L’haftaràh di questo Sabato è tratta dai libri di Hoshea’ (14,2-10) e Mikhàh (7,18-20). E’ fra le più famose haftarot, tanto che dà il nome allo Shabbat in cui viene letta. Rav Moshè Lichtenstein nota che in realtà, approfondendo un po’ la questione, ci si potrebbe stupire di come non sia così semplice la storia di questa haftaràh. Nelle Tosafot infatti vengono riportate due opinioni, ciascuna delle quali si distanzia in qualche modo da quello che facciamo. Secondo l’opinione di Rabbenu Tam, che più si avvicina al nostro uso, questa haftaràh si legge nello Shabbat fra Rosh ha-Shanàh e Kippur solamente in alcuni anni. Infatti, quando la parashàh di Haazinu viene letta dopo Kippur, l’haftaràh viene sì letta, ma prima di Sukkot. L’attenzione non sarebbe pertanto rivolta alla teshuwàh, ma al tema dell’aspettativa dell’acqua, anch’esso presente nel brano. Secondo l’altra opinione, che è quella di Rabbenu Meshulam, Shuva viene letta sempre nello Shabbat fra Rosh ha-shanàh e Kippur, ma l’haftaràh della scorsa settimana, Sos Asis, viene spostata a dopo Kippur, interrompendo pertanto il ciclo delle sette haftarot di nechamàh e risvegliando l’ira delle Tosafot, che riprendono in maniera piccata Rabbenu Meshulam.
Per Rabbenu Tam invece alcuni anni si legge Shuva, in altri, quando le parashot di Nitzawim e Wajelekh sono unite Dirshù. In realtà anche l’opinione di Rabbenu Meshulam ha una sua logica: infatti non è possibile immaginare la gheulàh completa e dire che “il Signore si rallegrerà di te come uno sposo della sposa”, che è il tema di Sos Asis,senza un serio percorso di teshuwàh. Mettendo a confronto le due alternative, Dirshù e Shuva, non si possono non notare le differenze. Infatti in Dirshù troviamo una sincera teshuwàh che porta a un radicale cambiamento di comportamento e all’attaccamento ad H. La reazione di H. è proporzionata al processo, e il mondo, anche quello inanimato, sprizza di gioia. In Shuva i termini sono ben differenti: il popolo d’Israele è inciampato nei suoi peccati, e non si intende dare solamente un giudizio di valore, condannando i peccati, ma si vuole dire che i peccati non hanno portato gli effetti sperati, e sono stati essi stessi un inciampo. L’Assiria, nella quale tanto si confidava, non è accorsa in aiuto. Ma se ciò invece fosse avvenuto, il popolo sarebbe comunque tornato ad H.? Certo che no! Questo tema è già presente nei primi capitoli del libro di Hoshea’. Israele non riesce a raggiungere nuovi amanti, per cui, piuttosto che rimanere sola, preferisce tornare al primo uomo. Hoshea non presenta una teshuwàh che arriva dal profondo del cuore, che comporta un cambiamento, ma un freddo calcolo. Non deriva dall’amore per H., ma solo dalla considerazione che è maggiormente affidabile dell’Assiria. Ma se è così perché è stato scelto questo brano?
Per capirlo dobbiamo capire cosa vuol dire il ritorno, che nel Tanakh, a partire dalla fine del libro del Devarim, è ritorno ad H. Non si tratta di modificare il passato, ma di ristabilire una certa situazione nel presente. E’ come un bambino che va via di casa tutto arrabbiato, dicendo di non avere bisogno dei suoi genitori, del loro cibo, del loro denaro, persino delle loro parole, e dopo varie vicissitudini non trovando sostentamento, torna a casa con la coda fra le gambe, chiedendo ristoro e un letto caldo. E i genitori? Abbiamo qualche dubbio sulla loro reazione? Certamente accoglieranno il figlio, e anche se magari non lo diranno, saranno contenti. Il passaggio centrale è l’individuazione di questo legame fondamentale, al quale spesso i profeti hanno fatto riferimento. H. ci dona il suo amore, sebbene siamo consapevoli di non esserne degni. La teshuwàh di Isaia deve essere accolta, perché ci sono tutti i presupposti, l’abbandono del peccato, il pentimento, la modifica del comportamento. La teshuwàh di Hoshea’ è invece indice della misericordia di H., perché l’uomo non è cambiato. La conseguenza di tutto ciò non è la gioia che troviamo in Isaia, ma anzitutto tranquillità. Anche il modo in cui H. ci guarisce tende a questo: non si avvale della pioggia, ma della rugiada, con la sua carica di vitalità.