Alla base della Torah vi sono due valori fondanti: il Timore e l’Amore. Chi precede chi? Normalmente si ritiene che il Timore (sur me-ra’, “allontanati dal Male”, dice il Salmista – Tehillim 34,15) preceda logicamente l’Amore (wa-‘asseh tov, “e fa’ il Bene”, nel seguito dello stesso versetto). Ma è anche vero che ogni mattina preghiamo nell’ordine inverso, dicendo: we-yachèd levavenu leahavah ule-yir’ah et Shemekha, “unisci il nostro cuore nell’amare e nel temere il Tuo Nome”. Prima “amare” e poi “temere”. Come spiegare la cosa?
Grande è il Midrash che in alcuni casi giunge persino a contraddire se stesso, allo scopo di mostrarci aspetti diversi del medesimo argomento. Riguardo ai primi versetti della ns. Parashah in cui è descritto Avraham ns. Padre seduto sulla porta della sua tenda in attesa di ospiti nell’ora più calda del giorno il Midrash dà almeno tre versioni diverse sull’esatta dinamica dell’accaduto. La questione nasce dal fatto che nel primo verso è scritto che fu D. stesso ad apparirgli, mentre nel secondo è scritto: “vide ed ecco tre uomini erano presenti presso di lui”. Secondo un’opinione nella Ghemarà (cfr. Shevu’ot 35b) Avraham capì che si trattava di angeli e il nome di D. nel primo verso è semplicemente riferito a loro. Ma ci soffermeremo qui sulle altre due interpretazioni, in base alle quali Avraham ricevette due diverse visite. Secondo la Massekhet Derekh Eretz Rabbà (cap. 4) Avraham chiese ai tre uomini di farsi momentaneamente da parte perché D. meritava senz’altro la precedenza. Secondo la Ghemarà Shabbat (127a), infine, Avraham avrebbe invece osato fare il contrario: pregò D. di farsi momentaneamente da parte finché avesse accomodato gli altri ospiti, per insegnarci che “l’ospitalità ha la precedenza persino sull’accoglienza da darsi alla Shekhinah”. Insomma, se arrivano degli ospiti, anche D. può attendere.
Il No’am Elimelekh dà di tutto quanto l’episodio un’interpretazione allegorica: si riferirebbe ai giorni della settimana. Egli parte da un’affermazione della Ghemarà Ta’anit (8b): shèmesh be-Shabbat tzedaqah la-‘aniyim, “se c’è il sole di Shabbat è un atto di carità verso i poveri”, in quanto non hanno bisogno di molti abiti festivi per coprirsi come viceversa in caso di pioggia. La frase del Talmud –scrive- può anche essere interpretata in modo del tutto diverso. Se, con un certo ardimento, dicessimo che lo Shabbat e il Giusto sono la stessa cosa, essa potrebbe alludere proprio alla nostra Parashah e riferirsi ad Avraham descritto nell’atto di accogliere i viandanti nell’ora del giorno in cui il sole splende più forte! E se nei nostri versetti Avraham (o forse D. stesso) è lo Shabbat, perché non dire che i tre viandanti simboleggiano a loro volta tre diversi giorni della settimana? In sintesi, arriveremo a dire che come Avraham il Giusto è impegnato a rifocillare i tre uomini, così lo Shabbat ha la funzione di illuminare gli altri giorni della settimana. Ma se così stanno le cose, perché si alluderebbe non a tutti gli altri sei giorni della settimana, bensì a tre soltanto? E se tre, quali?
E’ noto che nella scansione ebraica della settimana convivono nella nostra coscienza due metodologie diverse. Una è ovvia: lo Shabbat è collocato all’estremità della settimana, punto di arrivo e di partenza contemporaneamente. Vi sono halakhot che seguono questa suddivisione: p. es., la lettura delle Parashot. Al pomeriggio di ogni Shabbat leggiamo già i primi versi della Parashah della settimana che sta per cominciare, i quali vengono ripetuti il lunedì e il giovedì mattina e trovano poi compimento al mattino dello Shabbat successivo in cui leggiamo per intero quella Parashah e così via. La settimana vista in questo modo ha un inizio e una fine: è dotata cioè di un andamento lineare-progressivo, che alcuni definiscono mentalità essenzialmente maschile (cfr. Rav Soloveitchik, Ish u-Beytò, p. 146-147 e a.). Ma vi è nella nostra coscienza anche una scansione differente dei giorni della settimana, per cui questa ha inizio il mercoledì e termina il martedì successivo: lo Shabbat è qui collocato al centro dei giorni e tutti gli altri gli ruotano intorno. Una halakhah legata a questa visione prevede che chi abbia dimenticato o non abbia potuto compiere la Havdalah a Motzaè Shabbat ha tempo di recuperarla fino al tramonto del martedì. Non più tardi di così, perché a quel punto si uscirebbe dalla sfera di influenza dello Shabbat trascorso e si entrerebbe definitivamente in quella dello Shabbat successivo. La settimana vista in questo modo è dotata di un andamento ciclico, che alcuni associano alla mentalità femminile.
