Tempio di via Eupili – Milano
In una delle Parashot di questa settimana, Parashat Vayelech, ci viene detto: “Quel giorno, Moshe scrisse questa poesia e la insegnò ai Bene Israel” (Devarim 31:22). Ciò potrebbe sorprendere alcuni lettori a cui è stato insegnato che l’intera Torà fu rivelata e scritta sul Monte Sinai. Questo versetto solleva quindi una domanda: Secondo la nostra tradizione, quando avviene esattamente il momento in cui Moshe scrisse la Torà?
L’idea che Moshe ricevette tutta la Torà durante la rivelazione sul monte Sinai descritta nel Libro di Shemot incontra notevoli problemi, come ben notano i nostri Chachamim. Il fatto che Moshe effettivamente scrisse l’intera Torà sul Monte Sinai, implicherebbe che venne scritta in quella sede anche le parti successive come l’episodio in cui Moshe stesso colpì la roccia invece che parlare, come gli era stato comandato da D-o, e quindi la conseguente proibizione di entrare in Eretz Israel. Se fosse così, Moshe avrebbe avuto in suo potere qualcosa che molti uomini sognano di avere, la previsione del futuro e la possibilità di evitare di incorrere in errori. Perché quindi Moshe non ha evitato di colpire la roccia? Ci sono diversi episodi che avrebbero potuto avere uno sviluppo diverso. Ad esempio, se Moshe aveva scritto della ribellione di Korach, perché non ha fatto nulla in modo di prevenirla?
Tutto ciò che accade dopo la rivelazione sul Monte Sinai sembra essere uno svolgersi di eventi, non una recita messa in scena da chi sapeva in anticipo cosa fare. Ramban, come altri Chachamim, ci racconta che Moshe scrisse nella Torà gli avvenimenti che successero fino a quando ebbe l’esperienza della rivelazione di D-o sul Monte Sinai, incontro che gli permise di conoscere le leggi e i principi che D-o stesso gli insegnava. A poco a poco, nel corso degli anni di pellegrinaggio nel deserto, dice il Ramban, Moshe fece proprio come ci viene detto nella nostra Parashà, aggiungendo la descrizione dei fatti fino a giungere alla canzone riportata nella Parasha di Ha’azinu.
I Chachamim, rafforzando questa spiegazione, concordano che questa Parashà è stata scritta nell’ultimo giorno di vita di Moshe. Basandosi sull’espressione usata nel versetto “bayom hahu”, in quel giorno, Ibn Ezra scrive che “Moshè non tardò a fare questa cosa e che sia possibile che ciò sia avvenuto il giorno della sua morte, ovvero dopo aver scritto le parole della Torà, poiché Moshè scrisse con essa la canzone (della Parashà di Ha’azinu)”. Altri Chachamim sostengono che questa particolare forma stia ad indicare che quando Moshe vide che la shechina si posava su Yehoshua, il suo successore, si affrettò a terminare la propria opera perché capì che era per lui giunto il momento di passare il testimone come leader al suo discepolo.
Queste spiegazioni portano alcune lezioni molto importanti. Una delle lezioni che possiamo imparare è il riconoscimento che nessuno di noi conosce le proprie storie in anticipo. Se a Moshe non è stato concesso il privilegio della preveggenza, certamente non possiamo pretendere di averlo noi. Dovremmo imparare ed interiorizzare il fatto che tutte quelle persone che ci dicono di sapere cosa accadrà in futuro, nella migliore delle ipotesi, stanno tirando a indovinare. Semplicemente non lo sappiamo. In numerosi studi, anche gli esperti di vari settori che hanno previsto il futuro nei loro campi hanno fatto poco meglio – e talvolta peggio – del casuale. Per citare la Harvard Business Review: “Nel complesso, gli ‘esperti’ hanno faticato a ottenere risultati migliori degli ‘scimpanzé’ e sono stati costantemente meno accurati anche rispetto agli algoritmi statistici relativamente semplici. Un altro insegnamento che possiamo trarre è relativo alla ragione per la quale non possiamo prevedere con precisione cosa accadrà. In parte ciò è dovuto al fatto che gli imprevisti sono infiniti. Ci sono troppi sentieri che si biforcano, ognuno con i propri affluenti e strade secondarie. Ma, cosa ancora più importante, non possiamo conoscere il futuro perché contribuiamo a modellarlo con le nostre azioni. Sono le nostre infinite possibilità a rendere la preveggenza un’impresa impossibile. L’ebraismo crede profondamente nella possibilità del libero arbitrio, quindi ciò che accade dipende in parte da ciò che noi e gli altri facciamo accadere. Poiché non abbiamo una perfetta conoscenza di noi stessi, e tanto meno degli altri, non sappiamo in anticipo cosa faremo o cosa accadrà. Ogni persona conserva la capacità di sorprendere se stessa. Fa parte del mistero e della meraviglia dell’essere umano.
Questo è un messaggio molto importante che dobbiamo interiorizzare, soprattutto nel mese di Elul, quando ormai manca poco a Rosh haShana. Non possiamo cambiare il passato, ma il processo della teshuva, che è sempre possibile e che in alcuni periodi dell’anno sentiamo essere più pressante, non si deve fermare solamente nell’ammettere e pentirci delle colpe commesse. Il libero arbitrio, le nostre capacità di cambiare il corso degli eventi, ci permettono di scegliere la strada giusta, la strada della comprensione e dello sviluppo personale, dell’osservanza delle mitzvot e degli atti di chesed, giustizia e bontà. Tramite le scelte che facciamo, contribuiamo a migliorare noi stessi e a migliorare le vite di chi ci sta intorno, possiamo essere fonte di ispirazione e di insegnamento. Investendo nelle nostre peculiarità, sviluppandole, contribuiamo al miglioramento. Questo periodo che precede Rosh haShana è un’occasione da cogliere per fare il cheshbon nefesh, fermarci e pensare a cosa possiamo migliorare rispetto allo scorso anno.