La Parashà di Vayerà è ricca di eventi. Due di questi eventi fungono da drammatici segnalibri all’interno di questa Parashà: La distruzione delle città di Sedom e Amora e l’Akedat Yitzchak (la legatura di Yitzchak). Avraham reagisce al primo di questi eventi in modo conforme a quanto ci aspettiamo. Incapace di accettare una realtà per lui inaccettabile, discute, dibatte e lotta con D-o, determinato a fargli cambiare idea. Quando tuttavia si confronta con il comandamento di sacrificare suo figlio, troviamo un Avraham silenzioso e obbediente. Perché Avraham reagisce alla sfida dell’Akeda con un silenzio assordante? Dov’è l’Avraham che abbiamo imparato a conoscere, l’uomo che non è disposto ad accettare il mondo così com’è, l’uomo che, a differenza di Noach prima di lui, lotta e discute con il suo Creatore in ogni fase della sua vita?
Chiaramente incuriositi dall’apparente silenzio di Avraham di fronte all’Akeda, i Chachamim di tutte le epoche, nel Midrash e oltre, colmano le lacune del testo della Torà arrivando ad affermare che, almeno internamente, Avraham non era affatto silenzioso ma, al contrario, era terribilmente lacerato dal compito che lo attendeva. Non si tratta solo di un padre mosso oltre misura dalla compassione e dall’amore per il figlio, ma anche di un patriarca incapace di conciliare le precedenti promesse di D-o – di una nazione da creare per tramite di Yitzchak – con l’attuale comandamento di sacrificare proprio quel figlio. Il Midrash, ad esempio, presenta una narrazione dettagliata in cui Satana appare ad Avraham sotto le mentite spoglie di un vecchio. Passo dopo passo, lungo il viaggio verso il monte Morià, questo vecchio discute con il patriarca: “Dove stai andando? Vecchio! Hai perso la testa? Ti viene dato un figlio dopo cento anni e tu vai a sacrificarlo? Domani D-o ti accuserà di omicidio, di aver versato il sangue del tuo stesso figlio. Quando Satana vede che Avraham non è dissuaso dal suo intento, crea ostacoli fisici che bloccano il viaggio del patriarca, senza alcun risultato. Avraham è determinato a portare a termine il sacrificio di Yitzchak in risposta al comandamento di D-o. Utilizzando il bellissimo metodo caratteristico della letteratura midrashica, i Chachamim descrivono nei dettagli la profonda lotta interiore che deve aver avuto luogo nell’anima di Avraham. Il vecchio che appare ad Avraham è chiaramente il suo alter ego che rappresenta la lotta con i suoi stessi potenti dubbi. Né questi dubbi né alcun ostacolo fisico, tuttavia, distolgono Avraham dal suo cammino. Contro ogni previsione, egli eseguirà la volontà di D-o.
Rashi, da parte sua, vede la lotta interiore di Avraham riflessa nel testo stesso della Torà all’inizio del brano dell’Akeda. Il comandamento di D-o riflette una serie di risposte non scritte da parte di Avraham. D-o disse: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, che ami, Yitzchak” In ogni fase di questo comandamento, afferma Rashi, Avraham fornì una risposta: Quando D-o disse: “Prendi tuo figlio”, Avraham rispose: “Ho due figli”. Quando D-o disse: “Il tuo unico figlio”, Avraham rispose: “Ciascuno di loro è l’unico figlio nato dalla propria madre”. Quando D-o disse: “Quello che ami”, Avraham rispose: “Li amo entrambi”. Solo allora D-o disse: “Yitzchak”. Questo commento di Rashi ritrae un Avraham che lotta contro la consapevolezza nascente che sarà proprio Yitzchak il soggetto del comando di D-o. Passo dopo passo, l’oscurità si avvicina, finché, alla fine, D-o rende le sue intenzioni cristalline.
Mentre il Midrash, Rashi e altri Chachamim ritraggono un quadro complesso di lotta da parte di Avraham, tuttavia, il nostro problema fondamentale rimane. Perché viene lasciato ai Chachamim il compito di dipingere questo quadro? Come abbiamo notato, la Torà non si tira indietro dal descrivere altre occasioni in cui Avraham lotta con il suo destino e con il suo mondo. Perché allora, all’interno della nostra stessa Parasha, la Torà racconta chiaramente la lotta di Avraham riguardo al destino delle città malvagie di Sedom e Amora, mentre nulla è riportato riguardo la sua lotta mentre affronta l’Akeda?
