Stefano Levi Della Torre – Saggista
Qui si tratta di messa in prova , di collaudi reciproci dell’umano e del divino. Ha Shem scende, va a trovare Avraham convalescente dalla circoncisione, a cui è giunto in vecchiaia. Il Santo, benedetto sia,venne a informarsi del suo stato: questo insegna che è cosa buona visitare gli infermi. (Rashi, a 18,1). Ma si può intendere che la convalescenza di Abramo significhi anche la sua elaborazione della milà, a quali situazione spirituale, a quali relazioni col divino quella menomazione fisica e simbolica lo introduca. Non lo sa Ha Shem? Ha bisogno di andarlo a constatare di persona “scendendo”? Lo aveva fatto anche per laTorre di Babele, e lo farà di nuovo per Sodoma ( Rashi, a 18,21), per dare un esempio a quel che devono fare i giudici nei casi importanti su cui sono tenuti ad indagare da vicino, di persona.
La situazione non è deterministica, ma probabilistica: c’è di mezzo l’autonomia umana, il libero arbitrio, l’elaborazione personale circa il senso della propria milà. Ed ecco, la scena che subito segue si involve anch’essa nell’indeterminazione: i tre viandanti stanno venendo da Abramo o sono da lui fermati per il suo desiderio di ospitare? O meglio, per la sinergia tra la loro missione e il desiderio di Avraham di riceverli? La sinergia tra l’alto e il basso, la turbolenza tra diverse dimensioni è tema importante e ricorrente nella Torà. E i tre viandanti sono uomini, oppure, angeli, funzioni del divino? Essi sono come iridescenti, cangianti dall’una all’altra dimensione e natura, come l’ “angelo” in lotta con Giacobbe (in Genesi 32. 23-33), che è un ish, un uomo, ma nel midrash trasfigura in “principe” di Esaù, e poi in un malach, un angelo , e poi è anche in Ha Shem, che non comunica il Nome ma impone un altro nome, Israele, a Giacobbe, lasciandolo menomato all’anca: quell’ “uomo” che lotta con Giacobbe nella notte è tramite tra dimensioni radicalmente diverse, tra il finito e l’infinito. Così le tre figure accolte da Abramo, trasfigurano da viandanti bisognosi di cibo in angeli ciascuno con una sua missione, poi in Dio, e poi di nuovo in uomini a cui è opportuna la protezione di una scorta (Rashi, a 18,16).
Dei tre ospiti di Abramo, l’uno annuncerà la morte (di Sodoma), l’altro la vita ( la nascita di Isacco), il terzo la salvezza (la guarigione di Abramo, la salvazione di Lot da Sodoma). Ora, il primogenito Ismaele era stato concepito con Agar da un Abramo ancora incirconciso, mentre Isacco sarà l’ “unigenito” perché concepito con Sara da Abramo circonciso; da un patriarca centenario e una Sara novantenne, diventati fecondi in virtù di un’annunciazione, Per questo è in Isacco il futuro promesso ad Abramo e a Sara: in Isacco le loro generazioni future, le loro toledot fisiche e spirituali.
A quell’annuncio di fecondità Sara pensa che suo marito sia troppo vecchio e che anche lei lo sia, e coinvolge l’impotenza di lui con la propria “per gentilezza” di coppia, per garbo verso il marito (Rashi, a 18, 13). Dell’annuncio di un parto Sara, ritirata umilmente al riparo della tenda: come credere all’inverosimile previsione di un viandante se non sa vedere in lui un messaggero divino? (Rashi, a 18, 14). “Non ho riso” mente Sara per timore (Rashi, a 18, 15); ”Sì hai riso” la smentisce l’ospite, come fosse Colui che tutto vede, tutto ascolta e tutto può: gentilezza, modestia, incredulità, timore di Sara, messa alla prova dell’ annuncio di un evento sempre sperato ma umanamente impossibile.
La morte, la vita, la salvezza annuncia rispettivamente ciascuno dei tre ospiti. Com’è detto “ Io sono Colui che forma la luce e crea l’oscurità, che fa pace e crea il male”. (Isaia 45, 7). Così dice il Signore: “Io chiamo a testimoni per voi oggi i l cielo e la terra; Io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita” (Deut. 30, 19). Ora la vita non è “il bene”, perché ogni vita consuma di necessità altre vite e se ne nutre; la vita è invece un percorso accidentato tra il bene e il male, e la cosideriamo“bene” per approssimazione, se il positivo prevale anche di poco sul negativo Ma se il Signore non è “il signore del bene”, ma “il Signore del bene e del male” come Esso stesso dice di Sé, è però il signore della giustizia, la quale appunto gestisce il tormentoso rapporto tra il bene e il male. Su questo Lo impegna Abramo, Lo mette alla prova: “A Sodoma distruggerai il giusto (zaddik ) con i colpevole (rash’ah)? Distruggerai il giusto pur di distruggere il colpevole o risparmierai il colpevole per non punire l’innocente insieme con lui?” . “Non distruggerò la città per rispetto degli innocenti”, dice il Signore, e si mostra paradossalmente più umano di molti umani ai nostri giorni, che pensano sia bene sterminare migliaia di innocenti pur di uccidere i colpevoli loro concittadini: nella distruzione di città sono di parere opposto ad HaShem. E qual è la quantità di giusti che può salvare una città colpevole? Cinquanta? Oppure quarantacinque? O trenta, o venti, o dieci, il minimo per poter costituire una comunità di innocenti? “Se sono anche solo dieci, non distruggerò la città per rispetto di quei dieci”, dice il Signore, È l’ultima parola di HaShem e Abramo ora sa che Sodoma è perduta.
Così si sono misurati reciprocamente il Signore e Abramo. In che modo il Signore ha messo alla prova Abramo? Annunciandogli il castigo di Sadoma (18, 18-19) Signore disse: posso io tener celato ad Abr ciò che sto per fare mentre egli dovrà divenire una nazione e potente…operando carità e giustizia, zedaqà ve mishpat ( Rashi 18, 19), e Abramo ha superato la prova, investendosi del problema dei giusti e degli ingiusti, dimostrandosi in grado di essere Abraham, cioè “padre dei popoli” e maestro di civiltà. E in che modo il Signore si è rivelato all’altezza (ki viachol, se così si potesse dire) della rispettosa provocazione di Abramo? Affermando che è meglio non annientare il male pur di salvare il bene convivente col male.