צֶדֶק לָבַשְׁתִּי וַיִּלְבָּשֵׁנִי
Iyov 29, 14: “Mi sono rivestito di giustizia ed essa mi vestì”.
Perché in Tehillim 23 e 29 è scritto Mizmor le-David, mentre nel capitolo 24 è detto invece Le-David Mizmor? Ci sono casi in cui l’abito è degno della persona che lo indossa e altri casi in cui piuttosto la persona è degna del proprio abito. Nel nostro specifico si verificano entrambe le condizioni: la dignità è reciproca. L’alternanza ci insegna che ciascuno dei due è all’altezza dell’altro. David era degno di comporre i Tehillim, come i Tehillim erano degni di essere composti dal re David.
וַיֵּרָא אֵלָיו הֹ’ בְּאֵלֹנֵי מַמְרֵא וְהוּא יֹשֵׁב פֶּתַח הָאֹהֶל כְּחֹם הַיּוֹם
Bereshit 18, 1: “E apparve a lui H. nelle querce di Mamrè mentre egli stava seduto sulla porta della tenda nell’ora più calda del giorno”.
Quanto siamo venuti dicendo spiega perché nel primo versetto della Parashah Avraham (cui allude il pronome “a lui”) è scritto primache sia menzionato il Nome di D., soggetto della frase. Ci saremmo aspettati l’inverso, per rispetto della grammatica, ma soprattuttoin onor di D. Ebbene, allorché D. prescrive una Mitzwah all’uomo gli manifesta la Sua dignità e autorità; ma quando l’uomo la esegue avviene l’inverso: è l’uomo stesso a rivelare la propria dignità davanti a D. e ha, per così dire, diritto di precedenza.
Lo stesso discorso può essere esteso dall’ambito beyn adàm la-Maqom (“fra l’uomo e D.”) all’ambito beyn adàm la-chaverò (“fra l’uomo e il suo prossimo”). Quale Mitzwah osservava in quel momento Avraham nostro Padre? L’ospitalità o, più generalmente, l’assistenza del prossimo nelle sue necessità. Ci si può domandare: chi dei due è degno dell’altro, chi dà o chi riceve?
כחם היום. הוציא הקב”ה חמה מנרתיקה שלא להטריחו באורחים, ולפי שראהו מצטער שלא היו אורחים באים, הביא מלאכים עליו בדמות אנשים
Rashì ad v.: “Nell’ora più calda del giorno”: Il S.B. fece uscire il sole dalla sua custodia in modo da non affaticarlo con ospiti. Ma dal momento che lo vide dispiaciuto del fatto che non si presentavano ospiti, gli recò degli angeli in sembianze umane.
Rashì spiega che l’annotazione finale del versetto “nell’ora più calda del giorno” vuole mettere particolarmente in risalto la disponibilità di Avraham Avinu a dare. La condizione climatica sfavorevole ai viandanti era stata voluta affinché il Patriarca potesse meglio concentrarsi sulla soddisfazione delle esigenze di ospiti davvero particolari. Altri commentatori ci danno un’idea diversa. Rashbam, Chezqunì e Abrabanel sono fra coloro che sostengono che a metà giornata gli ospiti non sono ancora stanchi e dunque si presentano con meno necessità. E’ così affermata anche la dignità del ricevente, che può richiedere non perché ha effettivamente bisogno, ma solo per fornire alla controparte l’opportunità di dare. Dignità reciproca, dunque.
Si può attribuire all’espressione “nell’ora più calda del giorno”, peraltro, un’ulteriore interpretazione. Non in chiave astronomica, climatica o meteorologica, bensì storico-politica. Si tratta di una situazione contingente che lascia una parte di noi in uno stato di necessità pressante. E’ il momento in cui tocca all’altra parte, quella meno pressata, intervenire e aiutare. Stiamo vivendo un momento storico difficile, è “l’ora più calda del giorno” per i nostri fratelli in Terra d’Israel. E’ compito nostro della Diaspora correre in aiuto dei nostri fratelli. In che modo?
La parola ebraica (ke-chom, “nell’ora più calda”) è scritta con tre lettere: rispettivamente kaf, chet e mem. Ciascuna può fornirci una scheda mnemonica se le consideriamo iniziali di altrettante parole.
La kaf è iniziale di kessef (“denaro”). Dobbiamo intervenire a sostenere sul piano finanziario non solo le strutture militari e le organizzazioni di primo soccorso, ma in genere l’economia di un paese che in questo momento versa in ginocchio. Le università non hanno mai potuto cominciare il nuovo anno accademico perché molti studenti sono al fronte e per analogo motivo tante imprese languono. Senza parlare del turismo, risorsa vitale per Israel, che resterà bloccato nella migliore delle ipotesi per mesi, se non per anni.
La chet è iniziale di chessed (“atti di bontà”). E’ l’assistenza che diamo al prossimo non solo aprendo il portafogli, ma con la nostra persona. Come Avraham Avinu, diamo ospitalità e ricetto agli Israeliani che bussano alle nostre porte, aiutiamoli a trovare una sistemazione עַד יַעֲבָר זָעַם “finché passa l’ira Divina” (Yesha’yahu 26, 20).
Infine la mem è iniziale di mitzwot. E’ indispensabile rafforzare la nostra identità ebraica e le nostre istituzioni, partecipare più intensamente alla vita delle Comunità in cui viviamo. Per quanto siano geograficamente distanti da Eretz Israel, la loro natura è la stessa e rinforzando noi stessi e le Comunità rinforziamo idealmente la terra d’Israel. Cerchiamo di compiere più Mitzwot, di frequentare il Bet ha-Kenesset dove possiamo pregare per la guarigione dei feriti e per il rapido, sano e salvo ritorno a casa di coloro che mancano all’appello. Impegniamoci maggiormente nello studio della Torah. Noi Ebrei siamo garanti l’uno per l’altro: chi non ha la possibilità di acquisire meriti in proprio lo può fare attraverso la forza e l’iniziativa altrui.
Ke-chom ha il valore numerico di 68, pari a quello della parola chayim (“vita”). Ciò ci permette di collegare l’espressione כְּחֹם הַיּוֹם “ke-chom ha-yom” a un altro versetto:
וְאַתֶּם הַדְּבֵקִים בַּהֹ’ אֱלֹקיכֶם חַיִּים כֻּלְּכֶם הַיּוֹם
Devarim 4, 4: E voi che aderite a H.D. vostro siete tutti vivi in questo giorno (chayim… ha-yom).
Noi Ebrei siamo tutti membri di un solo organismo e quando soffre una parte anche l’altra ne risente. Dobbiamo sentire i nostri fratellidi Eretz Israel come appartenenti tutti alla stessa famiglia. La nostra capacità di resilienza, come si dice oggi, è grande. Avraham agiva nel concreto, con le sue sole forze. Non poteva contare, dice Abrabanel, neppure sui suoi servi in quel momento, perché erano tutti quanti reduci dal Berit Milah. Noi oggi dobbiamo saper fare lo stesso, da una parte sfidando chi ci odia (e continuerà a farlo), dall’altra sorpassando chi ci commisera. Di un sentimento, come dell’altro, la nostra dignità non ha alcun bisogno.