“Non accenderete il fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato” (Esodo 35:3). Mosè convoca i figli d’Israele per presentare loro le disposizioni riguardanti la costruzione del Tabernacolo e dei suoi vari arredi. La peculiarità di questo brano è che viene introdotto dal divieto di far ardere un fuoco durante lo Shabbat. Rash”y (Rabbì Shelomò Ytzchaqì 1040-1105) spiega che gli ordini relativi alla costruzione del Tabernacolo, sono preceduti da un divieto relativo allo Shabbat per sottolineare che i lavori per il Tabernacolo devono essere interrotti durante lo Shabbat. Si sarebbe potuto erroneamente supporre che il nobile progetto di costruire una residenza per la Presenza Divina annullasse i divieti dello Shabbat e che il lavoro dovesse continuare sette giorni su sette. Per dissipare questo equivoco, Mosè ha confermato che lo Shabbat deve essere rigorosamente osservato anche durante il periodo della costruzione del Tabernacolo.
Potrebbe tuttavia esserci anche un’ulteriore spiegazione.
Nel libro Tikkuneh Zohar, si insegna che le trentanove Melakhot (le attività proibite di Shabbat) corrispondono alle trentanove maledizioni che Dio pronunciò dopo il peccato di Adamo ed Eva. Dio pronunciò dieci maledizioni su Adamo, dieci su Eva, dieci sul serpente e nove sulla terra, per un totale di 39 maledizioni.
Qual è, dunque, il significato di questa analogia?
Prima del peccato, Adamo ed Eva, vivevano un’esistenza idilliaca, senza la necessità di lavorare. Gli alimenti e tutte le altre necessità, erano forniti loro e non dovevano fare alcuno sforzo per prendersi cura di sé stessi. Ma dopo aver mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male, e dopo la conseguente cacciata dal Giardino dell’Eden, furono obbligati a svolgere quelle trentanove Melakhot, le varie attività che devono essere svolte per procurarsi il cibo, i vestiti e un tetto sotto il quale ripararsi.
Ecco che lo Shabbat ci da la possibilità di fare, in una certa misura, l’esperienza del Giardino dell’Eden. Astenendoci dal compiere queste trentanove Melakhot è come se rievocassimo le condizioni idilliache in cui Adamo ed Eva vivevano prima del peccato, quando non dovevano compiere alcun lavoro. Per questo le trentanove attività proibite di Shabbat corrispondono alle trentanove maledizioni, perché sono le trentanove forme di lavoro che divennero necessarie a seguito del peccato di Adamo ed Eva.
Un insegnamento talmudico afferma che quando i figli d’Israele proclamarono ai piedi del Monte Sinai “Naaseh wenishma/faremo e ascolteremo”, annunciando il loro impegno completo e incondizionato verso la Torah, si liberarono di tutti gli effetti spirituali del peccato di Adamo ed Eva. In quel momento si elevarono al livello spirituale di Adamo ed Eva quando vivevano nel Giardini dell’Eden prima del peccato. In quel momento, i figli d’Israele erano pronti per tornare all’esistenza idilliaca del Giardino dell’Eden, per cui non avrebbero dovuto compiere alcun lavoro.
Ma con il peccato del vitello d’oro, i figli d’Israele hanno replicato, in un certo senso, il peccato di Adamo ed Eva e persero l’opportunità di quell’esistenza idilliaca.
Ma con il vitello d’oro, fu l’esistenza stessa del mondo ad essere messa in discussione.
Un altro insegnamento talmudico asserisce che il mondo si sarebbe mantenuto se i figli d’Israele fu avessero accettato la Torah, altrimenti sarebbe tornato al tohu e bohu/caos e vuoto. Per tutto il tempo dalla creazione fino al giorno in cui il Signore donò la Torah ai figli d’Israele, il mondo non fu mai del tutto stabile. Questa stabilità fu raggiunta con l’accettazione della Torah da parte dei figli d’Israele. Ma il peccato del vitello d’oro, invertì i grandi effetti spirituali della ricezione della Torah e fece tornare indietro il processo di creazione. Ora che la Torah era stata “spezzata”, il mondo tornò all’instabilità e la sua esistenza in discussione.
Il Keli Yakar (Rabbì Shlomo Efrayim Luntshitz, 1540-1619), nel suo commento al brano della prossima settimana, scrive che dopo il peccato del vitello d’oro, tutta la creazione stava per tornare allo stato di tohu e bohu/caos e vuoto che prevaleva prima che Dio vi mettesse ordine. Il processo di costruzione del Tabernacolo, quindi, che serviva a espiare il peccato del vitello d’oro, simboleggiava una nuova creazione del mondo, che doveva essere ricreato poiché il suo completamento, avvenuto con il dono della Torah, era stato stravolto a causa del peccato del vitello d’oro. Per questo, nel Talmud, si racconta che il giorno dell’inaugurazione del Tabernacolo era gioioso quanto il giorno della creazione del mondo, perché la quella costruzione segnava la ricreazione del mondo.
Su questa base, possiamo capire il perché Mosè abbia ripetuto il precetto dello Shabbat prima di dare il via alla costruzione del Tabernacolo. Costruire la dimora della Presenza Divina in terra, era come ripetere il processo della creazione del mondo. E proprio come la creazione del mondo includeva l’istituzione dello Shabbat, anche la costruzione del Tabernacolo doveva includere lo Shabbat.
L’osservanza dello Shabbat, perché era parte integrante della creazione del mondo, è integralmente correlata alla costruzione del Tabernacolo, evento che permette al mondo di essere creato di nuovo, Shabbat Shalom.