Spesso nelle lingue troviamo delle strane espressioni. Molte di queste sono tratte dal mondo animale. Anche nelle berakhot che Ya’aqov impartisce ai suoi figli e nipoti nella parashàh troviamo numerose immagini tratte dal mondo animale. Nella benedizione di Efraim e Menashèh, figli di Yosef, Ya’aqov augura ai nipoti di “pesciare” grandemente in mezzo alla terra (Weidgù larov beqerev ha-aretz, Bereshit 48,16).
Il fine linguista Hirsch (Bereshit 48,16), sempre attento a questi aspetti, dice di non conoscere questa radice verbale, se non derivandola da dag, pesce. Rav Levi Ytzchaq di Berdichev nel commento chassidico Qedushat ha-levì (parashat Tetzawwèh) costruisce un parallelismo fra i dodici mesi dell’anno e le dodici tribù, ed il mese di Adar, che in alcuni anni è doppio, come due sono le tribù che derivano da Yosef, viene appunto legato a Yosef. Il segno zodiacale corrispondente è quello dei pesci. Come sappiamo il mese di Adar, in cui cade Purim, è un mese fortunato per Israele, e “gad”, la fortuna, ha le stesse lettere di dag, pesce. Perché Efraim e Menashèh vengono paragonati ai pesci, e non ad esempio ad altri animali, come ai conigli o ai criceti, altrettanto, se non di più, famosi per la loro prolificità? In italiano per esempio questo aspetto non è passato: diciamo che si è “sani come un pesce”, oppure “muto come un pesce”, ma non “prolifico come un pesce”! Fra parentesi quanto dice Ya’aqov pone anche un’ulteriore difficoltà: chiunque ha allevato dei pesci sa che sono effettivamente prolifici, ma lo sono nel mare, tuttalpiù in un acquario, ma non di certo sulla terraferma!
Secondo la ghemarà in massekhet Berakhot (20a) Ya’aqov ha scelto proprio i pesci, perché non sono sottoposti all”ain ha-rà, al malocchio, in quanto celati dall’acqua. La gelosia è proprio una brutta bestia, e la storia di Yosef ed i suoi fratelli, che abbiamo letto nelle scorse settimane lo testimonia. Gli ebrei sono sempre stati molto suscettibili su questo punto. Nel “tekhallè mimmenu”, che recitiamo il lunedì e il giovedì, chiediamo esplicitamente di risparmiarci dall’occhio cattivo. Rav Kuk in una sua derashàh approfondisce questo aspetto. Non tutti siamo sensibili allo stesso modo all’occhio cattivo. Tanti ne sono ossessionati, tanti altri credono persino che non esista. Perché troviamo degli approcci tanto differenti? Il malocchio è il tipico esempio di influenza nascosta fra le anime. Alcuni sono molto sensibili circa l’atteggiamento che gli altri mostrano nei loro confronti, come se avessero un’antenna che capta queste sensazioni. Se avvertono nell’altro odio e gelosia, ne risentono grandemente. Da una bassa considerazione di sé, e dalla manifestazione continua del bisogno dell’approvazione da parte degli altri, deriva l’accrescimento del potere degli altri su di noi.
Il malocchio acquisisce forza se siamo noi a dargliela. Se però ci poggiamo sulle nostre risorse interiori, senza cercare l’approvazione altrui, il loro ‘ain ha-rà’ non può toccarci. I pesci si disinteressano di quanto avviene fuori dall’acqua. Vivono nel proprio ambiente, e rappresentano l’immunità dall’occhio cattivo. Yosef incarnava quel tipo di esistenza. Catapultato, giovane, solo ed inesperto, in un mondo ostile ed idolatra, lontano dai propri affetti e da tutto ciò che gli era familiare, pur vivendo un’esperienza assolutamente eccezionale, che lo porta, da schiavo che era, ad essere vice re d’Egitto, rimane sempre fedele alle sua verità interiori, pur interagendo con il mondo che lo circondava. A questo punto quanto dice Ya’aqov inizia ad avere un senso. Un pesce sulla terraferma non può vivere a lungo, a meno che non porti con sé il mare. Yosef è stato un pesce fuor d’acqua, ma ha portato il mare con sé. Gli atteggiamenti ed i valori del mondo che lo circondava non lo influenzavano in alcun modo. Questo può essere molto significativo per noi: anche noi viviamo in un mondo che ha valori molto diversi dai nostri, e spesso si mostra ostile nei nostri confronti. Quando si percepisce l’aggressività degli altri è molto difficile rimanere fedeli a se stessi. A volte si è portati persino ad interiorizzare l’odio, e di conseguenza iniziare ad odiarsi da soli. Questo ha acquisito una rilevanza particolare quando siamo usciti dai ghetti.
Finché eravamo pesci nell’acqua l’odio antiebraico poteva colpire i nostri corpi, ma la nostra interiorità ne era indenne. Usciti dal ghetto, quando entriamo in contatto con il resto dell’umanità, e così rende Onqelos il senso dell’espressione nella sua traduzione aramaica, incontriamo la figura dell’ebreo che si odia. In questo momento storico questa è la grande sfida. Dobbiamo cercare di trovare la forza interiore di Yosef, di fortificarci per ignorare l’odio che ci circonda e minaccia di sopraffarci. Il modo più sicuro e “certificato” per fare ciò è studiare la Toràh. Spesso i Maestri hanno paragonato la Toràh al mare e il popolo ebraico ai pesci che lo abitano. Il midrash (Bereshit Rabbà 97,3) dice: “come questi pesci che vivono nell’acqua, quando scende una goccia dall’alto la ricevono assetati come chi non ha mai gustato il sapore dell’acqua in vita sua, così Israele cresce nell’acqua- nella Toràh, quando ascolta qualcosa di nuovo nella Toràh lo riceve assetato come chi non ha mai ascoltato la Toràh nella propria vita”.
Se vogliamo fiorire sulla terraferma, non abbiamo altra possibilità che portare il mare con noi, condividendo l’unicità di questa esperienza con gli altri ebrei, nel modo più diffuso possibile. In questo modo potremo essere degni della berakhàh di Ya’aqov nostro padre, non solo proliferare quando ci troviamo nel nostro ambiente e quando siamo al riparo dal malocchio, ma anche quando non abbiamo tale difesa e siamo sulla terraferma ed il pericolo è molto maggiore, come rispose R. Aqiva a Papus, a proposito della volpe che invitò i pesci a vivere sulla terraferma nel trattato di Berakhot (61b): “se in un posto vitale per noi (l’acqua) abbiamo timore, tanto più lo avremo in un posto che ci conduce alla morte!” Shem miShemuel, in una derashàh su Chanukkàh, nota come i Greci avessero ben compreso questo punto, ed avessero come scopo non tanto lo sterminio fisico del popolo ebraico, ma la dimenticanza della Toràh, che sarebbe stato per noi altrettanto, se non di più, fatale, e proprio per questo dobbiamo avere sempre con noi la nostra scorta d’acqua, per essere magari pesci fuor d’acqua, ma pur sempre pesci vivi e vitali.