Rav Shlomo Riskin – Efrat, Israele – 5763 (2002-2003) – Tradotto da Dany e Giulio Barki
Ogni anno torniamo alla terribile e incredibile storia del sacrificio di Isacco e siamo colpiti dalla stessa domanda angosciante: come ha potuto l’Onnipotente comandare un atto così terrificante per un padre, come ammazzare (sacrificare?) il proprio figlio? E come ha potuto Abramo accettare il comandamento senza un minimo di discussione? Dopo tutto, si tratta dello stesso Abramo che ha discusso per conto della gente malvagia di Sodoma e Gomorra, facendo le proprie rimostranze contro un’ingiustizia Divina: “sia lontano da Te (oh D-o) fare ciò, distruggere le virtù assieme alle malvagità. Può il Giudice dell’intera terra fare un atto di ingiustizia?” (Genesi 18:25). E nel nostro episodio, in aggiunta alla ovvia innocenza di Isacco, c’è l’argomento relativo alla promessa Divina: “Attraverso Isacco sarà chiamata la tua discendenza (letteralmente: il tuo seme) (Genesi 21:12). Qual’è il vero significato dell’ordine di D-o e come possiamo capire nel migliore dei modi la mancata protezione di Isacco da parte di Abramo?
Rav Yosef Ibn Kaspi suggerisce di non discostare il dialogo tra D-o e Abramo dal contesto dell’antico Vicino Oriente, dal quale proviene e nel quale ha le sue origini – almeno in prima istanza. Abramo viveva in un mondo di idolatri dove si sacrificavano bambini, dove un dio assetato di sangue, Molech, domandava ai padri di dimostrargli la loro fedeltà portando i propri bambini al suo altare ardente (tragicamente questa antica e cruenta forma di idolatria è ritornata furiosamente nel Medio Oriente dei giorni nostri, in cui dei padri palestinesi insegnanti e predicatori, incoraggiano i figli non solo a farsi saltare in aria in una pioggia di fuoco di esplosivo, ma anche a coinvolgere nelle fiamme innocenti madri e bambini Israeliani). Pertanto Abramo quasi si aspettava la voce Divina che comandava “Porta tuo figlio, tuo unico figlio, quello che ami, alla terra del Moriah, e offrilo in olocausto” (Genesi 22:2). E dato il clima di fanatismo religioso del Medio Oriente, il silenzio consenziente di Abramo è quello che ci si aspetta da un uomo di fede.
Da questa prospettiva, la vera prova arriva con il secondo comandamento di D-o, proprio nel momento cruciale in cui Abramo ha spinto avanti la sua mano e ha preso il coltello per uccidere suo figlio. Il deus ex machina arriva sottoforma di un angelo di D-o dal cielo, urlante, “Abramo, Abramo, non mandare avanti la tua mano sul ragazzo, e non fargli male; adesso so che temi D-o e che non Mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio.” (Genesi 22:10-12). Ibn Kaspi sosterrebbe che il significato di questo evento Biblico sta nell’insegnare a non sacrificare i figli, nel mostrare come qualitativamente differenti siano le richieste di un D-o amante della vita e della pace da quelle crudeli e sanguinose di Molech e dei suoi seguaci fondamentalisti islamici. E per questo commentatore Biblico, Abramo supera effettivamente questa prova quando obbedisce al secondo comandamento dell’angelo, come indica la fine dell’ultimo verso che ho citato che forse va tradotto “adesso so che temi D-o e che non hai cancellato (hasokh può essere ben tradotto dicendo cancellato, portato via, reso assente giustificato) il tuo unico figlio, a causa Mia [il mio primo comandamento]” (Genesi 22:12).
