a rinunciare alla sua missione, ma sentì che il suo desiderio più profondo era semplicemente compiere il destino per cui era stato scelto, indipendentemente dalle difficoltà che ciò avrebbe comportato. La capacità di guardare oltre il momento immediato è una caratteristica che accompagna la vita di Yosef fin dal suo arrivo in Egitto. Al servizio di Potifar, figura di spicco nella società egiziana dell’epoca, resiste alle seduzioni della moglie, sapendo che soccombere significherebbe tradire il suo padrone e i suoi valori personali. In prigione impara a interpretare sogni diversi dai suoi, quelli delle persone che sono incarcerate con lui e, successivamente, quelli del Faraone.
Raggiunta una posizione di potere in Egitto, grazie alla corretta interpretazione dei sogni del Faraone, riesce ad avere uno sguardo nel futuro e a pianificare la prosperità del paese per permettere poi la sopravvivenza in tempo di carestia. In tutte queste occasioni la domanda dell’angelo – “cosa stai cercando?” è adatta, pertinente e potente. Tramite questa domanda, apparentemente banale, l’angelo ci ricorda di guardare oltre il momento immediato, oltre l’oggi e subito, verso ciò che apprezziamo e che pensiamo possa essere profondo e duraturo.
La prima domanda riportata nella Torà è “ayekka?” – Dove sei? La domanda dell’angelo è: Dove sei diretto? Nel loro insieme, queste domande formano i gradini di una scala spirituale sulla quale noi dobbiamo salire. Queste due domande rappresentano la guida per ognuno di noi, soprattutto in una società come quella odierna dove tutto è sempre più veloce, dove sempre di più siamo spinti ad ottenere immediatamente quello che vogliamo, senza interruzioni, subito. La Torà ci insegna che soprattutto per le cose più importanti nell’ambito spirituale e materiale, queste due domande sono fondamentali.