Nelle parashòt precedenti furono date a Moshè e istruzioni su cosa e come fare per costruire il Mishkàn (tabernacolo). In questa parashà la Torà racconta come avvenne la costruzione. Il primo ordine di Moshè fu quello di non accendere il fuoco di Shabbàt: “Non accenderete fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato” (Shemòt, 35:3). Questo venne a insegnare che anche per la costruzione del Mishkàn bisognava osservare lo Shabbàt.
R. Shemuel ben Meir detto Rashbam (Troyes, 1085-1158), nipote di Rashì, spiega che tra tutte le trentanove melakhòt dalle quali bisogna astenersi di Shabbàt, viene citata in questa parashà solo quella dell’accensione del fuoco, perché il fuoco è necessario per la maggior parte delle altre melakhòt proibite di Shabbàt.
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p.317) fa notare che gli ordini di costruire il Mishkàn e quello di osservare lo Shabbàt appaiono insieme più volte nella Torà. Il motivo è che sia il Mishkàn sia lo Shabbàt sono dei santuari. Uno è un santuario nello spazio e l’altro nel tempo.
R. Soloveitchik commenta che Adamo fu creato nell’ultimo giorno della creazione (venerdì). In quella sera di venerdì, la luce primordiale della creazione illuminò l’oscurità. Il fuoco non fu creato fino a sabato sera. Il Signore ritardò la creazione del fuoco per via della proibizione di accendere fuoco di Shabbàt. Quando facciamo Havdalà alla fine dello Shabbàt, commemoriamo il perfetto riposo del primo Shabbàt della storia accendendo il fuoco e recitando una berakhà sulla luce.
La mancanza di luce spesso terrorizza gli uomini. Questo terrore lo sentì addirittura Adamo nel giorno in cui fu creato. Nel Talmud (‘Avodà Zarà, 8a) è raccontato: “I nostri maestri hanno insegnato: Quando Adamo, nel giorno della sua creazione (il sesto giorno, cioè venerdì), vide il sole tramontare nel cielo davanti a lui, disse: «Guai a me! Poiché ho agito in modo offensivo, il mondo si sta oscurando per me e sta per tornare all’oscurità e alla desolazione; questa è la morte che il Cielo ha decretato per me». Così si sedette per digiunare e piangere per tutta la notte, mentre Eva piangeva accanto a lui. Ma quando l’alba cominciò a sorgere lentamente come una colonna, disse: «Così funziona la natura…»”.
Nel Midràsh (Bereshìt Rabbà, 11:2) è detto: “Rabbi Levi disse a nome di Rabbi Ze’eira: la luce primordiale funzionò per trentasei ore: dodici ore il giorno prima dello Shabbàt, dodici la notte dello Shabbàt e dodici lo Shabbàt. Quando il sole tramontò alla conclusione dello Shabbàt, l’oscurità cominciò ad avvicinarsi e Adamo, il primo uomo, ebbe paura, come è affermato: «E ho detto che l’oscurità mi avvolgerà [yeshufèni]; la notte per me è luce» (Salmi, 139:11), quello [il serpente] riguardo al quale è scritto: «Ti colpirà [yeshufekhà] con la testa, e tu lo colpirai [teshufènu] con il tuo calcagno» (Bereshìt, 3:15), ora sta venendo a confrontarsi con me». Cosa fece il Santo benedetto? Preparò per lui [per Adamo] due pietre focaie e le colpì l’una contro l’altra. Da esse emerse una luce e recitò una benedizione su di essa”. Sulla mitzvà di non accendere il fuoco di Shabbàt, i maestri nel Midràsh (Mekhiltà) insegnarono che è proibito accendere il fuoco di Shabbàt, ma è permesso accenderlo prima di Shabbàt per averlo di Shabbàt. R. Barukh Halevi Epstein (Belarus, 1860-1941) in Torà Temimà (Shemòt, 35:3) commenta che i Maestri dissero così in modo esplicito affinché non si pensi che sia proibito avere del fuoco acceso di Shabbàt. Essi sottolinearono che la proibizione è limitata all’accensione di Shabbàt. Infatti nella Torà è scritto “non accendete” cioè di non fare un’azione per accendere il fuoco. Non è scritto “che non sia acceso” di Shabbàt. Questo è un errore che commisero i Caraiti, che presero il testo della Torà alla lettera senza capire qual era l’insegnamento ricevuto oralmente da Moshè. Così mentre noi di Shabbàt stiamo al caldo e mangiamo cibi caldi, i Caraiti stanno al freddo e mangiano cibi freddi.