La risposta potrebbe risiedere nel riconoscere che i due eventi analizzati rappresentano due aspetti totalmente separati all’interno della relazione tra D-o e l’uomo. Quando si tratta di Sedom e Amora, D-o sta operando nel regno del din, del “giudizio”. Il comandamento di D-o riguardante l’Akeda, d’altra parte, si svolge esattamente nel regno del nissayon, “sfida personale”. Quando D-o si relaziona all’uomo nel regno del din, tutto sembra aver senso. C’è una chiara correlazione tra causa ed effetto. D-o dice: “Gli abitanti delle città di Sedom e Amora sono malvagi, perciò meritano di perire”. Finché rimaniamo nella sfera del din, possiamo discutere e lottare con il nostro Creatore. D-o stesso, in effetti, ci sta invitando a farlo. Forse c’è un argomento logico da portare che può cambiare perfino il giudizio D-o ; potrebbe essere un’altra tefillà, un’altra supplica, faranno pendere la bilancia del giudizio a nostro favore. Ecco perché Avraham discute con D-o in difesa di Sedom e Amora. Quando D-o ci porta nel mondo di nissayon, d’altra parte, niente sembra aver senso, almeno all’apparenza. D-o stesso è nascosto e non riusciamo a percepire alcuna logica nelle Sue azioni. Qui, argomentazioni e lotte sono inutili. Tutto ciò che sta accadendo è al di là della nostra comprensione. Ci sono certamente delle ragioni per le azioni di D-o, ma difficilmente potremo riuscire a capirle. Questo potrebbe essere il motivo per cui Avraham tace di fronte all’Akeda. Si rende conto di essere entrato nel mondo di nissayon e che le sue sfide sono diverse.
Una bellissima possibile allusione testuale al “nascondersi” di D-o al tempo dell’Akeda può essere trovata in tre parole riportate nel testo della Torà stessa. Mentre Avraham si avvicina al monte Morià, il luogo dove avviene l’Akeda, la Torà afferma, Vayar et hamakom merachok, “E vide il posto da lontano”. I Chachamim si domandano: come faceva Avraham a sapere di essere giunto a destinazione? D-o non aveva mai fatto riferimento al monte Morià, ma aveva semplicemente detto, “… sollevalo [Yitzchak] come offerta su una delle montagne che ti indicherò”.
Il Midrash risponde che Avraham sapeva di aver raggiunto la sua destinazione perché vide “una nuvola legata alla montagna”. L’immagine del monte Morià avvolto nella nebbia è particolarmente significativa. L’apparizione di D-o in una nuvola, un fenomeno che si verifica in numerose occasioni, riflette sempre l’elemento nascosto di D-o, anche in un momento di rivelazione. Suggerendo che Avraham è in grado di identificare il monte Morià dalla nuvola che lo circonda, il Midrash allude alla natura allo stesso tempo nascosta e rivelata della presenza di D-o in questo momento difficile della vita di Avraham.
Un’altra interpretazione risiede in un uso alternativo della parola makom nel versetto. Makom, oltre ad essere tradotto come luogo, è uno dei titoli dati a D-o. Il versetto può quindi essere letto: Vayar et haMakom merachok, “E vide D-o da lontano”. Mentre Avraham si avvicina al sito dell’Akeda, D-o sembra essere nascosto e distante. In modo simile, la tradizione ebraica impone la formula di consolazione recitata a casa di chi è in lutto: HaMakom yenachem etchem betoch shear avelè Tzion veYerushalayim, “Possa D-o consolarti tra i lutti di Sion e Gerusalemme”. D-o è, ancora una volta, menzionato in questo doloroso rituale con l’appellativo haMakom. Ci rivolgiamo a chi è in lutto e diciamo: “Possa D-o, che sembra distante da te in questo momento difficile della tua vita, avvicinarsi e consolarti tra i dolenti di Sion e Gerusalemme”. Avraham, attraverso la visione profetica, fu in grado di distinguere tra il din e il nissayon. Poteva vedere chiaramente la differenza tra la decisione di D-o riguardo a Sedom e Amora e quella relativa al comandamento dell’Akeda. Fu, quindi, in grado di reagire a ciascuno di questi eventi in modo appropriato.
Noi, a differenza di Avraham, non siamo in grado di fare questa distinzione. Siamo, quindi, destinati a reagire a tutte le sfide della vita su entrambi i livelli contemporaneamente. Lottiamo, preghiamo, imploriamo e difendiamo quello che a noi sembra giusto. Allo stesso momento ci rivolgiamo a D-o e accettiamo la Sua volontà. Nonostante le difficoltà che potremo vivere, momenti bui e difficili, dobbiamo essere in grado di trovare il Makom, la presenza di D-o, ed essere sicuri che D-o è sempre presente e che, anche se non capiamo il motivo per cui accadono determinate cose, D-o agisce solo per il bene.