Il No’am Elimelekh si spinge oltre su questa visione e afferma che i tre giorni che precedono lo Shabbat, ovvero mercoledì, giovedì e venerdì sono giornate preparatorie e quindi sotto il segno del Timore (di sbagliare?) che costituisce il primo passo per accostarsi a D., mentre i tre giorni successivi allo Shabbat domenica, lunedì e martedì beneficiano dei doni dello Shabbat appena trascorso e quindi sono sotto il segno dell’Amore. Ma aggiunge anche che se noi affrontiamo la scansione della settimana nell’altro modo cominciandola dalla domenica, ecco che l’Amore precede il Timore, scompaginando ogni senso logico apparente: su questo torneremo. Se dunque l’episodio di Avraham con i tre viandanti può essere letto come un’allegoria del rapporto dello Shabbat con gli altri giorni della settimana, i conti tornano: il Midrash per cui D. ebbe la precedenza sui tre viandanti allude alla visione lineare (maschile) in cui lo Shabbat è all’inizio della settimana e l’Amore è al servizio del Timore; il Midrash per cui i tre viandanti ebbero la precedenza su D. allude alla visione ciclica (femminile) della settimana in cui lo Shabbat è preceduto dai tre giorni mercoledì, giovedì e venerdì dedicati al Timore e il Timore è al servizio dell’Amore.
C’è un contesto preciso in cui la Torah tratta del Timore e dell’Amore e li mette espressamente in relazione con lo Shabbat. Si tratta dei due versetti in cui si parla del nostro rapporto con i genitori: nei Dieci Comandamenti (“Ricorda il giorno di Shabbat per santificarlo… Onora tuo padre e tua madre”) e all’inizio della Parashat Qedoshim (“Ognuno tema sua madre e suo padre e osserverete i miei Shabbatot” – Wayqrà 19,3). Le differenze che rileviamo fra questi due contesti sono tre: 1) nei Dieci Comandamenti prima si parla dello Shabbat e subito dopo dei genitori, mentre in Qedoshim si parla dei genitori e subito dopo dello Shabbat; 2) nei Dieci Comandamenti si parla dell’onore dovuto ai genitori, che corrisponde alla forma di Amore concreto loro dovuto, mentre in Qedoshim si parla del Timore dei genitori. Se lo Shabbat è fonte di Amore per eccellenza, è logico che se ne parli prima dell’Amore dovuto ai genitori; così se lo Shabbat è il risultato del Timore, è logico che si parli dello Shabbat dopo che si è parlato del Timore dei genitori; 3) contro ogni logica apparente nei Dieci Comandamenti dove si parla dell’Onore/Amore è menzionata prima la figura maschile, il padre e poi la madre, mentre in Qedoshim dove si parla del Timore è menzionata prima la figura femminile, la madre e poi il padre (su questa inversione logica si soffermano i commentatori).
Il richiamo è chiaro. Timore e Amore sono due lati della stessa medaglia anche nella vita famigliare. Il Timore è per lo più percepito come un attributo legato alla figura paterna, mentre all’inverso l’Amore è per lo più percepito come un attributo legato alla figura materna. Ma la Torah ci insegna che il Timore del Padre non si realizza se non è introdotto da una buona dose d’Amore, così come l’Amore della Madre non si realizza se non è introdotto da una buona dose di Timore. La crisi dell’istituto della famiglia nella nostra epoca può essere legato ad una eccessiva specializzazione, che ci porta proprio a volere scindere i due aspetti. Privilegiando il Timore ad ogni costo si finirà per sopprimere i buoni sentimenti; all’inverso privilegiando l’Amore in tutto e per tutto si finirà per sopprimere il rispetto reciproco che non è meno importante nel legame famigliare come in ogni altro genere di legami.
Ma non si devono neppure mescolare Timore e Amore al punto di confondere le parti. I nostri Maestri ci insegnano che è tutta questione di organizzare il proprio tempo e ci suggeriscono una disciplina: i giorni che precedono lo Shabbat ci invitano a riflettere sull’importanza del Timore, mentre quelli che seguono lo Shabbat ci invitano a riflettere sull’importanza dell’Amore. L’alternanza di queste riflessioni illumina la nostra settimana in cui siamo chiamati a valorizzare ogni volta un aspetto senza mai perdere di vista l’altro. E al centro di tutto il dono più grande: lo Shabbat, punto di incontro del Timore in arrivo e dell’Amore in partenza (Shamor we-Zakhor!). Lo Shabbat, che la famiglia ebraica tutela da secoli. Lo Shabbat, che tutela la famiglia ebraica da secoli. Per questo ci diciamo: Shabbat Shalom.