In larga misura, Rashi sembra essere in fondamentale accordo con la posizione di Ibn Kaspi, quando cita il midrash che insiste sul fatto che l’Onnipotente non ha detto (ad Abramo) che avrebbe dovuto sacrificare Isacco, perché il Santo Benedetto Egli Sia non voleva che Abramo lo sacrificasse, ma solo che lo portasse in cima alla montagna in meditazione “e per poi portarlo giù” (Rashi su Genesi 22:2). Evidentemente per Rashi la volontà Divina ideale è per il figlio di Abramo di vivere nelle le leggi di D-o con costante impegno, e non morire per queste in un atto di martirio fine a sé stesso.
Ma se le cose stanno veramente così, se Ibn Kaspi ha ragione, allora perché l’iniziale formulazione del comando Divino sembra così categorica, e, se Rashi ha ragione, perché le parole sono così ambigue? Dopo tutto, D-o non sembra dire “Prendi adesso tuo figlio” e portalo là in alto come una olah, genericamente tradotto come un’unica offerta di sacrificio? Credo che la risposta stia nel fatto che quando la Torah parla dell’antico Vicino Oriente, intenda anche le successive generazioni – e le pagine di storia Ebraica sono macchiate di sangue e inzuppate di lacrime, di quantità di padri che hanno dovuto vedere i propri figli, ai tempi delle persecuzioni, andare incontro a delle morti crudeli per far sì che l’Ebraismo e la nazione Ebraica sopravivessero – e in fin dei conti, prevalessero. Infatti, perfino nella nostra generazione, noi in Israele siamo testimoni di centinaia di genitori che sono obbligati a cambiare l’ordine naturale del mondo e a seppellire i loro figli, sacrificati in una guerra crudele perpetrata da un nemico assetato di sangue che è dannatamente determinato nella nostra distruzione.
Il Talmud parla di una storia straziante riguardante una donna i cui sette figli erano stati assassinati da Cesare perché si erano rifiutati di inchinarsi a un idolo. La madre, distrutta, urlò loro “Figli miei, andate e dite ad Abramo, vostro patriarca, che lui si è sacrificato davanti a un altare, mentre io mi sono sacrificata davanti a sette altari”. Dopodiché la madre si buttò giù dal tetto e morì. Una voce scese dal cielo urlando “la madre dei figli prova diletto” (B. T. Gittin 57b). Per molti genitori che affrontano l’agonia di vedere le vite dei propri figli spegnersi in nome di D-o, il loro modello Biblico di genitore che ha passato l’esame di una sfida come questa, è Abramo, in riferimento al significato letterale del primo comandamento di D-o.
Infatti, questo modello di Abramo era così potente che c’è perfino un’antica interpretazione basata sul fatto che Abramo avesse effettivamente ucciso Isacco e che D-o gliel’avesse riportato in vita. Rabbi Abraham Ibn Ezra fa riferimento a questa interpretazione nel suo commento al verso “E Abramo ritornò al ragazzo” e “Abramo dimorò a Be’er Sheba” (Genesi 22:1), dove scrive “Isacco non è menzionato, perché era ancora sotto la giurisdizione di Abramo”. Perciò chi dice che Abramo lo ha ucciso, lasciato e dopo rivisto tornare in vita, sta dicendo l’opposto di quello che il testo insegna. Tuttavia, il Midrash Hagadol asserisce che D-o ha portato Isacco all’Eden per tre anni – fino a quando è tornato sulla terra per sposare Rebecca – e le Slichot Ashkenaz deil mattino prima di Rosh Hashana fanno riferimento alla “cenere di Isacco sull’altare che costantemente invoca la misericordia Divina” (Mordechai HaMechaber).
La storia della akedah è complessa – e insegna molte cose. Noi ne impariamo una per tutte: a non considerare il martirio, perché il nostro D-o desidera che noi viviamo e non che muoriamo, ma, d’altra parte, se non c’è altra scelta, dobbiamo rinunciare alle nostre vite per le richieste Divine e agli eterni impegni che sono più importanti di qualsiasi vita individuale.
Shabbat Shalom.